2021-08-31
Consigliere del Pd abbatte il muro dell’omertà sui brogli. «Chi sa, parli»
Giuseppe Paruolo, eletto in Emilia Romagna, contesta il silenzio sul caso e dice: «Ombre pesantissime, non possiamo ignorarle»L'ex deputato di Sinistra italiana spalleggia il prof che continua a sbraitare sulle foibeLo speciale contiene due articoliNon è stata decisamente la strategia migliore, quella che il segretario del Pd Enrico Letta ha deciso di adottare dopo l'esplosione del caso - da noi rivelato e documentato - dei brogli alle primarie per l'elezione del segretario nazionale del 2019 nel comune di Argelato, in provincia di Bologna. Quando l'ex premier e nipote più celebre d'Italia ha optato per minimizzare goffamente l'accaduto, senza respingere le accuse al mittente documentandone la eventuale falsità con una congrua pila di riscontri e introducendo bensì un'inedita formula di prescrizione casereccia basata sul solidissimo concetto giuridico di «acqua passata», non aveva di certo previsto ciò che questa storia avrebbe innescato all'interno del suo partito.Eppure i segnali di malessere, soprattutto all'ombra delle Due Torri, dove la conflittualità interna era già ai massimi e ora sta deflagrando, visto che l'apparato del partito sta procedendo a un rastrellamento politico casa per casa nei confronti di chi ha osato sostenere alle primarie la renziana Isabella Conti invece dell'allineatissimo e non a caso vincente Matteo Lepore, erano evidenti e solo una visione miopie e ingenua poteva pensare che tutto si estinguesse senza passare per un chiarimento definitivo al cospetto di militanti ed elettori.Proprio quello che non è avvenuto, col risultato che ora la polvere accumulata sotto il tappeto ai piani alti del Nazareno è diventata una montagna, visibile a tutti, impossibile da negare, e le prese di posizione contro il quartier generale, sempre più nette e clamorose da parte di esponenti dem, aumentano ogni giorno di livello politico e non possono più essere ignorate. Riavvolgiamo doverosamente il nastro per quanti si fossero persi, complici le vacanze, qualche passaggio della vicenda: nel comune di Argelato, in provincia di Bologna, nel 2019 come nel resto d'Italia i militanti del Pd sono chiamati ad eleggere il nuovo segretario nazionale del partito, scegliendo tra l'uscente Maurizio Martina, il favorito Nicola Zingaretti e l'outsider Roberto Giachetti. Registrazioni da noi verificate testimoniano che alcuni dirigenti locali, preso atto della scarsa affluenza al voto, decisero di rimpinguare artificiosamente e illegalmente il numero dei votanti, aggiungendo e firmando 120 schede una volta chiusi i seggi, ripartendoli in percentuali decise a tavolino tra Zingaretti (70%) e Martina (30%).Una vicenda i cui artefici pensavano non potesse venire a galla, ma che a quanto pare era nota a più di una persona tra chi aveva cercato di fare resistenza o aveva avallato il tutto obtorto collo, e che quando è stata da noi resa nota ha visto avviare, da parte dell'apparato dem, il protocollo fatto di accuse di «strumentalizzazione politica» e di «secondi fini» che viene adottato di consueto in queste occasioni per screditare la controparte.Il fatto è che Letta & C. non hanno, nemmeno per un istante, pensato a fugare i dubbi sull'accaduto, producendo la evidenze che smentivano le nostre indiscrezioni, e hanno preferito glissare e buttarla in caciara. Se la cosa poteva reggere di fronte alle rimostranze di Giachetti, che ha seguito Matteo Renzi in Italia viva, o di qualche ex-eletto locale senza più voce in capitolo, è ora il caso di chiedersi come i piani alti del Nazareno replicheranno, ad esempio, a uno stimato consigliere regionale emiliano-romagnolo di area cattolica e riformista come Giuseppe Paruolo, che ha affidato al suo sito una serie di riflessioni pacate nei toni ma estremamente incisive nella sostanza, dal titolo significativo di «C'era una volta il Pd».Nelle sue critiche, Paruolo muove anche dalla poco edificante storia di Argelato e parla di «cupio dissolvi» del Pd bolognese, dove a suo avviso «con la forza si sta spostando l'asse politico nella direzione di una (sedicente) sinistra del nuovo tipo geneticamente modificato». A proposito dell'istituto delle primarie, vanto storico del Pd ma ormai svuotato di ogni valore politico e spesso oggetto di malversazioni da parte dei potentati locali, Paruolo cita l'affaire Argelato e completa l'affondo nei confronti della segreteria nazionale: «La reazione adeguata richiederebbe una immediata verifica dei fatti: se fosse vero», osserva Paruolo, «andrebbero presi immediati provvedimenti; se fosse falso, occorrerebbe reagire con durezza all'infondata illazione. Invece abbiamo assistito ad una difesa d'ufficio a priori, senza alcuna volontà di verificare, e questo lascia francamente imbarazzati. Anche perché le uniche parole che tutti avrebbero voluto sentire è che nessuno ha mai messo schede false nelle urne delle primarie e queste parole non sono state dette. A questo punto», conclude, «sorge il dubbio imbarazzante che i garanti del partito vengano più facilmente mobilitati per perseguitare iscritti innocenti per motivi politici, piuttosto che per appurare fatti che, se veri, getterebbero ombre pesantissime non solo sulle primarie del 2019». Il post reca la data del 28 agosto: per ora dal Nazareno si registra un assordante silenzio.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/consigliere-del-pd-abbatte-il-muro-dellomerta-sui-brogli-chi-sa-parli-2654843010.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="montanari-trova-alleati-pacifici-ammazzare-i-fascisti-era-giusto" data-post-id="2654843010" data-published-at="1630361835" data-use-pagination="False"> Montanari trova alleati pacifici: «Ammazzare i fascisti era giusto» Non chiamateli negazionisti delle foibe: alcuni di loro non negano affatto, semmai celebrano. Le foibe sono esistite, eccome. E furono una gran cosa. A sinistra è una scuola di pensiero molto più diffusa di quanto non si pensi. Negatori e apologeti lavorano del resto in coppia: uno regge, l'altro picchia. E alla fine può persino capitare di vedere un ex deputato tessere l'elogio dell'omicidio politico. Sentite qui che toni ispirati: «Ammazzare migliaia di fascisti durante la seconda guerra mondiale è stato giusto e doveroso, e ci ha restituito la libertà. Il fatto che Giorgia Meloni si scandalizzi per questo, la qualifica per quello che è da sempre. Vorrebbe zittire Montanari, ma dovrebbe imparare a tacere». Parole e musica di Giovanni Paglia, anzi, Paglia Giovanni, come si firma lui su Twitter, che dei due esponenti di Sinistra italiana è quello a cui è toccato fare il vicesegretario, pensa te la sfiga, ma che soprattutto è stato deputato della Repubblica nella scorsa legislatura. Ora, che la guerra civile tra fascisti e partigiani non sia stata un pranzo di gala, è fuor di dubbio. Sembra tuttavia sfuggire a Paglia Giovanni che molti fascisti furono uccisi non «durante», ma dopo la guerra. E che tra i «fascisti» trucidati con tanto zelo, soprattutto sul confine orientale, c'erano anche donne, anziani, bambini, gente il cui tasso di fascismo era sbrigativamente dedotto dal fatto di essere impiegati comunali, maestre di scuola, preti. Colpisce, inoltre, il tono truculento: a forza di costringersi nella vita di tutti i giorni al linguaggio «inclusivo», appena possono, a sinistra, si lasciano andare. Un po' come quando, nel ventennale del G8 di Genova, a luglio, i centri sociali liguri scesero in piazza con uno striscione recante la scritta «No foibe, no party». Nessun legame con la ricorrenza, solo un riflesso pavloviano, dettato anche dalla certezza dell'impunità: di questa chiara e aperta apologia di reato proclamata ai quattro venti non parlò nessuno. Immaginate che sarebbe successo a parti (e tragedie) invertite. Eppure a Tomaso Montanari, il rettore che sogna di arruolarsi nell'Ozna, la polizia politica di Tito, pare di vivere in pieno Ventennio. Il clamore suscitato dalla sue smargiassate viene costantemente interpretato dallo stesso come una manifestazione di accerchiamento e intimidazione da parte di un ubiquitario fascismo al potere. Ieri il prof partigiano twittava: «A tutti i fascisti, postfascisti, neofascisti, criptofascisti, filofascisti che oggi, come ogni giorno da una settimana, urlano “dimissioni", rispondo: no. Fatevene una ragione, avete perso: e la Costituzione antifascista protegge le opinioni e l'autonomia delle università». Delle due, però, l'una: o i fascisti hanno perso e vige una Costituzione antifascista, oppure metà dei partiti italiani, parecchi governi recenti, buona parte dell'elettorato, molta stampa italiana attuale è praticamente la riedizione del mussolinismo con altri mezzi. Montanari in compenso ha ottenuto il plauso di uno che, senza tanti complimenti, secondo i canoni dell'antifascismo paranoico potrebbe benissimo essere considerato un gerarca della Milizia, ovvero dal deputato di Forza Italia, Elio Vito. Il quale, nell'ambito di una sua seconda giovinezza social tutta vissuta a colpi di tweet progressisti, ha postato: «Ho 60 anni, una laurea in Sociologia (con grandi proff. A. Signorelli, A. Abbruzzese, E. Amaturo) ma per curiosità politica e culturale ed anche un po' per solidarietà con il prossimo rettore, potrei provare a prendere una seconda laurea all'università per stranieri di Siena, che ne dice Tomaso Montanari?». Per la storia, però, si trovi un prof più bravo.