
Arrestato il titolare dell’azienda agricola in cui era impiegato il bracciante: l’accusa è passata da omicidio colposo a doloso. Nell’ordinanza i particolari choc dell’incidente truculento che ha mutilato e ucciso l’uomo.Una mano dentro una cassetta, un braccio tranciato da un macchinario artigianale, sangue ovunque. Queste immagini non sono contenute in un racconto splatter, ma nella cruda ordinanza di custodia cautelare che ha portato in carcere, con l’accusa di omicidio volontario, l’imprenditore agricolo Antonello Lovato, trentottenne originario di Latina, nella cui azienda, il 17 giugno scorso, si è verificato un terribile incidente sul lavoro: il trentunenne indiano Satnam Singh, bracciante privo di permesso di soggiorno e ingaggiato senza contratto, è stato stritolato dagli ingranaggi di un’attrezzatura avvolgi-plastica.Questa la ricostruzione dell’Asl di Latina, servizio prevenzione e sicurezza ambienti di lavoro: «La rotazione generata dal cardano ha avvolto gli abiti di Satnam attorno all’attrezzatura, creando un effetto simile a una corda. Questo fenomeno ha reso gli indumenti estremamente resistenti trasformandoli in un meccanismo di trascinamento che ha coinvolto l’arto destro e l’intero corpo dell’operatore, facendolo ruotare più volte attorno all’attrezzo avvolgi-telo. Questa violenta azione ha causato oltre al totale distacco dell’arto destro del lavoratore, altre gravi lesioni».A causare la morte, secondo il consulente della Procura guidata da Giuseppe De Falco, è stato uno shock emorragico, ovvero il classico dissanguamento («Amputazione del braccio destro al terzo superiore medio, con sezione completa dell’arteria ascellare» si legge nell’ordinanza). Lovato, invece, di chiamare i soccorsi, ha scaricato l’operaio davanti a casa, è tornato nella propria azienda, ha lavato il furgone con cui aveva trasportato il ferito, si è cambiato gli abiti e, solo a quel punto, si è recato in questura a denunciare l’accaduto.Ma ormai la situazione era irreparabile: quella che avrebbe potuto essere l’ennesimo caso di sfruttamento e caporalato, si è trasformata in un’inchiesta per omicidio. Infatti, due giorni dopo i fatti, il 19 giugno scorso, Satnam è spirato all’ospedale San Camillo di Roma dove era arrivato in condizioni gravissime.Ma prima di riportare le motivazioni con cui il gip di Latina Giuseppe Molfese ha ordinato l’arresto di Lovato, conviene ricostruire i fatti attraverso varie testimonianze, a partire da quella della ventiseienne Soni Soni, la vedova di Singh, la quale, il giorno dell’incidente era con lui nei campi. Le sue parole e quelle degli altri testimoni sono finite nell’ordinanza e offrono un quadro «agghiacciante» (l’aggettivo è del gip) di quanto accaduto il 17 giugno.A verbale Soni ha dichiarato che era sposata con Satnam da tre anni e mezzo e che la coppia risiedeva in Italia da tre: prima come allevatori di bufali in Campania, poi come braccianti a Latina. Lavoravano otto-nove ore al giorno a 6 euro l’ora. La mattina della tragedia avevano raccolto zucchine, al pomeriggio avevano levato i teli di plastica da sopra le serre dei meloni e per farlo avevano usato il macchinario killer. «Mentre io ero addetta a tagliare tale materiale, mio marito dava assistenza ad Antonello che si trovava alla guida del trattore a cui era agganciato il macchinario “avvolgi-plastica a rullo”, a pochi metri distante da me. In particolare, quando è successo l’incidente a mio marito, il trattore stava fermo, Antonello stava seduto sul trattore e mentre l’avvolgi- plastica era in funzione, Antonello dava indicazioni a mio marito delle operazioni che avrebbe dovuto svolgere. All’improvviso ho udito Antonello urlare e nel medesimo istante ho visto mio marito riverso a terra accovacciato su se stesso vicino al macchinario. Ho capito in quell’istante che mio marito era stato trascinato all’interno dell’avvolgi-plastica e poi riversato per terra. […] Si trovava a terra con l’arto superiore destro tranciato. Ho visto che aveva subito anche delle lesioni a entrambe le gambe. Nell’immediatezza ho chiesto ad Antonello di chiamare i soccorsi, ma lo stesso continuava a gridare “È morto! È morto!”. Solo dopo aver insistito nella mia richiesta Antonello ha preso un furgone bianco, ha caricato mio marito all’interno dello stesso riponendo l’arto staccato in una cassetta di plastica per poi accompagnarci presso il nostro domicilio».In un secondo momento Soni ha raccontato che nel campo c’erano due altri braccianti: l’italiana Sandra e l’indiano Gora: «Nessuno ha fatto nulla. Ho chiesto anche a loro di chiamare i soccorsi, ho continuato a chiedere a Gora di chiamare aiuto, supplicandolo, dicendogli “tu sei mio fratello, aiutami”, ma anche lui non ha fatto nulla. Sono sicura che mio marito era vivo, l’ho visto respirare, in maniera regolare e in alcuni momenti più velocemente […], pur non parlando, rimanendo immobile e avendo gli occhi semichiusi. Erano tutti pietrificati, immobili, sia Sandra che Gora». Diversa la versione di Lovato, il quale ha assicurato che il 17 giugno sarebbe stato lui a governare il macchinario e che Satnam si sarebbe limitato a porgergli i teli da agganciare. Verso le 16 l’indagato si sarebbe allontanato di qualche metro per riferire a Soni che il suo turno di lavoro era terminato: «In quel momento Satnam ha preso un telo e lo ha agganciato all’attrezzo senza che io gli avessi detto di farlo, si è agganciato all’avvolgi-telo, forse con un guanto, ed è stato tirato verso il macchinario, rimanendo incastrato, agganciato con la camicia. Tirato dentro dall’avvolgi-telo ha girato sicuramente più volte intorno all’attrezzo fino alla recisione dell’avambraccio destro».A quel punto Lovato si sarebbe precipitato a spegnere la macchina e a soccorrere il bracciante: «Satnam è rimasto giù sotto l’attrezzatura. L’ho sollevato e mi sono accorto che glì mancava un braccio. Sono stati attimi di panico […]. Non ho chiamato l’ambulanza perché la moglie diceva di portarlo a casa e per questo l’ho caricato sul furgone di famiglia e unitamente alla moglie, preso dal panico, l’ho portato a casa, dove sapevo che avevano già chiamato l’ambulanza». Il resoconto di Soni di quel drammatico viaggio è questo: «Antonello ha raccolto mio marito e lo ha caricato sul furgone, nonostante il mezzo fosse pieno di cassette di plastica vuote». Satnam e Soni sono stati rinchiusi nel vano posteriore. «Sono rimasta con mio marito al buio e Antonello è partito velocemente, facendo cadere le cassette vuote su di noi». La vedova, con gli inquirenti, descrive l’arrivo all’umile dimora: «Io scendevo dietro di lui (Lovato, ndr) e lo seguivo, ancora urlando e chiedendo di chiamare qualcuno. Antonello è tornato al furgone per prendere il braccio amputato di mio marito che ha riposto, dopo averlo collocato all’interno di una delle cassette che c’erano nel furgone, nei pressi del cancelletto per accedere alla proprietà, vicino ai contenitori della spazzatura, per poi scappare immediatamente». Lovato si sarebbe impossessato anche dei telefonini delle vittime: «Quando Antonello ha preso il braccio di mio marito per caricarlo sul furgone ha preso sicuramente anche un telefono cellulare, che ha gettato nella parte posteriore del furgone. Mi sono resa conto di aver perso il mio quando lo cercavo all’interno del furgone per fare luce». Nessuno dei due dispositivi le sarebbe stato riconsegnato. Ciò che avvenuto davanti all’abitazione non è stato meno drammatico di quanto accaduto in campagna: «Urlavo, nella mia lingua, di chiamare i soccorsi, chiedevo un’ambulanza, anche in inglese. Tutti erano preoccupati per la mia agitazione e si sono avvicinati verso di me e mio marito e, resisi conto della situazione, hanno iniziato a contattare i soccorsi».I vicini hanno confermato in gran parte il racconto di Soni. Ilario P. ha spiegato: «È corsa verso di me gridando: “Ambulanza, ambulanza, ambulanza'”. Preoccupato le andavo incontro per capire cosa fosse successo. Lei diceva solo “tagliato marito” […] Mentre mi riferiva ciò notavo che in quel momento passava a passo svelto nel vialetto che fiancheggia la mia abitazione un uomo con in braccio il marito della donna. Dopo di che, quasi subito, lo stesso uomo, dopo aver posato il corpo, iniziava a correre verso la strada dove era parcheggiato un furgone bianco, con l’intenzione di scappare […] mentre chiudeva le porte posteriori del suo mezzo mi diceva soltanto: “Si è tagliato”. Dopo di che, senza darmi ulteriori spiegazioni, saliva in fretta e furia sul furgone e andava via sgommando a una forte velocità». Nel verbale del signor Ilario colpisce un particolare macabro: «Dopo l’arrivo dei soccorsi ho notato che fuori al cancello della mia abitazione vi era una cassettina di plastica nera, di quelle per la frutta, al cui interno vi era un pezzo dì mano, che è stato poi recuperato dai sanitari. Del resto del braccio non vi era traccia».Un altro vicino, Manmeet M., ha riferito di aver visto Lovato trasportare in casa Singh, «a cui mancava completamente un braccio», e di aver chiesto spiegazioni all’indagato: «Ma lui non mi riferiva nulla. Mentre Ilario parlava al telefono con gli operatori del 118, l’uomo a noi sconosciuto faceva il gesto del dito davanti la bocca, come per dirci di stare zitti». Anche il testimone indiano ha notato «la cassetta nera con all’interno la parte tranciata di un braccio con la mano». Nell’ordinanza di arresto il gip scrive: «Di tutta evidenza la circostanza per la quale l’indagato non voleva la morte del suo bracciante indiano, ma per la condotta posta in essere e le lucide modalità operative […] ha ragionevolmente previsto il probabile decesso di Satnam, accettando consapevolmente il rischio». In giurisprudenza questo atteggiamento viene definito dolo eventuale. Secondo il giudice «le visibili condizioni del bracciante in stato di semi incoscienza, con un braccio amputato e copiosa perdita ematica, rendono, per la valutazione di chiunque, inevitabile l’evento mortale, soprattutto in assenza di un repentino intervento sanitario».La fuga di Lovato, il lavaggio del furgone, la sottrazione dei cellulari alla vittima e alla moglie, «allo scopo di evitare che venissero allertati i soccorsi», definiti dalla pm Marina Marra «maliziosi accorgimenti», dimostrerebbero che «l’intenzione primaria dell’indagato fosse quella di nascondere quanto accaduto e che tale intendimento fosse preordinato a qualsiasi altro interesse, un risultato da raggiungere ad ogni costo, anche quello della vita altrui». Ad aggravare la posizione dell’indagato ci sono il fatto che Satnam non fosse regolarmente assunto, il macchinario «di fattura artigianale con funzione '”avvolgi-telo'” privo di qualsiasi certificazione di conformità», l’assenza di dispositivi di protezione individuale, l’utilizzo di lavoratori irregolari, la mancata previsione di specifici corsi di formazione.Alla fine il gip ha ritenuto la carcerazione di Lovato l’unica misura idonea «in considerazione della particolare gravità del fatto e della necessità di evitare condizionamenti e travisamenti delle possibili fonti di prova». Ma anche di impedire il ripetersi di tragedie come quelle di Singh.
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