2024-11-10
La sinistra parla di flop, ignorando l’ingente flusso ottenuto dalla Stato a costo zero. E senza ingolfare gli uffici pubblici.Quante squadre di finanzieri e verificatori dell’Agenzia delle entrate ci sarebbero voluti per recuperare da una platea sterminata di 160.000 contribuenti circa 1,3 miliardi di imposte relative a 8,5 miliardi di maggiori redditi? Probabilmente non sarebbero bastati i circa 30.000 dipendenti dell’AdE e l’intero corpo delle 64.000 Fiamme Gialle, impegnati per chissà quanti giorni, dopo i quali sarebbero stati ingolfati di ricorsi tutte le Commissioni tributarie del Paese, con inevitabili strascichi fino in Cassazione. Il tutto protratto per anni.Invece al viceministro Maurizio Leo e alla struttura dell’AdE è bastato che la sera dello scorso 31 ottobre arrivassero telematicamente le dichiarazioni dei redditi del 2023 di circa 500.000 contribuenti, accompagnate dall’accettazione della proposta di (maggiore) reddito formulata dal Fisco per i redditi 2024 e 2025. Si tratta dell’effetto della prima applicazione del Concordato preventivo biennale (Cpb). È così che si sono materializzati redditi aggiuntivi ai fini delle imposte dirette pari a 8,5 miliardi, oltre a 6,3 miliardi ai fini Irap e, di conseguenza, maggiori imposte per 1,3 miliardi che cominceranno ad affluire nelle casse del Mef già dal prossimo acconto di fine novembre, per poi manifestarsi in pieno nel 2025 tra acconti e saldi.Ma non è finita qui. È infatti ormai ufficiale la richiesta, messo nero su bianco da Fratelli d’Italia, di riapertura dei termini del concordato. Sul punto, il governo sta lavorando a un decreto che potrebbe approdare al prossimo Consiglio dei ministri atteso per martedì pomeriggio e che potrebbe fissare la nuova scadenza al 10 dicembre.Anche se sarà probabilmente limitata solo a coloro che hanno presentato la dichiarazione nel termine del 31 ottobre, è ragionevole attendersi un altro significativo flusso di entrate.Pur avendo bisogno di maggiori dettagli per comprendere meglio i comportamenti dei contribuenti e il maggior gettito che sarà definitivamente accertato, è comunque possibile fare alcune considerazioni sul risultato fin qui conseguito dal nuovo strumento voluto da Leo.È stato un successo, come rivendica il governo, o un fallimento, come denuncia l’opposizione? Diciamo subito che i numeri parlano da soli e testimoniano l’eccezionale efficienza dell’operazione. L’amministrazione finanziaria ci avrebbe messo anni e qualche milione di giornate/uomo per rovistare nei conti di 160.000 contribuenti e incassare (dopo un costoso contenzioso) 1,3 miliardi.Ma l’efficienza non basta e bisogna ragionare anche di rispetto dell’equità. E aver fatto emergere redditi di dubbia ma non certa provenienza, con uno strumento grezzo che non rappresenta certo una presunzione di redditi effettivi, concorre anche all’equità.In Italia, secondo le dichiarazioni del 2022, c’erano 2,7 milioni di contribuenti soggetti ai famosi Isa (indicatori sintetici di affidabilità) che variano da 1 a 10 (da minore a maggiore affidabilità). Si tratta di persone fisiche imprenditori, società di persone, società di capitali e lavoratori autonomi con fatturato non superiore a 5,1 milioni. Per completare il «popolo delle partite Iva», ci sono poi circa 1,8 milioni di «forfettari» con ricavi inferiori a 85.000 euro.Va fatta l’essenziale e decisiva premessa che gli Isa non attestano una condizione di evasione, ma sono semplicemente un indice di «allarme» circa l’attendibilità del reddito dichiarato, insomma uno strumento grezzo per analizzare e selezionare la platea dei contribuenti, non certo una presunzione di reddito per legge. L’evasione va provata con gli strumenti previsti dall’ordinamento. I 2,7 milioni si dividono in 1,5 milioni di soggetti potenzialmente meno attendibili (Isa minore di 8) e 1,2 milioni più attendibili (Isa maggiore di 8).La proposta del Fisco ha ovviamente richiesto un reddito molto più alto rispetto al dichiarato ai soggetti con Isa basso, mentre ai soggetti con Isa 10 ha sostanzialmente confermato l’ultimo reddito dichiarato. Chi ha aderito verserà sul maggior reddito proposto rispetto al dichiarato un’imposta sostitutiva. Più è basso l’Isa di partenza, più è alta l’aliquota (al massimo 15%). Si è così creato uno «scivolo» per consentire al contribuente di superare lo scoglio dell’emersione di maggiori redditi.Ognuno si è fatto i suoi calcoli e, dei 500.000 contribuenti che hanno aderito al Cpb, 100.000 sono «forfettari», che tralasciamo per semplicità, 243.000 (il 20%) appartengono ai 1,2 milioni più affidabili e 160.000 (l’11%) appartengono ai 1,5 milioni meno affidabili.Poiché i 243.000 contribuenti con Isa alto si sono visti proporre - proprio per la loro presunta affidabilità - redditi molto vicini a quelli dichiarati, tutto il maggior reddito imponibile e gettito è attribuibile ai 160.000 soggetti che per arrivare a un Isa tra 8 e 10, hanno dovuto impegnarsi a versare 1,3 miliardi di maggiori imposte (sostitutive). Una cifra enorme, se si considera che i 160.000 appartengono a 1,3 milioni di contribuenti (con ricavi superiori a 30.000 euro) il cui reddito medio nel 2022 è stato 24.900 euro. Quei redditi ora vengono all’incirca raddoppiati.Lo Stato avrebbe potuto incassare di più e quindi ha fatto un regalo ai contribuenti? Ipotizzare uno scenario controfattuale non è facile. Tuttavia è ragionevole ipotizzare che lo Stato non ha regalato nulla ai 243.000 soggetti «fedeli» i quali se hanno aderito lo hanno fatto in previsione di redditi stabili o in aumento nel 2024-2025, ma comunque prendendo anche il rischio di un calo di ricavi. Hanno preferito la tranquillità rispetto a controlli che avrebbero fatto perdere solo tanto tempo. Infatti il 20% degli «affidabili» che ha aderito, è percentuale troppo alta per presumere che siano solo quelli che prevedono di aumentare il reddito nel prossimo biennio e guadagnarci, pagando le imposte (ad aliquota piena, non sostitutiva) solo sul reddito concordato che resta fisso.I 160.000 presunti «reprobi», nel caso fossero davvero evasori, hanno colto l’occasione per far emergere redditi che mai sarebbero emersi, stante la bassissima probabilità che il Fisco riesca a raggiungerli e, soprattutto, a dimostrare le proprie pretese. In ogni caso, hanno preferito «comprare tranquillità» a fronte di aliquote non proibitive. Considerato che hanno aderito sulla spinta di uno strumento grezzo che non rappresenta per nulla i redditi effettivi, il semplice fatto che abbiano deciso di pagare 1,3 miliardi è un passo avanti per migliorare l’equità orizzontale tra contribuenti perché, in uno scenario controfattuale, l’incasso per lo Stato sarebbe stato probabilmente zero.
Agostino Ghiglia e Sigfrido Ranucci (Imagoeconomica)
Il premier risponde a Schlein e Conte che chiedono l’azzeramento dell’Autorità per la privacy dopo le ingerenze in un servizio di «Report»: «Membri eletti durante il governo giallorosso». Donzelli: «Favorevoli a sciogliere i collegi nominati dalla sinistra».
Il no della Rai alla richiesta del Garante della privacy di fermare il servizio di Report sull’istruttoria portata avanti dall’Autorità nei confronti di Meta, relativa agli smart glass, nel quale la trasmissione condotta da Sigfrido Ranucci punta il dito su un incontro, risalente a ottobre 2024, tra il componente del collegio del Garante Agostino Ghiglia e il responsabile istituzionale di Meta in Italia prima della decisione del Garante su una multa da 44 milioni di euro, ha scatenato una tempesta politica con le opposizioni che chiedono l’azzeramento dell’intero collegio.
Il sindaco di Milano Giuseppe Sala (Imagoeconomica)
La direttiva Ue consente di sforare 18 volte i limiti: le misure di Sala non servono.
Quarantaquattro giorni di aria tossica dall’inizio dell’anno. È il nuovo bilancio dell’emergenza smog nel capoluogo lombardo: un numero che mostra come la città sia quasi arrivata, già a novembre, ai livelli di tutto il 2024, quando i giorni di superamento del limite di legge per le polveri sottili erano stati 68 in totale. Se il trend dovesse proseguire, Milano chiuderebbe l’anno con un bilancio peggiore rispetto al precedente. La media delle concentrazioni di Pm10 - le particelle più pericolose per la salute - è passata da 29 a 30 microgrammi per metro cubo d’aria, confermando un’inversione di tendenza dopo anni di lento calo.
Bill Gates (Ansa)
Solo pochi fanatici si ostinano a sostenere le strategie che ci hanno impoverito senza risultati sull’ambiente. Però le politiche green restano. E gli 838 milioni versati dall’Italia nel 2023 sono diventati 3,5 miliardi nel 2024.
A segnare il cambiamento di rotta, qualche giorno fa, è stato Bill Gates, niente meno. In vista della Cop30, il grande meeting internazionale sul clima, ha presentato un memorandum che suggerisce - se non un ridimensionamento di tutto il discorso green - almeno un cambio di strategia. «Il cambiamento climatico è un problema serio, ma non segnerà la fine della civiltà», ha detto Gates. «L’innovazione scientifica lo arginerà, ed è giunto il momento di una svolta strategica nella lotta globale al cambiamento climatico: dal limitare l’aumento delle temperature alla lotta alla povertà e alla prevenzione delle malattie». L’uscita ha prodotto una serie di reazioni irritate soprattutto fra i sostenitori dell’Apocalisse verde, però ha anche in qualche modo liberato tutti coloro che mal sopportavano i fanatismi sul riscaldamento globale ma non avevano il fegato di ammetterlo. Uscito allo scoperto Gates, ora tutti possono finalmente ammettere che il modo in cui si è discusso e soprattutto si è agito riguardo alla «crisi climatica» è sbagliato e dannoso.
Elly Schlein (Ansa)
Avete presente Massimo D’Alema quando confessò di voler vedere Silvio Berlusconi chiedere l’elemosina in via del Corso? Non era solo desiderare che fosse ridotto sul lastrico un avversario politico, ma c’era anche l’avversione nei confronti di chi aveva fatto i soldi.
Beh, in un trentennio sono cambia ti i protagonisti, ma la sinistra non è cambiata e continua a odiare la ricchezza che non sia la propria. Così adesso, sepolto il Cavaliere, se la prende con il ceto medio, i nuovi ricchi, a cui sogna di togliere gli sgravi decisi dal governo Meloni. Da anni si parla dell’appiattimento reddituale di quella che un tempo era la classe intermedia, ma è bastato che l’esecutivo parlasse di concedere aiuti a chi guadagna 50.000 euro lordi l’anno perché dal Pd alla Cgil alzassero le barricate. E dire che poche settimane fa la pubblicazione di un’analisi delle denunce dei redditi aveva portato a conclusioni a dir poco sor prendenti. Dei 42,6 milioni di dichiaranti, 31 milioni si fanno carico del 23,13 dell’Irpef, mentre gli altri 11,6 milioni pagano il resto, ovvero il 76,87 per cento.
In sintesi, il 43 per cento degli italiani non paga l’imposta, mentre chi guadagna più di 60.000 euro lordi l’anno paga per due. Di fronte a questi numeri qualsiasi persona di buon senso capirebbe che è necessario alleggerire la pressione fiscale sul ceto medio, evitando di tartassarlo. Qualsiasi, ma non i vertici della sinistra. Pd, Avs e Cgil dunque si agitano compatti contro gli sgravi previsti dal la finanziaria, sostenendo che il taglio dell’Irpef è un regalo ai più ricchi. Premesso che per i redditi alti, cioè quello 0,2 per cento che in Italia dichiara più di 200.000 euro lordi l’anno, non ci sarà alcun vantaggio, gli altri, quelli che non sono in bolletta e guadagnano più di 2.000 euro netti al mese, pare davvero difficile considerarli ricchi. Certo, non so no ridotti alla canna del gas, ma nelle città (e quasi sempre le persone con maggiori entrate vivono nei capoluoghi) si fa fatica ad arrivare a fine mese con uno stipendio che per metà e forse più se ne va per l’affitto. Negli ultimi anni le finanziarie del governo Meloni hanno favorito le fasce di reddito basse e medie. Ora è la volta di chi guadagna un po’di più, ma non molto di più, e che ha visto in questi anni il proprio potere d’acquisto eroso dall’inflazione. Ma a sinistra non se la prendono solo con i redditi oltre i 50.000 euro. Vogliono anche colpire il patrimonio e così rispolverano una tassa che punisca le grandi ricchezze e le proprietà immobiliari. Premesso che le due cose non vanno di pari passo: si può anche possedere un appartamento del valore di un paio di milioni ma, avendolo ereditato dai geni tori, non avere i soldi per ristrutturarlo e dunque nemmeno per pagare ogni anno una tassa.
Dunque, possedere un alloggio in centro, dove si vive, non sempre è indice di patrimonio da ricchi. E poi chi ha una seconda casa paga già u n’imposta sul valore immobiliare detenuto ed è l’I mu, che nel 2024 ha consentito allo Stato di incassare l’astronomica cifra di 17 miliardi di euro, il livello più alto raggiunto negli ultimi cinque anni. Milionari e miliardari, quelli veri e non immaginati dai compagni, certo non hanno il problema di pagare una tassa sui palazzi che possiedono, ma non hanno neppure alcuna difficoltà a ingaggiare i migliori fiscali sti per sottrarsi alle pretese del fisco e, nel caso in cui neppure i professionisti sia no in grado di metterli al riparo dall’Agenzia delle entrate, possono sempre traslocare, spostando i propri soldi altrove. Come è noto, la finanza non ha confini e l’apertura dei mercati consente di portare le proprie attività dove è più conveniente. Quando proprio il Pd, all’e poca guidato da Matteo Renzi, decise di introdurre una flat tax per i Paperoni stranieri, migliaia di nababbi presero la residenza da noi. E se domani l’imposta venisse abolita probabilmente andrebbero altrove, seguiti quasi certamente dai ricconi italiani. Del resto, la Svizzera è vicina e, come insegna Carlo De Benedetti, è sempre pronta ad accogliere chi emigra con le tasche piene di soldi. Inoltre uno studio ha recentemente documentato che l’introduzione negli Usa di una patrimoniale per ogni dollaro incassato farebbe calare il Pil di 1 euro e 20 centesimi, con una perdita secca del 20 per cento. Risultato, la nuova lotta di classe di Elly Schlein e compagni rischia di colpire solo il ceto medio, cancellando gli sgravi fiscali e inasprendo le imposte patrimoniali. Quando Mario Monti, con al fianco la professoressa dalla lacrima facile, fece i compiti a casa per conto di Sarkozy e Merkel , l’Italia entrò in de pressione, ma oggi una patrimoniale potrebbe essere il colpo di grazia.
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