2024-08-31
Con Sant’Agata l’Abruzzo si fa... tentatore
Gli arrosticini sono un'cona della tradizione abruzzese. Nel riquadro, Sant'Agata (iStock)
Venerata per dare fertilità al latte materno, a lei sono dedicate le «sise delle monache», dolce dalla forma inconfondibile a cui nessuno resiste. Ma la terra natia di Gabriele d’Annunzio può vantare altre seduzioni culinarie, come arrosticini, ferratelle e bocconotto.È giunta l’ora di cambiare passo al ritmo di una panarda carnivora che, in Abruzzo, si declina a paso doble, ovina e suina. Terra (anche) di pastori e transumanza associata, non può mancare la scoperta della pecora alla callara. Venivano utilizzate o le femmine sterili, quindi poco remunerative sul versante latteo caseario e riproduttivo o quelle che, lungo i tratturi, si azzoppavano in forma grave. Per callara si intendevano i paiuoli di rame sorretti da un treppiede e appesi con un gancio sopra il fuoco. Per alcuni studiosi della cultura rurale, callara era anche sinonimo di gratitudine, ovvero quelle carni che i proprietari delle greggi omaggiavano ai pastori al termine della stagione, di ritorno dal tavoliere pugliese. Al di là delle ricostruzioni etimologiche, andando di sostanza, la pecora alla callara era piatto goloso e ricercato, che richiedeva una lunga e paziente preparazione, ma i cui ingredienti, dall’alloro al rosmarino, passando per ginepro e peperoncino, regalavano emozioni al gusto e all’olfatto. Pecora eclettica con i famosissimi arrosticini, goduria pura per chi li ha provati. Piccoli spiedini ricavati dalla lavorazione dell’animale nei periodi di ferma. Inizialmente si utilizzavano i tagli meno pregiati, ma quando la giusta fama li ha valorizzati per la crescente richiesta si è utilizzato il meglio del taglio ovino. Uno spettacolo vederli allestire in diretta. I migliori ambasciatori dello street food abruzzese. Sono piccoli tagli infilati su spiedini detti «li cippe», ma il segreto sta nel braciere dedicato, lungo e stretto, così da non ustionare le mani degli spiedanti e, a seguire, nemmeno poi le labbra dei golosi arrostivori. Per gli irriducibili nicchia dedicata, gli arrosticini di «fegato fetc», ovvero la frattaglia epatica alternata a pezzetti di lardo e cipolla. È ora di cambiare passo, anzi zampa, e arriviamo alla suinopoli abruzzese. Non c’è che l’imbarazzo della scelta. Il suino nero, in questo caso abruzzese, una variante molto presente al Sud con isole etniche in Piemonte e Friuli. Ben descritta dal puntuale notaio della sua terra, Gabriele d’Annunzio che in Terra vergine così ne parlava: «Frutto evoluzionistico di un millenario adattamento alle terre d’Abruzzo». Per secoli, il suo allevamento allo stato semi brado, con libero pascolo lungo i boschi di faggio, castagno o quercia. Carni sode e saporite. Poi, con l’arrivo della modernità, «fagocitato dallo sviluppo della suinicoltura industriale». Negli ultimi anni, come avvenuto in altre Regioni con altre razze autoctone, anche l’Abruzzo ha avuto chi si è preso cura di salvaguardare un patrimonio identitario del territorio. E così, grazie al veterinario Simone Angelucci e a piccoli produttori di resistenza suina, anche il Nero d’Abruzzo ha ricominciato a grufolare in libertà, allevato allo stato brado, all’interno delle vallate del Parco Nazionale della Maiella. Quando la lavorazione avveniva in famiglia un prodotto classico di prima mattanza era «lu ciffe e ciaffe». Tagli minori, poco indicati per essere insaccati a maturazione conseguente. Spadellati al volo, preferibilmente con peperoni, alloro e rosmarino. Sull’etimo due chiavi di lettura. Per alcuni «ciffe» e «ciaffe» sono una trasposizione scritta dell’acustica conseguente al rumore della frittura, per altri un rimando ad «acciaffare», sbrigare in fretta le faccende di casa, in questo caso applicate ai fornelli. Molto rinomata la ventricina, un piccolo insaccato tra i più premiati a livello nazionale, formato da cubetti irregolari amalgamati tra loro. Ideale come ragù o a farcire ravioli conseguenti. Con radici che affondano nel Rinascimento, la mortadella di Campotosto, facilmente riconoscibile al taglio per una barretta di lardo, «il lardello» che la attraversa lungo tutto l’asse. Tradizione voleva che le carni, una volta macinate, fossero irrobustite con varie spezie e l’impasto, il «marretto», lasciato frollare all’interno di un contenitore di legno, lo «scifone», sorta di incubatrice del gusto. Una volta insaccata, sempre e rigorosamente a mano, affumicata e lasciata essiccare esposta ai venti di tramontana. Posto che del maiale non si butta via niente solo per intenditori impenitenti i piedini in salsa. Disossati e bolliti, serviti con una salsa di uova e acciughe e una giardiniera di verdure a decorare degnamente il tutto. In terre d’Abruzzo non può mancare la tappa casearia, prevalentemente a dimensione ovina e caprina. Tutti conoscono caciocavallo e pecorino, ma merita la scoperta golosa il caciomarcetto. Oramai è divenuto di nicchia e non commercializzabile, salvo trovarlo da piccoli casari a dimensione domestica. Poteva capitare che qualche forma di pecorino presentasse delle imperfezioni sulla superficie durante l’affinamento. Scattava il piano B. Ripulito e tagliato a pezzetti, posto in un barattolo di coccio e abbinato con latte e aceto per una nuova fermentazione. Dopo due settimane una intrigante crema spalmabile da papparsi golosi su fette di pane abbrustolite. Non c’è panarda che tenga di fronte alle dolci tentazioni finali. Anche qui si aprono porte verso mondi e tradizioni golose tutte da scoprire. In ogni famiglia lo stampo per le ferratelle era custodito gelosamente, magari con le iniziali dei patriarchi, per essere trasmesso di generazione in generazione. Piccole cialde dalla forma caratteristica di rombi bucherellati. Da gustare croccanti come ad accompagnare creme o gelati. C’era anche la versione morbida, arrotolata e farcita a piacere. Era la piccola coccola golosa che la sposa omaggiava a chi veniva a salutarla per contribuire alla dote che poi l’avrebbe accompagnata in quella che tutti le auguravano felice vita familiare. Spesso, nei dietro le quinte dei matrimoni di paese, era proprio la qualità delle ferratelle a fare la differenza nel giudizio di vicinato su tutta la cerimonia con l’anello e le promesse di amore eterno. Divertente la cornice che accompagna la storia dei bocconotti, una coccola golosa con diverse varianti locali che trova a Castelfrentano le sue radici. Si narra che, attorno al Settecento, anche nei paesi giunsero gli intriganti aromi esotici di cioccolato e caffè. Un notabile del posto ne era particolarmente goloso, ma era materia preziosa da trattare con attenzione. Fu così che la domestica addetta alla cucina fece di necessità virtù. Li unì, con gocce dedicate, a una frolla di tuorlo d’uova e zucchero. All’espressione gioiosamente stupita del padrone, a domanda su quale fosse il nome la risposta conseguente. «Bocconotto», posto che si mangiavano in un sol boccone. Molti conoscono la cicerchiata, orgoglio dell’area legata al fiume Sangro, dove l’apicoltura fornisce miele di primissima qualità che serve poi da legante con intriganti palline di farina e uova fritte nell’olio. Divertente la storia che accompagna le sise delle monache, che tradizione vuole nate nel monastero di Guardiagrele. Una triade formata da sorta di bignè di pan di Spagna farciti con crema pasticcera. Dedicate a Sant’Agata venerata in Abruzzo per dare fertilità al latte materno. La versione goliardica vuole che la triade sia una citazione del fatto che le monache, per attenuare le curve anteriori aggiungessero un panno a rimpolpare i saliscendi dei loro pettorali. L’orgoglio abruzzese vede invece, nella triade pasticcera una citazione delle tre cime abruzzesi, Gran Sasso, Maiella e Sirente, le più alte di tutta la catena appenninica. Degna conclusione il parrozzo, reso celebre da d’Annunzio che ha il copyright del nome. Una rilettura creativa del pan rozzo, il rustico pane dei contadini, voluta nel 1920 da Luigi D’Amico. Il giallo del granturco rivisto con la stessa chiave cromatica grazie a uova e farina di mandorle. La crosta scura ingentilita, invece, con uno strato di cioccolato. Colpì talmente il Vate che non gli assegnò solo il nome ma compose pure «la canzone del parrozzo», in seguito poi accompagnata da armonia musicale utilizzata dalle bande di paese nelle feste dedicata, panarda compresa.
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
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