2024-09-02
Se imbarca Renzi il campo largo salta in aria
I progressisti non sono mai riusciti a concludere la legislatura con lo stesso premier: segno che le ammucchiate elettorali non assicurano la stabilità. Figurarsi se ora decidessero di riabbracciare l’ex rottamatore, maestro nel pugnalare gli alleati.«Uniti si vince» ha spiegato Ivan Scalfarotto, senatore di Italia Viva, uno dei pochi fuoriusciti del Pd che dopo le giravolte di Matteo Renzi non abbia ancora tagliato la corda, lasciando il partitino del senatore semplice di Scandicci. «Senza il 7,5 per cento dell’area riformista, si perde» assicura l’ex sottosegretario dei governi di sinistra che si sono succeduti negli ultimi dieci anni. Vero, per riuscire non dico a trionfare, ma almeno ad avere la speranza di non essere sconfitta, la sinistra ha bisogno dei voti di tutti, dei compagni di Soumahoro e della Salis, ma anche degli amici post democristiani tipo Renzi e Calenda. Dunque, serve un’ammucchiata, con dentro la sinistra estremista e il centro opportunista. Il problema è che dopo, l’Unione arcobaleno, ammesso e non concesso che riesca a vincere, deve governare. E lì comincerebbero i dolori.Se si prendono a esempio gli ultimi trent’anni, cioè da quando è stato introdotto il sistema maggioritario, i compagni non sono mai riusciti a concludere una legislatura con lo stesso premier. Nel 1996, approfittando della rottura fra la Lega e Forza Italia (che come è noto fu pilotata da Oscar Luigi Scalfaro, il quale garantì a Umberto Bossi che non avrebbe sciolto il Parlamento se avesse tolto l’appoggio a Berlusconi dopo l’avviso di garanzia), vinsero candidando Romano Prodi, ma meno di un anno e mezzo dopo, grazie a Fausto Bertinotti, il professor Mortadella fu mandato a casa e sostituito da Massimo D’Alema, il quale in meno di due anni fece in tempo a guidare due governi prima di essere sostituito da Giuliano Amato. Non andò meglio nel 2006, col Prodi bis, che riprovò a riproporre l’ammucchiata rossa ma durò appena due anni. Nel 2013 fu la volta di Enrico Letta, poi di Renzi e quindi di Paolo Gentiloni. L’ultimo governo di sinistra che si ricordi, quello di Giuseppe Conte, è pure caduto grazie al voltafaccia di Renzi, il quale fece dimettere i suoi ministri pur di mandare a casa il parolaio grillino che lui stesso aveva contribuito a far restare a Palazzo Chigi, alla guida di un governo di Pd e 5 stelle.Con questi precedenti si capisce che i cartelli elettorali dei compagni durano fino a che si fa l’esecutivo, poi liberi tutti. Prova ne sia che i governi più longevi della storia repubblicana restano quelli di Silvio Berlusconi, mentre Giorgia Meloni si avvia a superare la boa dei due anni.Giuseppe Conte, che ha provato sulla propria pelle l’ambiguità di Renzi, all’ipotesi di un «Tutti dentro» per battere il centrodestra ha risposto senza esitazioni: «Sarebbe un harakiri», aggiungendo che l’ammucchiata con l’uomo che lo pugnalò preferendogli Mario Draghi non soltanto è inaccettabile, ma sarebbe difficilmente comprensibile dagli elettori, perché Italia Viva in questa legislatura ha votato quasi sempre con la destra. Difficile dargli torto. Ma oltre a essere incomprensibile per i militanti della sinistra (che ne hanno chiesto conto a Elly Schlein durante una festa del Pd), sarebbe anche ad alto rischio. Altro che campo largo, l’Unione con Renzi sarebbe un campo minato. Perché è vero che pur di salire sul carro della sinistra l’ex premier sarebbe pronto ad accogliere senza fiatare qualsiasi condizione, digerendo pure il referendum sul jobs act, il salario minimo, il reddito di cittadinanza e persino la reintroduzione del Superbonus, senza contare una stretta giustizialista per far contenti i grillini. Ma poi, ammessa e non concessa una vittoria del campo largo, Renzi tornerebbe a fare quello che sa fare meglio, ovvero ricattare i suoi stessi alleati. Non so chi lo ha detto: ma il fondatore di Italia Viva è la perfetta rappresentazione della favola dello scorpione. Quando la rana è punta dall’aracnide, che condanna entrambi alla morte in mezzo al fiume, chiede perché. E la risposta dello scorpione potrebbe stare benissimo in bocca a Renzi: «Non ci posso fare niente. È la mia natura». Di guastatore e di guastafeste. La sinistra è avvisata: se vuole cascare nel tranello non deve fare altro che traghettare Renzi. Ps. In Liguria Conte accetta di levare il candidato grillino per far posto ad Andrea Orlando, suo ex ministro. Ma in questo caso Renzi è quasi ininfluente. Che ci sia o non ci sia non cambia nulla. In questo caso il leader pentastellato non deve guardarsi le spalle. O meglio: deve guardarsele solo da Grillo.
Mario Venditti. Nel riquadro, da sinistra, Francesco Melosu e Antonio Scoppetta (Ansa)
Nel riquadro: Ferdinando Ametrano, ad di CheckSig (IStock)
Francesca Albanese (Ansa)