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Con l’indeciso Conte non vinceremo questa guerra

Con l’indeciso Conte non vinceremo questa guerra
Giuseppe Conte (Ansa)

Riavvolgendo il nastro di ciò che è accaduto negli ultimi 20 giorni si capiscono tante cose. Soprattutto si comprende quanto l'esitazione di chi ci governa o ha compiti di indirizzo sia pericolosa. Lo scrivo pensando alla decisione presa ieri da Giuseppe Conte di non estendere a tutto il territorio nazionale le misure sollecitate dai rappresentanti del centrodestra. A Palazzo Chigi, Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Antonio Tajani si sono presentati con una richiesta chiara: chiudere tutto per almeno 15 giorni.

Uffici, aziende, servizi: lasciando aperte solo le farmacie e i negozi di alimentari, cioè gli esercizi di prima necessità, per consentire agli italiani di curarsi e di nutrirsi. Un Paese in quarantena, ecco quello che ha sollecitato il centrodestra. Certo può sembrare una misura drastica, se non addirittura folle e controproducente, almeno per le finanze del Paese. Ma se non avessimo davanti l'esempio della Cina, se non avessimo già sperimentato sulla pelle di 10.000 persone che cos'è il Covid-19, ossia il virus che ha già portato alla morte oltre 600 contagiati, non appoggeremmo questa richiesta.

Chiudere tutto per fermare tutto. Venti giorni di coronavirus dovrebbero avere insegnato questo, perché dopo tre settimane abbiamo capito che il Covid-19 si propaga a una velocità impressionante e non si tratta di un'influenza poco più grave di quella che colpisce milioni di italiani ogni anno, come molti ci hanno spiegato. Per combattere la malattia importata da Pechino non basta mettersi a letto, prendendo un'aspirina o uno sciroppo per la tosse. La malattia che abbiamo importato da Pechino è un killer silenzioso, che colpisce con determinazione, una determinazione che purtroppo è mancata a chi ci guida o per lo meno si è arrogato il compito di farlo.

Non voglio fare qui polemiche o andare a caccia di responsabilità. Tuttavia, per comprendere se sia giusto o meno estendere a tutta Italia ciò che hanno detto i governatori di Lombardia e Veneto basterebbe ricordare ciò che è accaduto appena un mese fa. Alle prime avvisaglie di diffusione del virus, Attilio Fontana, Luca Zaia, Massimiliano Fedriga e Maurizio Fugatti, ossia i presidenti di tre regioni del Nord insieme con quello della Provincia autonoma di Trento, chiesero la quarantena per i bambini di ritorno dalla Cina. La lettera, indirizzata al ministro della Salute, fu subito tacciata di razzismo, in quanto proveniente da governatori leghisti. In realtà, l'isolamento delle persone arrivate da Pechino era la misura minima, forse la più lieve che fosse sensato adottare di fronte a un'epidemia che rischiava di contagiarci. In risposta alla richiesta dei quattro arrivarono messaggi tranquillizzanti, gli stessi che abbiamo sentito ripetere nelle settimane a venire. La situazione è grave, ma - dicevano da Palazzo Chigi e dintorni - abbiamo varato tutte le misure per arginare il contagio.


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Il 41% degli italiani non ha fiducia in Francesca Albanese e solo il 17% si esprime a favore della relatrice speciale delle Nazioni Unite sui Territori palestinesi occupati. È quanto emerge dal sondaggio Youtrend pubblicato ieri. Un focus singolare, visto che non si tratta di un politico ma di un personaggio mediatico, ultimamente al centro di numerose polemiche e dibattiti.

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La Kallas pensa di aver vinto e detta le sue condizioni a Mosca
Kaja Kallas (Ansa)
L’Alto rappresentante di Bruxelles prosegue sulla linea dura, smentita persino da Kiev.

«Il problema per la pace è la Russia. Anche se l’Ucraina ricevesse garanzie di sicurezza, ma non ci fossero concessioni da parte russa, avremmo altre guerre, magari non in Ucraina ma altrove». Inizia così l’intervista di ieri al Corriere della sera dell’Alto rappresentante per gli Affari esteri e la politica di sicurezza dell’Ue, l’estone Kaja Kallas. La rappresentante della diplomazia di Bruxelles, in pratica, agita ancora lo spauracchio di una Russia pronta ad aggredire l’Europa non appena conclusa in qualche modo la guerra in Ucraina. Del resto, la minaccia russa serve proprio a giustificare una serie di grandi manovre in corso tra Bruxelles e le capitali europee, tra riarmo a tappe forzate, ritorno della leva e tentativi di utilizzo degli asset russi congelati in Europa.

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Il banchiere si ribella: non c’è solo la guerra...
Carlo Messina all'inaugurazione dell'Anno Accademico della Luiss (Ansa)
Messina, numero uno di Intesa, parla agli studenti: «Se il conflitto diventa l’unico tema si perde il contatto con la realtà. Invece in Europa i rischi veri arrivano da povertà e disuguaglianza, non da un evento bellico che è una minaccia solo potenziale».

«Se la guerra diventa l’unico tema si perde il contatto con la realtà». Parla agli studenti e pensa all’Europa, Carlo Messina all’inaugurazione dell’anno accademico dell’Università Luiss a Roma. Davanti alla classe dirigente del futuro, il ceo di Banca Intesa decide di abbandonare grafici e coefficienti, di tenersi in tasca proiezioni e citazioni da banker stile Wall Street per mettere il dito nella piaga di un’Unione Europea votata ottusamente al riarmo fine a se stesso. «La difesa è indispensabile, ma è possibile che la priorità di quelli che ci governano sia affrontare tutti i giorni il tema di come reagire alla minaccia di una guerra?».

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Casarini guida i migranti verso la rivolta
Luca Casarini. Nel riquadro, il manifesto abusivo comparso a Milano (Ansa)
Il dissidente diventato credente sbotta contro il fermo dell’Ong Humanity 1: «Faremo fuggire gli innocenti che tenete prigionieri». A Milano invece spuntano dei manifesti anonimi con un vademecum in più lingue per gli irregolari per evitare che finiscano nei cpr.

Da tempo, Luca Casarini preferisce il mare alla terra ferma. Tolta la tuta bianca che lo aveva reso famoso, ha iniziato a indossare il salvagente e a navigare attorno alle coste della Libia alla disperata ricerca di migranti da salvare. Da disobbediente è diventato credente, anche se solo in ciò che gli fa comodo, imbarcando un don Chichì, per dirla con Giovannino Guareschi, come Mattia Ferrari.

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