
La task force a guida dem ha poche idee e inutili: mascherine e più didattica on line. Ma senza 30.000 prof addio riaperture.Ci siamo preoccupati per niente, e invece era tutto a posto, siamo i soliti malfidenti. Altro che cattivi pensieri: adesso sappiamo che la task force creata dal ministro dell'Istruzione, Lucia Azzolina, e deputata a decidere sulla riapertura delle scuole ha già pronto il suo «Rapporto intermedio». Ben 60 pagine che – spiega Repubblica - «partono da una visione che fa riferimento alla Costituzione». Insomma: l'ideologia c'è, il resto può passare in secondo piano. Del resto il capo della task force suddetta è Patrizio Bianchi, economista ed ex rettore dell'Università di Ferrara. Uno che con la Costituzione (o, meglio, con la sua interpretazione in chiave ultra progressista) è proprio fissato. Nel 2019, da assessore all'Istruzione dell'Emilia Romagna, proponeva alla piazza rumoreggiante di «lanciare ora una raccolta fondi per regalare al ministro Salvini una copia della Costituzione».Bianchi ha più volte esposto le proprio idee in materia di riforma della scuola, e quando ha accettato l'incarico per conto della Azzolina sembrava entusiasta: «Questa contingenza», ha detto in un'intervista, «ci offre l'opportunità unica di ridisegnare l'intero sistema scolastico». Che bello: grazie al disastro Coronavirus si potrà finalmente ribaltare la scuola italiana come un calzino. «Abbiamo la possibilità di portare la scuola fuori dal paradigma fordista in cui è ancora immersa», ha detto sempre Bianchi.E come si esce dalla «scuola fordista», qualunque cosa voglia dire? Semplice, con la digitalizzazione: «Le tecnologie permettono di sperimentare nuove soluzioni e garantire agli studenti di trovare risposte più efficaci ai loro bisogni di apprendimento specifici e differenziati, uscendo così da una sequenzialità vincolata», sostiene Bianchi.Quanto abbia funzionato bene finora la digitalizzazione lo abbiamo visto: circa la metà degli studenti non ha partecipato alla didattica a distanza. E quelli che ne hanno goduto, per la maggior parte, l'hanno trovata inutilmente faticosa e sgradevole. Eppure par di capire che delle «lezioni virtuali» non ci libereremo tanto facilmente: è probabile infatti che, almeno alle superiori, rimanga sul piatto.Il punto più dolente dell'intera questione educativa è proprio questo. Al di là degli slogan e del «quadro ideologico» che indirizza l'azione della task force, il piano di rientro studiato dal Comitato tecnico scientifico assieme al ministero dell'Istruzione odora di frittura d'aria. Sostanzialmente dovrebbe funzionare così: si tornerà in classe con ingressi scaglionati. Gli studenti, la mattina, entreranno «dalle 8 alle 10, ogni mezz'ora, a gruppi». Dovranno tenere la mascherina ma non i guanti, potranno levarla solo per le interrogazioni. Fra i banchi dovrà esserci un metro di distanza. In mensa ci saranno le stesse regole che valgono per i ristoranti, e solo i bambini delle materne (3-5 anni) potranno fare a meno dei dispositivi di protezione. Riassumendo: distanza, mascherine e che Dio ce la mandi buona. Questa sarebbe la grande visione del governo per il futuro dell'istituzione scolastica? Andiamo bene.Il fatto è che, per garantire il rispetto delle distanze e per gestire decentemente gli ingressi scaglionati, serve aumentare il numero delle classi. Dunque servono più insegnanti. Ma su questo aspetto, come sappiamo, il governo è ancora nel pallone. Il presidente della commissione Cultura del Senato, il leghista Mario Pittoni, da tempo propone una soluzione di buon senso. In estrema sintesi, si tratta di procedere al reclutamento dei professori tramite graduatoria. Una prima infornata da 40.000 persone (per altro posto già concordati) e un'altra da 60.000. Tutti insegnanti che hanno titoli ed esperienza. Ai concorsi si potrà pensare più avanti, a emergenza finita. Altrimenti, dice Pittoni, rischieremmo di iniziare l'anno con quasi 30.000 insegnanti titolari in meno, altro che le migliaia in più che l'emergenza richiede. «Il problema è che sulla scuola, almeno per quanto riguarda l'assunzione di personale, non è stato messo un centesimo», sospira il leghista. «La mediazione del governo è sul nulla: nessuna delle proposte sul tavolo garantisce docenti a tempo indeterminato in cattedra a settembre».Senza insegnanti in più, è evidente che qualunque piano è destinato a fallire. Gli studenti hanno necessità di tornare in classe, hanno già perso anche troppo tempo, e a questo punto rischiano di trovare - al rientro - una scuola ancora più disastrata di prima.Poi c'è chi, in aula, non ci tornerà proprio. Sembra che quasi nessuno s'indigni all'idea che gli universitari possano tornare a frequentare le lezioni soltanto nel 2021. In questo modo, come ha notato Giorgio Agamben, «l'elemento della presenza fisica, in ogni tempo così importante nel rapporto fra studenti e docenti, scompare definitivamente, come scompaiono le discussioni collettive nei seminari, che erano la parte più viva dell'insegnamento». Secondo il filosofo, finirà «lo studentato come forma di vita»: «Gli studenti non vivranno più nella città dove ha sede l'università, ma ciascuno ascolterà le lezioni chiuso nella sua stanza, separato a volte da centinaia di chilometri da quelli che erano un tempo i suoi compagni. Le piccole città, sedi di università un tempo prestigiose, vedranno scomparire dalle loro strade quelle comunità di studenti che ne costituivano spesso la parte più viva». Ma pare che tutto ciò non susciti particolare sgomento. Vediamo comitati tecnici, task force, complicate alchimie politiche. Ma alla fine ci troviamo davanti al più triste degli esiti: sulla scuola, a tutti i livelli, non ci sarà alcun investimento potente, né sul piano economico né su quello strategico. Digitalizzazione, distanze e qualche mascherina. Come al supermercato, niente di più.
Scontri fra pro-Pal e Polizia a Torino. Nel riquadro, Walter Mazzetti (Ansa)
La tenuità del reato vale anche se la vittima è un uomo in divisa. La Corte sconfessa il principio della sua ex presidente Cartabia.
Ennesima umiliazione per le forze dell’ordine. Sarà contenta l’eurodeputata Ilaria Salis, la quale non perde mai occasione per difendere i violenti e condannare gli agenti. La mano dello Stato contro chi aggredisce poliziotti o carabinieri non è mai stata pesante, ma da oggi potrebbe diventare una piuma. A dare il colpo di grazia ai servitori dello Stato che ogni giorno vengono aggrediti da delinquenti o facinorosi è una sentenza fresca di stampa, destinata a far discutere.
Mohamed Shahin (Ansa). Nel riquadro, il vescovo di Pinerolo Derio Olivero (Imagoeconomica)
Per il Viminale, Mohamed Shahin è una persona radicalizzata che rappresenta una minaccia per lo Stato. Sulle stragi di Hamas disse: «Non è violenza». Monsignor Olivero lo difende: «Ha solo espresso un’opinione».
Per il Viminale è un pericoloso estremista. Per la sinistra e la Chiesa un simbolo da difendere. Dalla Cgil al Pd, da Avs al Movimento 5 stelle, dal vescovo di Pinerolo ai rappresentanti della Chiesa valdese, un’alleanza trasversale e influente è scesa in campo a sostegno di un imam che è in attesa di essere espulso per «ragioni di sicurezza dello Stato e prevenzione del terrorismo». Un personaggio a cui, già l’8 novembre 2023, le autorità negarono la cittadinanza italiana per «ragioni di sicurezza dello Stato». Addirittura un nutrito gruppo di antagonisti, anche in suo nome, ha dato l’assalto alla redazione della Stampa. Una saldatura tra mondi diversi che non promette niente di buono.
Nei riquadri, Letizia Martina prima e dopo il vaccino (IStock)
Letizia Martini, oggi ventiduenne, ha già sintomi in seguito alla prima dose, ma per fiducia nel sistema li sottovaluta. Con la seconda, la situazione precipita: a causa di una malattia neurologica certificata ora non cammina più.
«Io avevo 18 anni e stavo bene. Vivevo una vita normale. Mi allenavo. Ero in forma. Mi sono vaccinata ad agosto del 2021 e dieci giorni dopo la seconda dose ho iniziato a stare malissimo e da quel momento in poi sono peggiorata sempre di più. Adesso praticamente non riesco a fare più niente, riesco a stare in piedi a malapena qualche minuto e a fare qualche passo in casa, ma poi ho bisogno della sedia a rotelle, perché se mi sforzo mi vengono dolori lancinanti. Non riesco neppure ad asciugarmi i capelli perché le braccia non mi reggono…». Letizia Martini, di Rimini, oggi ha 22 anni e la vita rovinata a causa degli effetti collaterali neurologici del vaccino Pfizer. Già subito dopo la prima dose aveva avvertito i primi sintomi della malattia, che poi si è manifestata con violenza dopo la seconda puntura, tant’è che adesso Letizia è stata riconosciuta invalida all’80%.
Maria Rita Parsi critica la gestione del caso “famiglia nel bosco”: nessun pericolo reale per i bambini, scelta brusca e dannosa, sistema dei minori da ripensare profondamente.






