2019-01-15
Con la crisi di governo a Tripoli, Bengasi annusa aria di capitale. Per l'Italia sarebbe un bel colpo
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Se fino a pochi mesi fa l'area libica di maggiore preoccupazione per l'Occidente sembrava essere la Cirenaica, con la convergenza delle principali potenze sull'uomo forte di Bengasi, il generale Khalifa Haftar, ora l'allarme si è spostato sulla città del governo Serraj. La nuova instabilità irrita gli Usa e spinge Roma ad accelerare l'apertura del consolato in Cirenaica. Confermando la strada intrapresa durante gli incontri di Palermo. Che non soltanto è minacciata dai ribelli del Fezzan (dove Ghassan Salamé si è recato nel fine settimana per la prima volta da quando è diventato inviato delle Nazioni Unite nell'estate del 2017) ma rischia di essere prossima a una crisi di governo visto l'ultimatum inviato al premier Fayez Al Serraj dai suoi tre vicepresidenti, Ahmed Maiteeq (rappresentante di Misurata), Fathi Al Majbari (Cirenaica) e Abdel Salam Kajman (Fratelli musulmani).I tre accusano il leader del governo di accordo nazionale di voler portare avanti un processo decisionale «individuale», che rischia di condurre la Libia «a un nuovo scontro armato tra fazioni». Serraj non considera più i partner interni, si legge nella dichiarazione, ed è diventato totalmente dipendente «dalle coalizioni transnazionali e da attori internazionali». Inoltre, la mancanza di risultati nella lotta al terrorismo e all'immigrazione illegale, oltre che nelle risposte alla crisi economica, rendono il Consiglio presidenziale, secondo i tre vice, «una delle parti della crisi e non un mezzo per risolverla». Tutto nasce dalla volontà di Serraj di nominare Ehmaid Ben Omar nuovo ministro della Sanità e Sulaiman Al Shanti alla presidenza dell'Autorità per il controllo amministrativo, che vigila sui bilanci dello Stato. Entrambi nomi sgraditi a Maiteeq, Al Majbari e Kajman. Il premier ha forzato la mano invitando Ben Omar a una seduta di governo e i tre l'hanno cacciato dall'incontro per poi mettersi a scrivere quella lettera. Una missiva che ha messo a repentaglio la già precaria condizione politica di Tripoli (e in particolare gli accordi tra le fazioni firmati a Skhirat il 17 dicembre 2015 da cui nacque il Consiglio presidenziale e l'attuale spartizione di poteri) e minaccia il percorso di stabilizzazione del Paese.Serraj ha replicato durante un'intervista all'emittente televisiva turca Trt ribaltando il tavolo e accusando i suoi tre vice. Il premier ha sostenuto che alcuni membri del Consiglio «vogliono portare lo scontro all'interno di questo organismo invece di disinnescarlo» e ha fatto appello all'unità dell'esecutivo in vista del voto che si avvicina. Serraj è convinto di rimanere premier fino alle elezioni parlamentari, che, secondo la road map delle Nazioni Unite potrebbero tenersi entro la primavera (per le presidenziali si potrebbe dover attendere fino a fine anno). Ed è per questo, spiegano fonti libiche, che starebbe forzando la mano su alcune scelte accentrando i poteri. Ma la situazione a Tripoli ha irritato Washington e anche Roma. Sia gli Usa sia l'Italia temono infatti che sommando ai problemi del Fezzan l'instabilità della Tripolitania si spalanchino nuovamente le porte all'immigrazione clandestina e al terrorismo provenienti dal Sahel. Per queste ragioni, riferiscono fonti della Farnesina, il ministero degli Esteri italiano sta pensando di accelerare le procedure per riaprire prima di quanto previsto (cioè entro la primavera) il consolato di Bengasi, chiuso in via precauzionale nel 2013 in seguito all'attentato al console Guido De Sanctis.In questo momento l'Italia punta forte sul riavvicinamento a Haftar (recentemente, tre aziende italiani si sono recate a Bengasi per discutere con i funzionari dell'aeroporto di Benina dei progetti di ristrutturazione dello scalo), viste le difficoltà di Tripoli. Qui, a breve, dovrebbe insediarsi il nuovo ambasciatore Giuseppe Maria Buccino Grimaldi, diplomatico gradito a Serraj, meno ad Haftar. Ma i recenti sviluppi politici nella capitale libica, che vanno ad aggiungersi all'instabilità del Sud, hanno convinto la Farnesina a mettere fretta anche alle autorità di Tripoli per procedere all'insediamento dell'ambasciatore che sostituirà Giuseppe Perrone destinato in Iran.
Il primo ministro del Pakistan Shehbaz Sharif e il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman (Getty Images)
Riyadh e Islamabad hanno firmato un patto di difesa reciproca, che include anche la deterrenza nucleare pakistana. L’intesa rafforza la cooperazione militare e ridefinisce gli equilibri regionali dopo l’attacco israeliano a Doha.
Emanuele Orsini e Dario Scannapieco