
La riforma delle clausole di azione collettiva è una fregatura. Che arriverà anche se non chiederemo l'accesso al Fondo.Molte delle nefandezze attribuite al Mes, in quasi completa e beata solitudine dalla Verità, oltre ad essere ovviamente tutte vere, sono purtroppo già esistenti nel trattato vigente. Quindi anche non riformandolo rimarrebbero comunque lì. Ma poiché una volta toccato il fondo si può sempre scavare, ecco che la riforma del fondo salva Stati assume le sembianze di una gigantesca trivella. Particolare attenzione destano le modifiche apportate alle cosiddette Cac. E già il solo chiamarle così dovrebbe farvi intuire di quale colossale scemenza stiamo parlando. L'acronimo sta per «clausole di azione collettiva» e si ritrovano scritte nei regolamenti dei titoli di Stato emessi dai Paesi dell'eurozona con scadenza superiore ad uno anno a partire dal 2013. Erano giorni in cui il Mes veniva chiamato, per indorare la pillola, scudo anti-spread. Le Cac disciplinano una cosa più unica che rara: la ristrutturazione del debito sovrano emesso in «valuta domestica». Ovviamente in nessun regolamento di un bond sovrano emesso dal Giappone (in yen) o dagli Stati Uniti (in dollari) o dalla Gran Bretagna (in sterline) troverete simili scempiaggini. Ristrutturare il debito significa talvolta ridurre il capitale da rimborsare. Quasi sempre abbassare gli interessi e/o posticipare i pagamenti dovuti rispetto alle scadenze pattuite. Cose più che normali per le imprese in difficoltà finanziaria che cercano un rilancio. Una ciclopica idiozia per il debito di uno Stato che emette titoli nella sua valuta. Il perché è presto detto. È lui che emette la moneta in cui quel debito è denominato e lo fa tramite la «sua» banca centrale che, indipendentemente dal grado di autonomia gestionale conferitole, rimane comunque un'istituzione di quello Stato dedita appunto all'emissione di quella valuta. E di cui ha il monopolio legale. Lo Stato non potrà mai rimanerne a corto della «sua moneta». Cosa ben diversa è se invece, ad esempio, l'Argentina emette titoli in dollari Usa che notoriamente Buenos Aires non stampa. Oppure l'Italia, che non è esclusiva proprietaria della Bce. Questa potrebbe rifiutarsi domani di fare ciò che fa oggi: stampare qualora necessario. Cosa già avvenuta in Grecia nel 2012. Non è una supposizione, ma storia.Ebbene con la riforma dell'articolo 12 del Trattato istitutivo del Mes, sarebbe modificato il regime normativo delle cosiddette Cac e quindi a partire dal 2022, per i titoli di Stato dell'eurozona di nuova emissione e con scadenza superiore a un anno, le nuove Cac prevedrebbero l'approvazione dell'eventuale piano di ristrutturazione con una unica maggioranza. In gergo, le single limb Cacs (al plurale). Come spiega il dossier del servizio studi del Senato, le Cac «consentono a una maggioranza qualificata di creditori di imporre la ristrutturazione del debito» a tutti gli altri. Le clausole con approvazione a maggioranza unica consentono di prendere una decisione contestuale per tutte le serie di un dato titolo, senza la necessità di votare per ogni singola serie emessa. In soldoni «per costituire una minoranza di blocco oggi gli investitori hanno due alternative. La prima - più costosa - è comprare un quarto di tutto il debito. La seconda - più economica - è acquistare un terzo di una singola emissione. Con le nuove Cac rimarrà in piedi solo la strada più costosa», conferma Sebastien Cochard, banchiere e diplomatico francese esperto di ristrutturazione di debiti sovrani, avendo vissuto la vicenda greca in prima persona. I numeri aiutano a capire. Sulla base dei dati messi a disposizione dal Ministero di Economia e finanze (Mef, non Mes, ma siamo lì) al 31 ottobre vi erano in circolazione quasi 2.475 miliardi di titoli di stato suddivisi in 232 emissioni. Escludendo i Bot aventi scadenza non superiore ad un anno e gli altri titoli di stato emessi prima del 2013, i bond «ristrutturabili», anzi sarebbe proprio il caso di dire «cacabili», sono pari a circa 1.582 miliardi, suddivisi a loro volta in 130 serie. Se la prospettata riforma del Mes fosse stata in vigore già dal 2013, per ristrutturare il debito italiano sarebbe stata sufficiente una sola votazione e gli obbligazionisti rappresentanti una quota pari al 75% del totale in essere potrebbero imporre una ristrutturazione di qualsiasi tipo. Con le Cac attualmente in essere, che ripetiamo fanno già schifo di per sé, sarebbero invece necessarie ben 130 votazioni. Una per serie. E qualora in un'emissione non fossero d'accordo obbligazionisti aventi un credito pari al 33% di quella emissione, il debito non verrebbe ristrutturato. Insomma, il nuovo Mes è una pistola puntata sulla tempia dei risparmiatori. E il grilletto lo ha in mano Bruxelles. «A ciò si aggiunga una ricaduta sulle tecnicalità della politica monetaria», conclude Cochard. «Oggi la Bce con il Pspp non acquista di proposito oltre un terzo di ciascuna emissione proprio per evitare ogni tipo di imbarazzo istituzionale. Domani rimanendo in piedi solo la minoranza di blocco del 25% sul debito totale la Banca centrale potrebbe doversi porre il problema di smobilizzare una parte degli investimenti effettuati grazie al Pepp, visto che la strada della resistenza in ogni singola emissione andrà gradualmente a sparire». A onor del vero, perché gli effetti malefici di questa riforma fossero pienamente operativi tutte le emissioni attualmente «cacabili» con il sistema attuale dovrebbero essere sostituite da nuove ristrutturabili con una sola votazione. L'ultima di queste emissioni scadrebbe nel 2067. Ciò non toglie che questa idiozia debba essere comunque impedita.
- Il Paese è diventato un gigante da 100 milioni di abitanti ed è in costante crescita economica. Riferimento dell'industria manifatturiera, è partner commerciale privilegiato degli Usa come alternativa a Pechino. Dal giugno 2025 è membro dei Brics e punta a crescere ancora.
- I francesi portarono in Vietnam l'industria della gomma commettendo gravi errori e senza pensare alle conseguenze politiche e sociali che portarono i comunisti al potere. La storia delle grandi piantagioni di caucciù che furono alla base della rivolta anticolonialista.
Lo speciale contiene due articoli.
Federico Cafiero De Raho (Ansa)
L’ex procuratore nazionale antimafia, sentito dai pm che indagano su Laudati e il finanziere, fa muro: «Non sapevo nulla».
Il 20 maggio 2025 Federico Cafiero De Raho, ex procuratore nazionale antimafia ora parlamentare pentastellato, varca le porte della Procura di Roma, dove è approdato il fascicolo che ricostruisce la sequenza di accessi alle banche dati ai danni di esponenti del mondo della politica, delle istituzioni e non solo. E che ha prodotto 56 capi d’imputazione per le 23 persone indagate. Un funambolico de Raho risponde alle domande del procuratore aggiunto Giuseppe Falco e della pm Giulia Guccione. Sessantadue pagine in cui l’ex procuratore nazionale antimafia ripete sempre lo stesso schema. Che in più punti appare come uno scaricabarile in piena regola. E con una trentina di chiodi (quelli piantati con i vari «non ricordo, non avevamo questa possibilità, lo escludo») tutti nella stessa direzione: la difesa della sua estraneità. Tutti utili a puntellare ogni snodo critico emerso dall’ufficio che guidava e che, nella sua narrazione, gli è passato accanto senza mai toccarlo.
(Totaleu)
Lo ha detto l'eurodeputato di Fratelli d'Italia Paolo Inselvini alla sessione plenaria di Strasburgo.
Sergio Mattarella (Ansa)
Di fatto tutti i quotidiani adottano lo stesso schema: minimizzare la vicenda e, ogni volta che un esponente di destra parla, agitare lo spettro di macchinazioni di Fdi per colpire Sergio Mattarella su mandato di Giorgia Meloni.
Non sarà «provvidenziale», ma lo scossone c’è stato. È quel 60% di italiani che non è andato a votare, e il presidente della Repubblica certo ha preso buona nota. Ieri era a Lecce - con Michele Emiliano al suo ultimo atto ad accoglierlo (e non pareva euforico) - per l’assembla annuale delle Province e ha detto un paio di frasi che suonano come un avvertimento a nuora perché suocera intenda. Sopire, troncare - come avrebbe detto il Conte zio - le turbolenze attorno all’affare Garofani, ripensando all’uscita di lunedì del presidente del Senato.





