
Vittorio Demicheli, consigliere del ministro Giulia Grillo: «L'emergenza non è italiana, è europea. Si è sbagliato in passato, ora si continui con l'obbligo».Numeri allarmanti in Europa per il morbillo. I dati dell'ultimo report dell'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) segnalano che, solo nei primi sei mesi del 2018, ci sono stati oltre 41.000 casi: il numero più alto di tutti quelli registrati in un anno intero nell'ultimo decennio. L'Italia, con 2.029 segnalazioni, è tra i sette Paesi europei con più di 1.000 casi. Gli altri sei sono: Francia, Serbia, Grecia, Russia, Georgia e Ucraina. Il dato, per il nostro Paese, è però incoraggiante perché è la metà rispetto ai primi sei mesi del 2017. L'andamento è confermato anche dal rapporto dell'Ecdc, il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie, che tiene conto dei casi registrati negli ultimi 12 mesi. Anche in questo caso il calo viene confermato, anche se su 13.234 casi il nostro Paese ha la maggioranza dei casi (3.341), il 25% del totale. Seguono Grecia (3.193) e Francia (2.740).La gravità del morbillo è nella febbre, che non si abbassa con i farmaci, e nelle complicanze come l'encefalite, che ogni 1.000-1.500 malati, può essere fatale. In Europa, da gennaio, ci sono stati 34 morti, quattro in Italia. Nell'80% dei casi il paziente non era stato vaccinato e nel 10% aveva ricevuto una sola dose. Abbiamo chiesto un commento a questi dati all'epidemiologo Vittorio Demicheli, già vicedirettore della sanità piemontese e chiamato dal ministro della Salute, Giulia Grillo, a coordinare il tavolo di esperti sulle politiche vaccinali.Dobbiamo preoccuparci di questi dati dottor Demicheli?«Non c'è niente, purtroppo, di sorprendente in questi numeri. Abbiamo la situazione tipica di un Paese che ha tentato di debellare il morbillo, ma non ci è riuscito». Ci può spiegare meglio?«Negli anni Ottanta abbiamo vaccinato malamente, viaggiando intono al 50% di copertura e così oggi abbiamo una significativa popolazione di suscettibili (non immunizzati, ndr). Quello che sta succedendo accadrà fino a quando i soggetti non immuni al virus non caleranno drasticamente. Anche se nei nuovi nati la copertura è passata dall'85% a circa il 92%, sulla popolazione generale la percentuale si riduce notevolmente e l'immunità, come è noto, si ottiene per vaccinazione o per malattia». Abbiamo sbagliato trent'anni fa?«Quando non si vaccinava c'era un'epidemia ogni 3 o 5 anni con almeno 100.000 casi. Dove invece si vaccina bene, come in Nord America, dopo un ciclo le epidemie spariscono. In Italia abbiamo iniziato a vaccinare trent'anni fa senza raggiungere nemmeno la metà della popolazione. Le epidemie si sono diradate e i contagiati sono qualche migliaia. La dinamica è tipica di una situazione in cui i soggetti suscettibili sono troppi». L'allarme morbillo interessa molti Paesi europei. Siamo in buona compagnia… «La storia di questa vaccinazione merita molte riflessioni. In Piemonte, ad esempio, a 12 mesi di età vaccinavamo il 97% dei bambini. A 15 mesi gli stessi bambini e le stesse mamme arrivavano all'88-90%. La gente diffidava di questo vaccino per la sua storia molto travagliata anche a livello europeo: all'iniziale poca convinzione da parte dei clinici si è aggiunta la notizia, falsa, che poteva causare l'autismo». Dobbiamo quindi attenderci nuovi casi di morbillo nei prossimi anni?«Ci saranno ancora casi, a meno che non cambi qualcosa. Tra le soluzioni c'è sicuramente quella di mantenere l'obbligo per il vaccino del morbillo, ma anche per la parotite e la rosolia (vaccino trivalente Mpr, ndr). La rosolia perché è nella stessa situazione del morbillo e la parotite perché ha un'immunità non permanente nel tempo, quindi ci vuole il richiamo». Cosa ne pensa dell'obbligo per legge?«Servirebbe una legge in cui l'obbligo fosse declassato da “dovere" a strumento in mano al Servizio sanitario nazionale che lo applica nelle situazioni e nei momenti in cui l'obbligo diventa l'unica arma di contrasto».In questo sembra in linea con il contenuto nel progetto di legge depositato in queste settimane in Senato da Lega-M5S, dove si supera il concetto dell'obbligo, utilizzandolo solo quando c'è l'emergenza, preferendo cioè una scelta basata sull'informazione e l'educazione. «L'obbligo dovrebbe essere uno strumento di lavoro. I sanitari pubblici, dovrebbero usarlo come un mezzo e non come una questione etico-morale. Servirebbe un obbligo da usare nei tempi e nei contesti in cui è ragionevolmente efficace introdurlo, ma accanto ad altri interventi informativi e formativi».Come coordinatore del tavolo del ministero sui vaccini come entrerà in merito alla questione sull'obbligo del vaccino del morbillo?«Dobbiamo ancora insediarci e preferisco parlare da tecnico. Bisogna fare calcoli più dettagliati di quelli attualmente disponibili sui soggetti suscettibili e realizzare delle strategie mirate per arrivare a coprire la popolazione fino almeno ai 30 anni». Ha un'idea di come raggiungere questo obiettivo?«Bisogna coinvolgere in questo sforzo non solo la scuola, ma anche altre collettività lavorative e il mondo della sanità. Un momento critico di trasmissione si ha proprio negli ambienti sanitari, durante il ricovero». In effetti ci dicono i clinici che solo il 10-15% dei medici è vaccinato per l'influenza. Il morbillo resta quindi una priorità? «Non ci penserei nemmeno a togliere l'obbligo al vaccino del morbillo. È da portare a compimento per la politica sbagliata fatta tanti anni fa. Adesso è doveroso farlo, ma dobbiamo ricordarci che, con tutto il rispetto per il tema, ci sono priorità più grosse. L'obesità infantile, la sedentarietà e il fumo di sigaretta. Anche se l'Oms non ce lo ricorda tutte le mattine, sono situazioni gravi per la salute e meriterebbero di essere la priorità».
Nadia e Aimo Moroni
Prima puntata sulla vita di un gigante della cucina italiana, morto un mese fa a 91 anni. È da mamma Nunzia che apprende l’arte di riconoscere a occhio una gallina di qualità. Poi il lavoro a Milano, all’inizio come ambulante e successivamente come lavapiatti.
È mancato serenamente a 91 anni il mese scorso. Aimo Moroni si era ritirato oramai da un po’ di tempo dalla prima linea dei fornelli del locale da lui fondato nel 1962 con la sua Nadia, ovvero «Il luogo di Aimo e Nadia», ora affidato nelle salde mani della figlia Stefania e dei due bravi eredi Fabio Pisani e Alessandro Negrini, ma l’eredità che ha lasciato e la storia, per certi versi unica, del suo impegno e della passione dedicata a valorizzare la cucina italiana, i suoi prodotti e quel mondo di artigiani che, silenziosi, hanno sempre operato dietro le quinte, merita adeguato onore.
Franz Botrè (nel riquadro) e Francesco Florio
Il direttore di «Arbiter» Franz Botrè: «Il trofeo “Su misura” celebra la maestria artigiana e la bellezza del “fatto bene”. Il tema di quest’anno, Winter elegance, grazie alla partnership di Loro Piana porterà lo stile alle Olimpiadi».
C’è un’Italia che continua a credere nella bellezza del tempo speso bene, nel valore dei gesti sapienti e nella perfezione di un punto cucito a mano. È l’Italia della sartoria, un’eccellenza che Arbiter celebra da sempre come forma d’arte, cultura e stile di vita. In questo spirito nasce il «Su misura - Trofeo Arbiter», il premio ideato da Franz Botrè, direttore della storica rivista, giunto alla quinta edizione, vinta quest’anno da Francesco Florio della Sartoria Florio di Parigi mentre Hanna Bond, dell’atelier Norton & Sons di Londra, si è aggiudicata lo Spillo d’Oro, assegnato dagli studenti del Master in fashion & luxury management dell’università Bocconi. Un appuntamento, quello del trofeo, che riunisce i migliori maestri sarti italiani e internazionali, protagonisti di una competizione che è prima di tutto un omaggio al mestiere, alla passione e alla capacità di trasformare il tessuto in emozione. Il tema scelto per questa edizione, «Winter elegance», richiama l’eleganza invernale e rende tributo ai prossimi Giochi olimpici di Milano-Cortina 2026, unendo sport, stile e territorio in un’unica narrazione di eccellenza. A firmare la partnership, un nome che è sinonimo di qualità assoluta: Loro Piana, simbolo di lusso discreto e artigianalità senza tempo. Con Franz Botrè abbiamo parlato delle origini del premio, del significato profondo della sartoria su misura e di come, in un mondo dominato dalla velocità, l’abito del sarto resti l’emblema di un’eleganza autentica e duratura.
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A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».





