2024-10-04
Via alla commissione Covid: subito partono le imboscate
Giuseppe Conte e Roberto Speranza (Imagoeconomica)
Dopo aver ignorato tutte le carte processuali imbarazzanti per Roberto Speranza & C., il «Corriere» ha deciso improvvisamente di pubblicare le chat dei legali delle vittime, cercando di farli passare per approfittatori.Incredibile: al Corriere della sera si sono accorti che sulla tetra vicenda Covid esistono degli atti di inchiesta e persino delle chat contenute nelle carte dei magistrati. Di più: non solo se ne sono resi conto con qualche anno di ritardo, ma hanno persino deciso di pubblicarle con un certo risalto. Peccato abbiano scelto di riprodurre quelle meno interessanti di tutte, anzi le più irrilevanti a disposizione. Ieri hanno riportato alcune conversazioni degli avvocati che seguono i familiari delle vittime del Covid a Bergamo, con un titolo esplosivo: «Le vittime del Covid e le chat degli avvocati: “Dobbiamo ottenere 150.000 euro a familiare”». Queste chat provengono dai materiali di due querele per diffamazione presentate contro uno dei legali delle vittime, dunque attengono a una vicenda giudiziaria del tutto marginale che riguarda i rapporti personali fra l’avvocato e l’ex portavoce dei comitati bergamaschi. Un causa che farà il suo corso legittimamente, ma che nulla ha a che fare con i vari procedimenti relativi alla gestione dell’emergenza sanitaria. A dirla tutta, la sensazione è che il Corriere abbia usato questa querela proprio per offuscare le altre cause: quelle serie, quelle che riguardano tutti gli italiani.Leggendo l’articolo del giornale di via Solferino, infatti, il lettore non può che farsi una pessima idea degli avvocati delle vittime. I quali vengono presentati alla stregua di sciacalli interessati a spillare soldi allo Stato, cifre importanti, fino a 100.000 o 150.000 euro. Quel che gli illustri colleghi dimenticano di dire è che alcuni di quegli avvocati sono a loro volta parenti delle vittime del virus, e si sono battuti per anni investendo energie e spendendo denaro di tasca propria. Il fatto che chiedano più soldi va a esclusivo beneficio dei danneggiati: ottenere il più possibile è compito di ogni bravo avvocato. E considerata la disastrosa modalità con cui l’emergenza sanitaria è stata gestita, 100.000 euro a persona sono addirittura pochi. Non è tutto. Il Corriere tira in ballo anche Galeazzo Bignami, attuale viceministro, perché nel 2021 - in qualità di deputato di Fdi e su richiesta delle vittime - lavorò su un emendamento alla legge di bilancio che avrebbe potuto garantire ai familiari un minimo di risarcimento (circa 10.000 euro a testa). Poi non se ne fece nulla, anche perché le cifre erano troppo basse. Anche qui, non si capisce dove siano le colpe: è disdicevole battersi per chi ha perso un caro? È criticabile cercare di rappresentare politicamente chi non è mai stato considerato da nessuno e continua a chiedere giustizia gridando nel deserto?Comunque sia, resta in sospeso la domanda più pregnante: come mai il Corriere ha deciso di pubblicare le chat degli avvocati proprio adesso e con questo risalto? Ce lo chiediamo non certo perché dobbiamo dare lezioni di giornalismo a chicchessia, figuriamoci. Il punto è che non ci risulta (ma forse ricordiamo male e allora ci aspettiamo di venire corretti) di aver letto sullo stesso giornale gli scambi di messaggini fra Roberto Speranza e Silvio Brusaferro. Non ci risulta che in via Solferino - come del resto in tutti gli altri quotidiani italiani - abbiano dato spazio e attenzione alle carte emerse dalle altre inchieste di Bergamo, a partire da quelle che hanno toccato l’ex ministro della Salute. Eppure in quei documenti c’erano informazioni molto rilevanti, utilissime a comprendere la superficialità e l’ottusità ideologica con cui fu gestita l’emergenza. Lo stesso si potrebbe dire a proposito di altri documenti divenuti pubblici e largamente indagati dalla Verità, tra cui i verbali della task force di Speranza e quelli del Comitato tecnico scientifico. Nulla di tutto questo è stato offerto negli anni passati ai lettori dei grandi quotidiani italici. Anzi, questi ultimi si sono resi a lungo disponibili a ospitare la propaganda del regime sanitario, evitando accuratamente di avanzare critiche o anche solo di porre domande potenzialmente imbarazzanti per i governi. Sugli avvocati delle vittime - e quindi in parte anche sulle vittime stesse - si può invece infierire liberamente, si può tentare di screditarli così che i contestatori appaiano sotto una cattiva luce, ritratti come vampiri assetati di denaro. In un altro contesto si parlerebbe senza esitazione di «victim blaming». Non sfugge poi che tutto ciò avviene nel momento esatto in cui iniziano sul serio i lavori della commissione Covid, la quale potrebbe anche decidere di convocare in audizione alcuni dei legali finiti nel mirino. A noi che di professione dobbiamo pensare almeno un po’ male e siamo tenuti a farci sorgere dei sospetti, viene quasi da dire che ci sia una precisa volontà: bisogna ignorare l’inchiesta sulla pandemia, o comunque tenerla sotto traccia, mentre si può e forse si deve martellare coloro che ancora osano recriminare. Ma chissà, magari invece il Corriere e altri giornali ci stupiranno, e racconteranno per filo e per segno tutto ciò che emergerà dalla commissione. Magari faranno nei prossimi mesi ciò che avrebbero potuto fare anni fa: questa sì che sarebbe una notizia.
Container in arrivo al Port Jersey Container Terminal di New York (Getty Images)
La maxi operazione nella favela di Rio de Janeiro. Nel riquadro, Gaetano Trivelli (Ansa)
Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico.
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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