2025-07-30
Covid, la Cassazione rimette Conte e Speranza nel mirino
A sinistra, Roberto Speranza. A destra, Giuseppe Conte (Ansa)
Il reato di epidemia colposa non si riferisce solo agli «untori» ma anche a chi si è macchiato di omissione. Esultano i familiari delle vittime: «Riaprite tutti i procedimenti». Torna cruciale l’assenza del piano pandemico.Se un individuo cagiona un’epidemia diffondendo germi patogeni fra la gente, va da sé che commette un reato doloso. Ma se quello stesso individuo, pur non avendo diffuso i germi, non fa nulla per impedire che si diffondano tra la popolazione, il suo comportamento può rientrare nella fattispecie dei delitti di natura colposa, per una condotta omissiva? Il quesito, affrontato in prima istanza dal tribunale di Sassari con una sentenza di assoluzione, perché il fatto non sussiste, è stato posto, per effetto di un ricorso della Procura sarda, alle sezioni riunite della Cassazione. E a sorpresa i giudici della suprema Corte hanno stabilito che il reato di epidemia colposa in forma omissiva è configurabile e questo cambia lo scenario giuridico che fino a ieri ha consentito a politici (come Giuseppe Conte e Roberto Speranza), manager e dirigenti sanitari (come i vertici del Cts e del ministero della Salute) di alzare le mani - anzi, di lavarsele - di fronte ai disastri e alle morti provocate dalla diffusione del Covid.Tutto trae origine dal processo contro un dirigente dell’ospedale civile di Alghero. Secondo i pm, l’uomo, delegato alla sicurezza presso il nosocomio sardo, durante la pandemia avrebbe tenuto un comportamento negligente e imprudente, non osservando con perizia gli obblighi di legge in materia di dispositivi di protezione individuale. In particolare, senza assicurarsi che i dipendenti del presidio sanitario avessero ricevuto una formazione adeguata e un addestramento specifico all’uso corretto degli strumenti utili a evitare il contagio. Per il tribunale di Sassari, al dirigente non sarebbe stato possibile addebitare né il dolo né la colpa, perché in materia di virus per commettere un reato sarebbe stato necessario un comportamento attivo, cioè la diffusione dei germi, e non una condotta omissiva, ovvero non aver preparato adeguatamente il personale sanitario al rischio pandemico. Ma i giudici delle sezioni riunite della Cassazione, a cui è stato girato il quesito, la pensano diversamente e infatti, con una sentenza le cui motivazioni sono state depositate lunedì, hanno annullato la sentenza di assoluzione, rinviando gli atti alla Corte d’appello. La frase chiave del pronunciamento degli ermellini è la seguente: «Il delitto di epidemia colposa può essere integrato anche da una condotta omissiva». Chiaro il concetto? Se non si prendono tutte le misure necessarie a impedire che un virus si diffonda, anche se i germi non sono stati sparsi dall’accusato, ma ad averne favorito la propagazione sono state le sue manchevolezze professionali, il reato c’è e va perseguito. Non c’è dolo, ma c’è colpa. E forse anche grave. Insomma, se hai la responsabilità di predisporre un piano pandemico per mettere al sicuro la popolazione dal contagio, non te la puoi cavare dicendo che non te l’aspettavi e che un’epidemia che si diffondesse così rapidamente e con conseguenze drammaticamente letali non era prevista. Vi sembra roba da giuristi che spaccano il capello in quattro? Vi sbagliate. Perché, come spiegano i legali che assistono i famigliari delle vittime del Covid, la decisione delle sezioni riunite della Cassazione riapre la partita con i vertici delle istituzioni sanitarie e politiche che cinque anni fa non fecero ciò che era necessario fare per evitare il decesso di migliaia di italiani. «Tra le omissioni ritenute rilevanti dalla Corte figurano la mancata distribuzione delle mascherine e l’assenza di formazione del personale sanitario», dicono gli avvocati dell’Associazione «Sereniesempreuniti», e chiamano in causa il ministero della Salute e la Protezione civile. A Roma è pendente un procedimento che, nato dalla maxi inchiesta della Procura di Bergamo, vede coinvolte 21 persone tra politici e tecnici e tra questi figurano alti dirigenti del ministero della Salute, i quali non potranno continuare a dire: «Non sapevamo». Sapevano che era indispensabile predisporre un piano pandemico. Sapevano che servivano i dispositivi di protezione individuale. Sapevano che era necessaria la formazione di medici e infermieri. Ma molti di loro non fecero nulla. Salvo poi dire che quanto è capitato non si poteva prevedere, certificando dunque la propria impreparazione. Alla luce della sentenza della Suprema Corte, si tratta di un’ammissione di colpa.
Nel riquadro in alto l'immagine dei postumi dell’aggressione subìta da Stephanie A. Nel riquadro in basso un frame del video postato su X del gambiano di 26 anni che l'ha aggredita (iStock)