2018-04-09
La rete degli azeri avvolge ancora l'Italia
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L'11 aprile si vota per le presidenziali in Azerbaijan. A presentarsi è ancora una volta Ilham Aliyev, padre padrone di un Paese dove nel 2013 ha vinto con l'85% delle preferenze e ora punta a restare in carica fino al 2025. Gli anni della Caviar diplomacy, la diplomazia a base di caviale, petrolio e gas, non sono ancora finiti. La lista di parlamentari italiani, ma anche delle istituzioni europee legate a Aliyev e alla moglie Mehriban è lunghissima. Non c'è solo Luca Volonté.Dopo 25 anni di guerra con l'Armenia, la situazione del Nagorno-Karabakh è sempre più preoccupante. Si teme una escalation in un conflitto silenzioso che ha già causato più di 30.000 vittime e dove a pagarne le conseguenze sono soprattutto gli armeni.Lo speciale contiene tre articoliLa recente visita in Italia del presidente dell'Armenia, Serzh Sargsyan, riapre il vaso di pandora dei rapporti che il nostro Paese ha intrattenuto in questi anni con l'Azerbajan, lo Stato dell'ex Unione Sovietica dove dal 1992 governa la famiglia Aliyev e dove quasi l'80% del bilancio statale arriva da petrolio e gas. L'abbraccio azero all'Italia, infatti - malvisto dagli armeni con cui gli azeri sono in guerra da decenni - va avanti da almeno 25 anni, sia per questioni commerciali legate all'Eni, le esplorazioni di gas nel Mar Caspio, sia politiche, come dimostrato dalla vicinanza di nostri europarlamentari, parlamentari e persino università al regime di Aliyev.E' un abbraccio a tutto tondo che varia dall'oro nero fino alla cultura, con fondi a profusione per ristrutturare opere d'arte, chiese e reperti. Non c'è da stupirsi. Siamo stati anche noi attirati nella rete della Caviar diplomacy, la secolare diplomazia del caviale, e a quanto sembra l'Italia si è trovata molto bene: siamo considerati i primi partner commerciali del regime. Ruolo d'onore nelle rete diplomatica spetta alla fondazione Heydar (in onore del padre di Ilham nonchè ex funzionario del Kgb) diretta da Mehriban Aliyeva, moglie del presidente: la donna è stata nominata vicepresidente dell'Azerbaijan dal 2017. Secondo l'associazione Trasparency International (dati 2017) il livello di corruttela di questo Paese sarebbe pari a quello di una nazione africana come come la Liberia. Comunità internazionale e Italia (dove spesso si critica il presidente russo Vladimir Putin) non si sono mai interessate del tema. In pochi fiatano, da destra a sinistra. Nonostante i rapporti a Baku siano diventati più tesi negli ultimi anni, da quando il presidente azero ha iniziato a perseguitare dissidenti politici e giornalisti per mantenere il potere e la stretta sul crocevia geopolitico più delicato per Europa e Asia, senza dimenticare Russia, Turchia e Iran. La parte più spinosa della questione riguarda soprattutto il Nagorno-Karakabakh, questa piccola repubblica indipendente nel sud del Caucaso contesa da più di un secolo da Armenia e Azerbaigian, dove si disputa pure una riedizione della vecchia guerra fredda, con Stati Uniti più vicini agli azeri e invece Putin più in sintonia con le posizioni armene. Il tema, oltre che politico (la perdita della regione è sempre stato uno smacco per gli azeri e Aliyev ha sempre usato la guerra come motivo di vanto nazionalistico ndr) è soprattuto economico, perché vicino al Nagorbo-Karabakh passano due oleodotti che trasportano gas e petrolio.Think tank occidentali sostengono che negli ultimi tempi Ilham Aliyev sia in difficoltà. Il motivo starebbe nelle ultime inchieste giornalistiche (la più importante è The Azerbaijani Laundromat del consorzio giornalistico Occrp) che hanno portato alla luce l'esistenza dei conti della famiglia a Panama, con società intestate alle figlie Arzu e Leyla Aliyeva. Si tratta di dettagli che hanno messo in cattiva luce all'estero il presidente (a Malta la giornalista uccisa Daphne Caruana Galizia aveva raccontato proprio dei rapporti economici e della corruzione che correva da Baku fino a La Valletta). Forse per questo in patria ha sentito l'esigenza di abolire il limite dei mandati presidenziali, modificando la costituzione a suo piaceimento. A ottobre dello scorso anno con un blitz ha anticipato le elezioni politiche che così si svolgeranno l'11 aprile. Secondo gli oppositori il motivo sarebbe quello di non dare tempo ad altri partiti di organizzarsi e avere così una chance in più di vincere e restare così al potere fino al 2025. Non certo un sogno irrealizzabile, visto che alle ultime elezioni del 2013 aveva ottenuto più dell'85% dei voti.L'Osce aveva denunciato intimidazioni su candidati e elettori. Destò così particolare sorpresa che uno dei commissari europei inviati a Baku, Pino Arlacchi, all'epoca europarlamentare del partito di Antonio Di Pietro, avesse preso una posizione a favore del governo, in controtendenza rispetto a quella del presidente della delegazione, Tana De Zulueta, che fornì un rapporto dove si evidenziavano pesanti brogli e azioni tipiche di un regime contro i diritti umani. Un evento provvidenziale legato al fatto che che gli azeri In Italia trovino sempre un deputato amico. Un motivo c'è. I rapporti tra il nostro Paese e Baku sono sempre stati idilliaci, con ogni tipo di governo, sia di centrodestra sia di centrosinistra. Basti pensare che la prima visita ufficiale di Heydar Aliyev, padre di Ilham, è del 1997, quando al governo c'era Romano Prodi e al Colle Oscar Luigi Scalfaro. Gli azeri ci tengono a ricordare quell'accordo, perché da lì in poi le relazioni si sono estese a qualsiasi settore, di tipo industriale, culturale, scientifico e persino giornalistico. I rapporti si sono intensificati durante Expo 2015 e nel 2016 il fondo sovrano Sofaz (State oil fund of the Republic of Azerbaijian con un portafoglio da 35 miliardi di euro) ha comprato l'immobile dove si trova la Camera di Commercio di Milano (in locazione fino al 2021) per 97 milioni di euro.Eni ha una partecipazione del 5% nel Consorzio Baku-Tbilisi-Ceyhan, ma soprattutto i rapporti più importanti riguardano la Tap (Trans Adriatic Pipeline), il maxi gasdotto contestato in Puglia dal governatore Michele Emiliano. Tutto gira intorno al corridoio Sud del gas che vede gli azeri collaborare con l'Unione europea per mettere fuori dai giochi la Russia, ma trova soprattutto impegnate numerose nostre aziende, tra le quali Hera. Perché, come spiegano proprio il sito dell'ambasciata che celebra rapporti con l'Italia, dal «19 settembre del 2013, secondo l'accordo sottoscritto per la vendita del gas di Shah Deniz-2, a seguito dell'avviamento del gasdotto Tap, il gruppo Hera diverrà l'acquirente del gas naturale proveniente dall'Azerbaigian>. Inoltre, a varie società italiane come Saipem, ValvItalia, Renco, Bonatti, Enereco, Max Streicher, Honeywell sono stati affidate le forniture e i servizi di un valore di 6 miliardi.Nel frattempo, inchieste giornalistiche e della magistratura, hanno dimostrato che tra il 2012 e il 2014 la famiglia Aliyev avrebbe destinato all'Europa 2,5 miliardi di euro. Poco prima, nel dicembre del 2011, la bella Merhiban, moglie del presidente, arrivava in Italia per una serata di gala insieme con la moglie dell'allora premier, Mario Monti, dove veniva celebrato in lungo e in largo il prestigio del governo di Baku. La fondazione azera stacca un assegno da 100.000 euro per ristrutturare alcune opere e affreschi della Capitale. Certo, Roma è solo un dettaglio. I grandi fondi sono stati destinati all'Europa per smussare gli attacchi da parte delle opposizioni. A finire nella rete, però, è stato Luca Volontè, ex parlamentare dell'Udc nonché nel 2008 nel consiglio d'Europa, destinatario di 18 pagamenti alla fondazione Novae Terrae e alla sua società di famiglia Lgv srl. Ne è nato un processo in procura di Milano dove sul tavolo ci sono più di due milioni di euro di finanziamento che lui ha sempre dichiarato come consulenze. Accusato di riciclaggio e corruzione internazionale, è stato prima archiviato, poi dopo la ripertura del fascicolo da parte della procura generale è stato assolto sul primo capo d'accusa mentre il secondo è ancora in piedi: gli avvocati hanno chiesto il giudizio immediato, che arriverà presto. Ma oltre a Volontè la lista di italiani amici degli azeri è lunga. Ci sono giornali, come il Nodo di Gordio, sito dove vengono celebrate le virtù azere. O professori come Antonello Biagini presidente della Università Sapienza di Roma, spesso invitato in conferenze dove si discute del Nagorno-Karabakh. Nella scorsa legislatura per di più esisteva l'associazione Interparlamentare Italia-Azerbaijan, massima rappresentazione del trasversalismo della Caviar diplomacy. Gli esponenti che la rappresentavano erano Sergio Divina della Lega, Maria Rizzotti di Forza Italia e Mauro Maria Marino del Partito democratico. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/come-gli-azeri-hanno-comprato-litalia-2557400887.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="nagorno-karabakh-la-guerra-infinita-pronta-a-riesplodere-dopo-il-voto-a-baku" data-post-id="2557400887" data-published-at="1758007024" data-use-pagination="False"> Nagorno-Karabakh, la guerra infinita pronta a riesplodere dopo il voto a Baku Il Nagorno-Karabakh, regione di appena 148.000 abitanti su una superficie di 10.000 chilometri quadrati, non conosce ancora la parola pace. La regione rivendicata sia dall'Armenia che dall'Azerbaijan è una pentola a pressione di cui non parla nessuno, sempre più a rischio di nuove ostilità a causa del fallimento degli sforzi di mediazione, dell'escalation della militarizzazione e delle frequenti violazioni del cessate il fuoco. Per di più dopo le elezioni dell'11 aprile la situazione potrebbe anche peggiorare, nel caso in cui il presidente azero Aliyev volesse mostrare i muscoli. Nell'ottobre del 2017, sotto l'egida del gruppo di Minsk, associazione fondata nel 1994 dell'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Ocse), i presidenti di Armenia e Azerbaigian si erano incontrati a Ginevra per trattare una possibile soluzione del conflitto e hanno rilasciato una dichiarazione congiunta impegnandosi a continuare i colloqui e ad adottare misure di distensione. Non c'è stato nulla da fare. Adesso anche il Worldwide threat assessment, report periodico dell'intelligence Usa, ha spiegato che, «la tensione nella regione contesa del Nagorno-Karabakh potrebbe trasformarsi in un conflitto militare su vasta scala tra Armenia e Azerbaijan con la conseguenza di spingere la Russia a sostenere il suo alleato regionale (cioè i separatisti armeni). «La riluttanza di entrambe le parti a scendere a compromessi, le crescenti pressioni interne, la costante modernizzazione militare dell'Azerbaigian e l'acquisizione da parte dell'Armenia di nuove apparecchiature russe aumentano il rischio di una guerra su larga scala nel 2018», si legge nel documento. Negli ultimi anni i colpi di artiglieria e piccole scaramucce tra truppe azerbaigiane e armene hanno causato centinaia di morti. Non solo. I giornalisti fanno fatica a entrare nella regione e se la loro posizione e a favore dell'Armenia possono rischiare l'arresto. Le informazioni sono scarne e viziate. All'inizio di aprile del 2016 ci sono stati gli scontri più pesanti con più di 300 vittime. La storia di questa piccola repubblica del caucaso, crocevia di gas e petrolio, tra la Russia, l'Iran e l'Unione Europea, arriva da lontano. Negli anni Venti il governo sovietico istituì la regione autonoma del Nagorno-Karabakh dove il 95% della popolazione è etnicamente armena. Sotto il dominio bolscevico i combattimenti tra i due Paesi sono stati tenuti sotto controllo, ma quando l'Unione Sovietica è crollata alla fine degli anni Ottanti gli equilibri si sono rotti. Nel 1988 il Parlamento federale del Nagorno-Karabakh ha approvato una risoluzione per potersi unire all'Armenia nonostante la regione fosse ancora all'interno dell'Azerbaigian. Così, mentre l'Unione Sovietica si stava dissolvendo nel 1991 la regione autonoma dichiarò ufficialmente l'indipendenza. Scoppia una guerra, che ha causato ormai più di 30.000 morti e migliaia di profughi. A metà del Duremila il conflitto viene praticamente congelato, ma le tensioni sono rimaste dopo il fallimento dei colloqui arrivati dopo le violenze dell'aprile 2016. Gli sforzi di negoziazione e mediazione, condotti appunto dal gruppo di Minsk, non sono riusciti a trovare una soluzione. I componenti organizzano i vertici tra i leader dei due Paesi e tengono riunioni individuali. Vedremo che succederà dopo l'esito delle urne. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/come-gli-azeri-hanno-comprato-litalia-2557400887.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="la-caviar-diplomacy-ha-oliato-leuropa-per-oltre-un-decennio" data-post-id="2557400887" data-published-at="1758007024" data-use-pagination="False"> La Caviar diplomacy ha oliato l'Europa per oltre un decennio LaPresse Quanto sono fragili le istituzioni europee e quelle italiane? E quanto possono essere suscettibili parlamentari ed europarlamentari alle scatolette di caviale del Mar Caspio? O ai soldi del petrolio? La Storia dovrà dovrà un giorno fare luce su quanto effettivamente l'Ue sia stata condizionata dall'Azerbaijan e dalla sua diplomazia del caviale. Molti europarlamentari europei hanno dipinto il regime azero come una democrazia «giovane ma non molto differente dalle altre». Basti pensare che a Baku si svolge da due anni il Gran Premio di Formula 1, voluto da Bernie Ecclestone nel 2014 per cifre da capogiro: si parla di un giro di milioni di dollari anche se non ci sono dati ufficiali che lo quantificano. Solo il Gp di Monza muove in Italia quasi 30 milioni di euro. Peccato che le organizzazioni umanitarie denuncino da anni la regolare violazione di diritti umani come la persecuzione dei partiti di opposizione o dei giornalisti d'inchiesta. Sempre secondo Trasparency International, il Paese si trova alla posizione numero 123 su 176 nella classifica dei Paesi meno trasparenti su economia e politica. Non solo, Reporters sans frontières lo mette al 162 esimo posto per la libertà di stampa. Nel dicembre del 2016 il blogger russo-israeliano Aleksander Lapshin è stato al centro di un inquietante intrigo diplomatico. Arrestato in Bielorussia nel dicembre 2016, è stato estradato in Azerbaijan nel febbraio 2017. E' stato accusato di aver visitato, senza il permesso delle autorità di Baku, la regione separatista del Nagorno-Karabakh. In realtà la sua copa è stata quella di aver criticato il regime di Aliyev. Parlamentari e europarlamentari hanno ricevuto in questi anni incentivi a forma di uova di Beluga. A riportarlo fu l'Esi, European Stability Initiative, una associazione di analisti collegati all'Ocse, che ha monitorato per un decennio le relazioni internazionali del governo di Baku. In un rapporto del 2012 ha denunciato la vicinanza di diversi europarlamentari, provenienti da tutti i paesi Ue, al regime azero. Del resto il caviale è il punto di forza dell'economia di un Paese che dove gas e petrolio hanno fatto schizzare il Pil a cifre impressionanti, anche se buona parte della popolazione vive in estrema povertà. E' del resto un'antica tradizione della cultura azera regalare caviale e doni, succedeva ai tempi degli Zar in Russia come dello Scià di Persia. Da qui è nata la Diplomazia del Caviale. Cominciò nel 2001, non molto tempo dopo che l'Azerbaigian si unì al Consiglio d'Europa, in teoria un presidio di democrazia nato nel 1949 per difendere la libertà d'espressione e i diritti umani. La data da segnare in rosso sul calendario è quella del 15 gennaio del 2013, quando il Consiglio d'Europa si espresse su un rapporto denunciava 85 prigionieri politici in Azerbaijan. Proprio allora Luca Volontè avrebbe orientato la votazione del gruppo del Partito popolare europeo di cui era presidente, a favore del governo azero. Con 79 voti favorevoli e i 125 contrari la risoluzione di condanna venne bocciata. Fu fondamentale, si spiegò allora, non sporcare l'immagine pubblica del presidente Aliyev, perché impegnato da anni in rapporti commerciali e proprio in quel periodo in trattativa sulla Tap. Due anni fa fu una puntata della trasmissione televisiva Report a creare scompiglio in un meccanismo ormai rodato. Raccontò di come il dominus di tutte le operazioni a Strasburgo è stato per anni Elkhan Suleymanov, capo della lobby azera. Sarebbe stato proprio lui a tenere i rapporti con Volontè.
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