2024-01-14
Filiere spezzate, inflazione e benzina: come ci colpirà la crisi del Mar Rosso
L’escalation in Medio Oriente investe il commercio e si abbatterà sulle nostre tasche. Antonio Patuelli (Abi) avverte: «Se il conflitto si allarga i conti esploderanno». La logistica è in ginocchio e Coldiretti lancia l’allarme export.L’onda lunga degli attacchi alle navi nel Mar Rosso da parte degli Huthi sta per abbattersi sulle nostre tasche. È stata già ribattezzata la crisi dei canali: il nuovo collo di bottiglia a Suez per la necessaria deviazione delle merci, con la siccità che intanto sta limitando il numero di navi che possono transitare dal canale di Panama, rischia di trasformarsi in potente propulsore d’inflazione. L’impennata dei costi di spedizione e il balzo dei prezzi del petrolio alimentano le preoccupazioni proprio mentre la Federal reserve americana stava meditando una possibile inversione di rotta sui tassi. Secondo le stime degli economisti di Allianz Trade, un raddoppio dei costi di spedizione farebbe salire l’inflazione di 0,7 punti percentuali in Europa e negli Stati Uniti, o di 0,5 punti percentuali in più nel mondo. Oxford Economics stima che un aumento permanente di 10 dollari del prezzo del barile di petrolio aggiungerebbe 0,22 punti percentuali all’inflazione del Regno Unito e 0,29 punti all’inflazione globale nel 2024. L’impatto sulla crescita sarebbe una contrazione della produzione globale dello 0,07% quest’anno e dello 0,09% nel solo Regno Unito.L’allarme è stato lanciato ieri anche da Antonio Patuelli, presidente dell’Abi ovvero dell’associazione dei banchieri italiani. «Il problema principale» per l’economia «è il rischio che il conflitto mediorientale si ampli, si allarghi e che blocchi perfino il Mar Rosso e i due canali di Suez, costringendo i commerci a circumnavigare l’Africa invece che passare da Suez», ha detto Patuelli. Sottolineando che «questo porterebbe forti rischi di innalzamento di costi, di ripresa di inflazione, e quindi di raffreddamento di questa tendenza» al ribasso dei tassi di mercato. Assoutenti ha calcolato i possibili impatti della crisi sulle tasche dei consumatori: un aumento ipotetico del 10% dei listini al pubblico praticati dai distributori, porterebbe il prezzo medio della verde a 1,950 euro al litro, equivalente a una maggiore spesa su base annua pari a +213 euro a famiglia, solo a titolo di rifornimenti di carburante. Secondo la Coldiretti, inoltre, le difficoltà alla navigazione mettono a rischio circa mezzo miliardo di esportazioni di frutta e verdura made in Italy dirette in Medio Oriente, India e Sudest asiatico. Per portare l’ortofrutta nazionale in India attraverso lo stretto di Suez il tempo impiegato era di circa 28 giorni, ora, dovendo circumnavigare il Continente africano si arriva a più di 40 giorni, con l’allungamento dei tempi che potrebbe creare problemi di conservazione del prodotto fresco con il rischio di perdere fette importanti di mercato, che sarebbero poi difficili da recuperare. Inoltre, si registra un aumento dei costi stimabile in 6/7 centesimi per ogni chilogrammo di merce trasportata che incide sulla competitività delle esportazioni nazionali. In gioco c’è un mercato verso il quale l’Italia ha esportato oltre 217 milioni di chili di frutta, di cui oltre 182 milioni di chili mele, con principali destinazioni l’Arabia Saudita (oltre 66 milioni di chili), l’India (oltre 51 milioni di chili) e gli Emirati Arabi (oltre 15 milioni), secondo elaborazioni Coldiretti su dati Istat nel 2022. La nuova crisi coincide, peraltro, con un profondo cambiamento della geopolitica commerciale. Negli ultimi anni, infatti, c’è stata una crescita delle rotte marittime regionali a scapito delle rotte globali simultaneamente a processi di reshoring o nerashoring in settori collegati a comparti industriali ritenuti strategici dai vari Paesi. Il Mediterraneo sta crescendo nei commerci grazie al cosiddetto short-sea-shipping e al Ro-Ro (l’imbarco dei Tir direttamente sulla nave). Il motivo è semplice: se una azienda ha una filiera di approvvigionamento lunga e deve importare o esportare in Cina dovrà usare le navi portacontainer e utilizzare la rotta Suez-Asia. Ma se la stessa azienda, per motivi di sicurezza degli approvvigionamenti e vicinanza ai mercati decide di spostare una parte della sua subfornitura in Turchia o in Marocco, per esempio, la modalità del Ro-Ro risulta più adatta per trasportare merce verso la sponda Sud del Mediterraneo. Con questo riassetto sullo sfondo, il Mediterraneo in generale e lo snodo di Suez in particolare, rappresentano l’unico luogo in cui si incontrano tutte le macroregioni geografiche» del mondo, ossia Asia, Europa, Africa e la costa atlantica degli Usa (mentre Panama e Malacca rappresentano punti di collegamento bilaterali e non globali). È già cominciata una guerra asimmetrica che si combatte lungo tre assi: la logistica, le cosiddette terre rare e le materie prime. È ormai chiaro che l’Iran, che arma gli Houthi, vuol far fuori l’Egitto e punta a far diventare il Mediterraneo una specie di lago, dal punto di vista dei traffici. C’è però un dettaglio di strategia bellica che non deve sfuggire: gli Usa hanno inviato al largo delle coste dello Yemen portaerei e navi da guerra anche se questo tipo di presenza è spropositata in termini di costi-benefici. Ciò rende plausibile l’ipotesi che l’intervento americano sia una sorta di occupazione militare preventiva di questi mari anche per costringere Teheran a interrompere la Via della Seta così da intervenire sulla supply chain, la catena logistica mondiale. Restano, però, gli altri due pilastri, ovvero terre rare e materie prime. Con, in Europa, due Paesi trasformatori come il nostro e la Germania che non hanno un’adeguata capacità di fuoco, né in termini di armamenti, né tantomeno in termini di produzione. Per questo gli attacchi dei pirati yemeniti rischiano di dare l’ennesimo scossone alla crescita dei singoli Stati. Italia compresa.