2018-08-27
Colto e mangiato. Le erbe selvatiche tornano in cucina
Le piante disponibili in natura sono buone, nutrienti, sane e a costo zero. Ecco come preparare piatti gourmet (e perfino rimedi curativi) con fiori e vegetali spontanei.Si chiama fitoalimurgia ed è la scienza che studia la raccolta di piante selvatiche edibili. Il termine compare nel 1767, quando Giovanni Targioni Tozzetti pubblica Alimurgia, o sia Modo di render meno gravi le carestie, proposto per sollievo dei poveri, una sorta di manuale di sopravvivenza nelle condizioni di scarsità alimentare che all'epoca ciclicamente affamava il popolo. Può sembrare paradossale che la fitoalimurgia stia ridestando grande interesse oggi, quando il problema nel mondo occidentale industrializzato e capitalistico è, casomai, l'eccesso di alimenti a disposizione, e quando ormai quella natura da cui raccogliere cibo come Adamo ed Eva nel Paradiso terrestre non è più a portata di mano, nella nostra quotidianità iperurbana ultracementificata e supertecnologica. In realtà, è proprio per questo motivo che le consuetudini del passato si riprendono la ribalta con vigore: vengono rivalutate e tornano ad essere applicate proprio perché la contemporaneità non cancelli completamente il rapporto tra uomo e natura. Chi cerca di vivere in modo più rustico riscopre, dunque, l'antica sapienza della ricerca delle erbe spontanee selvatiche, si arma di coltellino da taglio e cestino di vimini e si avventura a raccogliere. Col foraging - così si chiama tale disciplina in lingua inglese - si ritorna un po' allo stadio umano evolutivo precedente a quello agricolo-pastorizio. L'uomo cacciatore-raccoglitore, oltre a braccare animali, infatti, raccoglieva erbe e frutti selvatici per nutrirsene. Quella conoscenza era patrimonio comune ancora ai tempi delle nostre nonne che vivevano in campagna. Esse conoscevano bene il valore delle cicoriette selvatiche o dei rovi spontanei di more, da raccogliere come verdura e frutta donata alla propria tavola dalla natura. Così i nostri nonni, oltre a saper cacciare e pescare, andavano a cercare funghi nei boschi, pinoli in pineta, e persino le lumache. Il foraging, allora, accanto alla coltivazione e all'allevamento, era ancora la norma e quella sapienza si tramandava di generazione in generazione. «Era primavera, e io passavo il mio tempo nei campi, curiosando, minuziosamente osservando e assaggiando», scrive Eleonora Matarrese nel davvero bellissimo La cuoca selvatica. Storie e ricette per portare la natura in tavola. «Ho capito da sola che il tarassaco è amaro, la cicoria un po' di più, ma l'aspraggine li supera tutti; invece quello che mia nonna chiamava cristallo è più dolciastro. E così fin dall'infanzia la mia vita è stata costellata di selvatiche: non solo erbe, ma anche radici, tuberi, cortecce, bacche, rizomi, funghi. Tutto ciò che la natura spontaneamente offre ogni giorno dell'anno, anche in inverno. Perché se nell'immaginario comune è la primavera la stagione propizia per la raccolta, in realtà lo sono molto di più l'estate e l'autunno (le feste del raccolto cadono in ottobre sin dalla notte dei tempi), e anche durante l'inverno si può portare alla luce ciò che è nascosto e protetto sottoterra». Le regole dell'arteNel libro pubblicato da Bompiani la Matarrese ricorda che Henry David Thoreau definì «i campi e le colline una tavola sempre apparecchiata» ed elenca i motivi per cui dilettarsi oggi nella raccolta di erbe selvatiche. Eccone alcuni: vivere la natura (riavvicinandosi a quella realtà che l'uomo contemporaneo abbandona e bistratta sempre più); stare all'aria aperta e fare esercizio fisico (camminare in mezzo al verde alla ricerca di piante edibili ha il sapore di una caccia al «tesoro genuino» e rappresenta un esercizio fisico in immersione nell'ossigeno che ci strappa dalla sedentarietà); soddisfazione personale («la raccolta fatta con le proprie mani regala un appagante senso di soddisfazione che non ha nulla a che vedere con l'acquisto di cibo già pronto e confezionato dagli scaffali di un negozio», scrive l'autrice); mangiare in modo sano, nutriente e a prezzi stracciati (le erbe non costano nulla e sono un cibo biologico di alta qualità); mangiare prodotti di filiera corta (parafrasando Benedetta Parodi potremmo dire che il cibo selvatico è «raccolto e mangiato», e ciò consente di porre nel piatto verdure che più fresche non si può, evitando così quella dispersione del valore nutrizionale dei vegetali che può verificarsi a causa del tempo che passa solitamente tra la raccolta effettiva e il nostro acquisto al supermercato). La Matarrese stila anche il decalogo del buon raccoglitore: sincerarsi che raccogliere in un determinato luogo sia permesso dalla legge; non raccogliere piante proibite (e non esuberare rispetto alla quantità consentita in caso di raccolta regolamentata); fare estrema attenzione ai «sosia tossici», cioè alle piante che somigliano a quelle edibili, ma non solo non sono la stessa cosa, anzi sono pure velenose; non sacrificare una pianta invano (considerare la necessità della raccolta); non eccedere («non razziate fiori e bacche come se foste davanti ai prodotti in offerta di un supermercato», perché bisogna portare rispetto per la pianta, lasciandone intatte le parti vitali, anche per gli animali che se ne cibano o per i raccoglitori successivi); raccogliere in luoghi il più incontaminati possibile; non raccogliere piante malate; non danneggiare l'ambiente; pulire le erbe sul posto conservandole in sacchetti di carta forati perché respirino fino a casa e poi mangiarle in tempi brevi; seguire il calendario di raccolta in modo da raccogliere piante nel loro «tempo balsamico», cioè quando presentano il contenuto ideale, ossia più alto, di principi attivi. Sono molte le ricette della nostra cucina tradizionale che si avvantaggiano dell'uso di erbe selvatiche. La frittata di germogli di luppolo, per esempio. O l'erbazzone, che oggi si prepara con bietole coltivate, ma un tempo si infarciva con le erbette selvatiche. Un altro classico, squisito, è il risotto con le ortiche. Volendo raccogliere queste ultime da sé, ci si deve premunire di guanti da giardinaggio per non toccarne a mani nude i peli urticanti, che procurano bruciore e prurito (il participio presente urticante deriva proprio dall'etimo latino della pianta, urtica dioica). Anche il fine dining sta riscoprendo gli ingredienti selvatici: la versione gourmet più apprezzata del risotto con le ortiche è sicuramente quella dello chef stellato Eugenio Boer, che oltre alle citate piante utilizza formaggio di capra, lavanda e polline. Il risultato è un meraviglioso piatto che trasforma più elementi forieri di quella selvaticità culinaria di cui stiamo parlando in un vero e proprio trono per questi ultimi - e ci ricorda che anche molti fiori, come appunto quelli di lavanda, sono commestibili, così come lo è il polline, frutto del lavoro delle api al pari della pappa reale e del miele, altri doni della natura sempre meno utilizzati nell'alimentazione contemporanea.Le erbe selvatiche sono state tra le prime fonti di nutrimento dell'umanità. Ma per i nostri antenati non erano solo cibo: furono al contempo anche le loro prime medicine e i primi prodotti di bellezza. Emblematica è la storia dell'antinfiammatorio non steroideo Aspirina, uno dei farmaci più venduti al mondo. È composta di acido acetilsalicilico, molecola brevettata dalla Bayer, ma già il medico Ippocrate, duemila anni e qualche secolo prima della casa farmaceutica tedesca, aveva scritto della polvere amara estratta dalla corteccia di salice e delle sue proprietà antidolorifiche e antipiretiche, mentre Erodoto aveva raccontato di un popolo con una maggiore resistenza alle malattie che usava masticare foglie di salice: era l'acido salicilico prima dell'Aspirina, recuperato direttamente dalla pianta invece che in farmacia. Ma gli esempi di questo tipo sono molti. L'Ananase, altro farmaco antinfiammatorio e antiflogistico, è composto di bromelina, due enzimi proteolitici contenuti nella polpa e soprattutto nel gambo dell'ananas. L'aceto dei quattro ladri, un composto di aceto ed erbe (salvia, lavanda, rosmarino, timo e aglio, ma nel tempo se se sono registrate varie versioni con altre erbe) con azione antisettica, nel diciottesimo secolo era venduto nelle farmacie francesi e faceva parte della Farmacopea del Corpo medico francese. Anche il già citato Ippocrate utilizzava aceti con erbe in macero a scopo medicamentoso. Il nome di questo aceto fa tradizionalmente riferimento ai ladri che durante le epidemie di peste in Europa riuscivano a derubare i contagiati vivi e morti senza mai contrarre a loro volta il morbo letale, proprio perché si proteggevano con questo aceto.Medicinali senza tempoCurarsi con le erbe e altri rimedi naturali senza tempo di Valentina Beggio, edito da Gribaudo, è una mini enciclopedia dedicata proprio a rivelare tanti «medicinali» reperibili in natura. La Beggio spiega anche come piantare in casa e prendersi cura delle erbe aromatiche, oltre ai loro poteri paramedicali e di cura estetica. Naturalmente il consiglio preventivo dell'autrice è di non fare mai affidamento sull'autodiagnosi, di ricordare che tutte le erbe possono presentare effetti tossici (soprattutto se usate in quantità eccessive) e di rivolgersi in ogni caso al medico o al naturopata prima di assumerne. Ciò precisato, il libro spiega come si possono usare corteccia, gemme, foglie, steli, fiori, frutti e semi e realizzare «preparati» contenenti i principi attivi delle piante come infusi, decotti, tisane, macerati, tinture, tinture vinose, cataplasmi, compresse, lozioni, oli medicinali, polpe, succhi. Ricette alternativeEcco alcune ricette. Per piedi affaticati, far bollire in un litro d'acqua per 15 minuti 50 grammi di foglie di timo, fresco o secco, filtrare e fare un pediluvio con l'acqua del decotto. Per deodorare le scarpe, inserirvi qualche pizzico di salvia o timo secchi polverizzati col frullatore. Per le unghie fragili, ungerle con olio di oliva per nutrirle. Per il raffreddore con naso intasato, porre 40 grammi di eufrasia secca in un litro e mezzo d'acqua, far bollire dieci minuti, sciogliere nel decotto una manciata di sale marino grosso, versare in un catino, coprire il capo con un asciugamano e inalare i vapori. Infine, per un dentifricio alla Henry David Thoreau, da usare solo occasionalmente, non d'abitudine, strofinare i denti con foglie di salvia fresca.
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
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