2023-02-19
L’inchino del Colle fa felice il Dragone, ma non il governo
Sergio Mattarella e Wang Yi (Ansa)
Sergio Mattarella riceve Wang Yi come un suo pari. Una sbavatura diplomatica che soddisfa Parigi e Berlino, a dispetto degli Usa.L’incontro tra Sergio Mattarella e Wang Yi, responsabile per gli Affari esteri del Partito comunista cinese, ha suscitato un misto di curiosità e perplessità tra parecchi analisti sia sul formato sia sui contenuti, tra cui chi scrive.In premessa va detto che la politica estera, così come la funzione di intelligence, di uno Stato richiede come capacità basica la possibilità di poter parlare in «diplomatichese» e «riservatese» con tutti gli altri Stati del mondo. Pertanto il fatto di parlare con un rappresentante della pur tossica Cina nazionalsocialista va vista come una prassi normale. Non è invece normale, sul piano formale, l’asimmetria di un incontro tra Stati dove su un lato del tavolo c’è un capo di Stato e sull’altro un funzionario di partito. Uno potrebbe dire che Wang Yi è portatore delegato di messaggi da parte di Ji Jinping. Va bene ascoltarlo, ma a livello di istituzione inferiore, non certo di capo di Stato. Perché? L’asimmetria formale (che però in diplomazia è sostanziale) segnala che l’Italia si mette in posizione inferiore all’interlocutore cinese. L’atteggiamento giusto sarebbe stato quello di ricevere «dal basso» il messaggio di Xi, riservandosi una risposta per la stessa via da cui era arrivato il messaggio stesso. Quindi, per prima cosa, c’è la domanda del perché Mattarella abbia voluto concedere alla Cina un trattamento così di favore. Una possibile risposta è che Parigi e Berlino stanno accettando il corteggiamento di Pechino e che gli Stati Uniti seguono la strategia delle tre «C» (contenimento, competizione, cooperazione) nei confronti della Cina allo scopo di mantenere fredda la guerra tra i due Stati, accordandosi sulla definizione dei punti di divergenza militare che richiedono un «telefono rosso», di precisare quale spazio di relazioni commerciali sia possibile entro la strategia G7 di soffocamento del potenziale tecnologico cinese e le aree dove invece sono possibili alcune convergenze intrabelliche, ponendo all’Italia il problema di come esserci nella «C» cooperativa per non perdere vantaggi economici. È stato questo il motivo dell’asimmetria formale nell’incontro per rimontare la minore forza dell’Italia in confronto a quella di altri nelle relazioni commerciali con la Cina? Non è escludibile, ma comunque non c’è stata sufficiente analisi strategica. Gli Stati Uniti difficilmente concederanno a Pechino il ruolo del mediatore nel conflitto in Ucraina. Infatti, nelle relazioni riservate il linguaggio americano nei confronti dei cinesi è di «dissuasione»: continua a sostenere Mosca con armi, soldi e appoggio politico sostanziale e diventerai oggetto di sanzioni e ritorsioni. Mentre il nostro capo dello Stato ha aderito pubblicamente al linguaggio cinese che si debba lavorare insieme per la pace nel mondo, così lasciando uno spiraglio all’idea della Cina come mediatore. Uno potrebbe dire che non c’è niente di male. Ma quello della pace del mondo nel fraseggio cinese è la premessa per ricevere consenso sul punto principale della strategia per sfuggire all’isolamento economico: la separazione tra relazioni commerciali e politiche. E come terzo punto c’è lo sforzo cinese per separare Europa ed America sostenendo un mondo regionalizzato in blocchi dove la Cina è al momento il più grande. Quindi l’accettare senza aggiungere altro la premessa innocua, significa aprirsi alla logica cinese di dominio. Ora Wang anticipa che Xi farà un discorso di pace per riparare agli errori di aggressività. Ma nei fatti sostiene concretamente Mosca, non dimenticando che, senza il suo consenso, Vladimir Putin non avrebbe invaso l’Ucraina. Quindi la giusta risposta diplomatica sarebbe stata fare l’incontro a livello di ministro degli Esteri con linguaggio «riservatese» e minore esposizione pubblica. Poi, indetto l’incontro a più alto livello, è ovvio che si parli di buone intenzioni e si cada nella raffinata trappola linguistica della controparte corredata da un invito imbarazzante a Pechino che sembra un ricatto pur con miele. Va annotato un gap di pensiero strategico in questo bilaterale, simile a quello che si è visto nelle relazioni con la Francia. Ma l’errore sembra così grossolano da chiedersi se sotto non ci sia altro. Forse è un gioco delle parti: il governo ha chiesto a Mattarella di fare l’amico della Cina per attutire il futuro rifiuto di rinnovare l’accordo bilaterale (sciagurato) con la Cina in materia di Via della seta, portando la relazione verso accordi solo settoriali e minori. Può essere. Ma può anche essere che il Quirinale abbia voluto dimostrare una sua autonomia di indirizzo, travestita da pacifismo, contraria a quella del governo. Possibile? Il Quirinale ha poteri illimitati perché nessuna sua facoltà è stata scritta in modo preciso, limitandola. Ci sono precedenti di divergenza tra Quirinale e governo in carica? Ci sono, uno di questi lo ha visto direttamente chi scrive quando Francesco Cossiga appoggiò l’indipendenza della Slovenia contro l’indirizzo del governo allora in carica nei primi anni Novanta, per contrastare un disegno austro-bavarese-tedesco di dominio di parte dei Balcani e di esclusione dell’Italia dal Corridoio infrastrutturale europeo n.5. Quella fu una mossa d’eccezione giusta per l’interesse nazionale. Non ci sono prove che il Quirinale abbia fatto una mossa divergente o strumentalmente convergente con il governo, né chiarezza sull’influenza di Vaticano, e dintorni, nonché di gruppi economici o di élite prezzolate dall’abile penetrazione cinese in Italia. Ma ci sono sufficienti indizi per annotare la necessità di una maggiore professionalità nelle relazioni con la Cina, da trattarsi come un nemico pericoloso con il quale si può e si deve parlare, ma senza ingenuità e provincialismo. www.carlopelanda.com
Charlie Kirk (Getty Images). Nel riquadro Tyler Robinson