2023-07-28
Il diktat del Colle: «Basta dibattiti sul clima»
Sergio Mattarella ammonisce i cronisti: «Sorprendente», dice, che si discuta su cause e rimedi dopo i disastri di questi giorni Evidentemente, per lui è già tutto chiaro. Ma fare il nostro mestiere significa porre delle domande. Senza alcun bavaglio.Sergio Mattarella è sorpreso. Sì, ohibò: il presidente della Repubblica non si capacita che sui giornali e in tv in questi giorni si discuta di cambiamento climatico. Secondo l’uomo del Colle, è sbalorditivo che «di fronte alle drammatiche immagini di quel che è accaduto, al Nord come al Centro, come nel Meridione», si dibatta «sulla fondatezza dei rischi, sul livello dell’allarme, sul grado di preoccupazione». Pare di capire che, secondo lui, si dovrebbe tacere. O meglio, sarebbe auspicabile che sull’argomento gli organi d’informazione avessero un pensiero unico. Del resto, il capo dello Stato non parlava a degli sconosciuti, ma ai giornalisti parlamentari durante la cerimonia del ventaglio, oggetto che tradizionalmente i cronisti donano all’inquilino del Quirinale prima che questi si prenda una pausa estiva. Dunque, nella sala accaldata, lo stupore manifestato dall’inquilino del Quirinale non era certo casuale ma voluto, per significare che non si deve discutere, ma «occorre assumere la piena consapevolezza che siamo in ritardo e bisogna agire per incrementare l’impegno e la salvaguardia dell’ambiente e per combattere le cause del cambiamento climatico». Insomma, fate il vostro lavoro «obbedendo ai canoni deontologici», ma non mettetevi in testa di discutere il surriscaldamento globale come causa di tutti i mali che hanno colpito il Paese. «Ciascuno faccia il proprio mestiere», ha sentenziato Mattarella, «e cerchi di farlo bene». Quello del presidente della Repubblica non si può definire un bavaglio, anche perché è stato preceduto dal solito riferimento all’indipendenza della stampa, ma un ammonimento sì. Quando vuole, il capo dello Stato sa che cosa significhi la moral suasion e le sue parole ieri erano proprio indirizzate ai cronisti, per metterli sul chi vive in materia di ambiente. Perché è vero che l’articolo 21 della Costituzione protegge la libertà di informazione, ma da quando il Parlamento ha modificato la carta repubblicana, introducendo una tutela degli ecosistemi, si può sempre incappare in materie confliggenti, dove alla fine non spetta più alla politica o al cronista dirimere quale diritto sia prevalente, ma ai giudici della legge. Cioè: viene prima la libertà di stampa o prevalgono le modifiche agli articoli 9 e 41, che delegano allo Stato il compito di difendere l’ambiente a tutela delle future generazioni? Del resto, già oggi sono introdotti vincoli alla libera iniziativa delle imprese di fronte al diritto alla salute e all’ambiente e dunque se si possono valutare iniziative imprenditoriali, mettendole in discussione per difendere la Natura, anche la libertà di stampa può essere sottoposta a vincoli. Per altro, non era quello che già chiedeva un ex presidente del Consiglio come Mario Monti durante il Covid? Siamo in guerra, perché la pandemia è una guerra, fu il suo ragionamento, e durante i conflitti non si impone la censura in nome dell’interesse nazionale? Pochi si scandalizzarono allora, così come pochissimi reagirono di fronte alle limitazioni delle libertà costituzionalmente garantite nei confronti di chi rifiutava il vaccino. Dunque, non c’è da stupirsi se adesso qualcuno prospetta un sistema sanzionatorio a carico dei giornalisti che si permettono di criticare la narrazione ufficiale a proposito del riscaldamento globale. E il capo dello Stato che si stupisce per il dibattito va in questo senso. Evidentemente, per lui è già tutto chiaro, tutto già assodato e dunque non c’è alcuna necessità di dibattere di cambiamento climatico e di misure da adottare.Peraltro questa strana voglia di bavaglio si registra anche nella lettera-appello sottoscritta da un centinaio di professori, i quali non si rivolgono ai politici proponendo soluzioni, ma se la prendono con l’informazione, rea di non aderire in toto alle loro tesi. Del gruppo fa parte anche il premio Nobel della Fisica Giorgio Parisi, quello della pasta cotta a fuoco spento per risparmiare sulla bolletta. Che altri scienziati e altri premi Nobel dicano il contrario di quanto afferma Parisi è secondario. Ciò che conta è rivolgersi ai giornalisti affinché si uniformino e parlino del cambiamento climatico. E già nelle prime righe si comprende che cosa dovrebbero scrivere sotto dettatura: che il mese di giugno scorso ha registrato le temperature più alte della storia e l’anno scorso il caldo ha provocato più di 60.000 morti in Europa e 18.000 in Italia. Una scienza che pretende di dettar legge non basandosi sulle ricerche scientifiche, ma sui ritagli di giornale. Come abbiamo scritto, in base ai dati della rete elettrica nazionale, in Italia nello scorso mese di giugno si è registrato un consumo minore di energia perché le temperature si sono abbassate di un paio di gradi rispetto all’anno precedente. Quanto poi alle vittime, l’Istituto superiore di sanità nel 2003 certificò 19.000 morti per caldo (cioè, più di quanto oggi dichiarano i cento firmatari dell’appello per una corretta informazione) e Lancet - rivista riconosciuta a livello mondiale - parla di cinquemila decessi riconducibili alle condizioni climatiche. Dunque, anche solo a leggere queste cifre - e queste contraddizioni - si capisce che non soltanto è giusto discutere di cambiamento climatico, ma è indispensabile. Altro che ridurre la libera informazione al silenzio, minacciando sanzioni con l’accusa di negazionismo. I «canoni deontologici» richiamati da Mattarella impongono a chi fa il nostro mestiere di non uniformarsi al pensiero unico e di non tacere. Per questo abbiamo insistito su una commissione d’inchiesta sul Covid, altro argomento che al nostro presidente pare non piacere. Discutere, informarsi e indagare fenomeni e responsabilità, nella monarchia di re Sergio primo sono forse diventati un reato?