
Bisogna guardare i numeri. Siamo convinti che l’Italia sia un Paese che guadagna un sacco di quattrini con l’agroalimentare e che l’export ci tiene in vita. E allora come mai da ieri – il presidio continuerà anche oggi – 10.000 agricoltori sono in presidio al Brennero per controllare la merce che arriva dall’estero? La Coldiretti li ha chiamati a raccolta per fare pressione sull’Ue e ottenere l’etichetta d’origine sulla totalità dei prodotti, fermando l’invasione del falso made in Italy. Tutto questo mentre il Belgio – ottimo cliente per le cantine italiane: gli vediamo bottiglie per circa 130 milioni di euro, ma i belgi ne riesportano oltre la metà facendoci la cresta – vara una campagna contro il vino che fa impallidire le etichette dissuasive degli irlandesi.
È l’ennesima dimostrazione di come a Bruxelles le norme siano a geometria variabile. La bilancia commerciale dell’Ue relativamente all’agroalimentare è da record: 228,6 miliardi di euro di esportazioni a fronte di 158,6 miliardi d’importazioni per un attivo di 70 miliardi (più 22% rispetto al 2022). L’Italia partecipa al banchetto? No. Abbiamo fatto anche noi un nuovo record di esportazione, ma non basta a pareggiare i conti. Scrive l’Ismea (è l’Istat dell’agroalimentare): «L’export nel 2023 si è attestato a 64 miliardi di euro, in crescita del 5,7% rispetto al 2022. L’aumento delle importazioni è stato più contenuto (+5,4%, da 61,7 a poco più di 65 miliardi di euro) e ciò ha determinato un lieve miglioramento del saldo della bilancia commerciale, il cui disavanzo si attesta a 889 milioni di euro (meno 126 milioni rispetto al 2022)».
Va assai meglio rispetto a una decina di anni fa, ma resta da capire perché se l’Ue guadagna noi perdiamo. La ragione è che noi vendiamo prodotti di altissima qualità mentre gli altri fanno massa. Perciò ogni atto che penalizza le quantità (il Farm to Fork con i terreni a riposo, la riduzione delle rese, la rotazione obbligatoria, l’importazione «politica» da Paesi terzi) per l’agroalimentare italiano diventa un doppio danno. Ecco perché veniamo invasi da prodotti di bassa qualità che trasformati da noi conquistano una patente di italianità aumentando di valore. Ma ecco anche perché contro il vero made in Italy vi è una sistematica aggressione: con barriere normative o con contraffazioni. Scrive sempre l’Ismea: «Il principale mercato di destinazione dei prodotti agroalimentari italiani è l’Ue che, con 41,9 miliardi di euro nel 2023, assorbe circa il 65% delle nostre esportazioni. Germania, Francia e Stati Uniti rimangono i partner di maggior rilievo».
Forse per riequilibrare la bilancia l’Europa ci spedisce materia prima di dubbia qualità. Lo ha scoperto ieri al Brennero la Coldiretti coadiuvata dalle autorità di dogana e dalle forze dell’ordine. Da centinaia di Tir controllati sono saltate fuori «cosce di maiale danesi dirette a Modena che rischiano di diventare prosciutti italiani». spiega la Coldiretti, «uva indiana spedita a Novara, frutta sudafricana proveniente dalla Moldavia con direzione Sicilia, preparati industriali a base di uova fatti in Polonia e attesi a Verona, anche un Tir carico di grano senza tracciabilità». Tutto perché l’Europa – quella innamorata del Nutriscore, l’etichetta a semaforo che piace tanto alle multinazionali e ai colossi della distribuzione francesi, belgi, olandesi e tedeschi – si rifiuta di varare l’etichetta di origine. Anzi la Corte dei Conti Ue nell’audit in merito ai decreti italiani sull’etichettatura d’origine per pasta, riso, derivati del pomodoro, latte e formaggi, salumi, li ha considerati ostacoli al libero commercio. Come se il regio decreto assunto in Belgio che vieta la pubblicità in ogni forma, la somministrazione gratuita fosse anche per degustazione promozionale e impone l’etichettatura anonima di tutti gli alcolici, vino compreso, fosse in linea con il mercato comune.
L’offensiva contro il vino i primi risultati li ha dati con buona soddisfazione di chi vende ad esempio energy drink. Scrive l’Ismea, alla vigilia del Vinitaly: «I vini in bottiglia, dopo il buon risultato del 2022, hanno ridotto il valore delle spedizioni a 5,1 miliardi di euro (-2,7%,) nonostante vini spumanti si siano distinti per la crescita (+3,3% in valore)». Contro queste disparità la Coldiretti ha lanciato la raccolta di un milione di firme per una legge popolare europea che imponga non solo l’etichetta d’origine a tutti i prodotti, ma anche le cosiddette clausole specchio. E cioè che i prodotti importati in Ue e segnatamente in Italia «rispettino gli stessi standard di quelli europei e», come sostiene il presidente di Coldiretti Ettore Prandini, «venga assicurato ai cittadini la trasparenza dell’origine in etichetta perché si sappia cosa si mette nel piatto. Noi stiamo difendendo il reddito degli agricoltori lottando contro il falso made in Italy e la salute dei cittadini chiedendo che ci siano controlli serrati alle frontiere. Non è possibile», conclude Prandini, «che porti e valichi siano un colabrodo da cui passa di tutto».





