2024-02-27
Il rilancio del Cnr ci costa 100 milioni ma resta senza le uscite di sicurezza
La sede del Cnr a Roma (Imagoeconomica)
Nonostante le promesse del presidente Carrozza, le sedi sono da incubo: a Napoli vie di fuga impraticabili, a Roma la priorità è quella di portare cani di grossa taglia in ufficio. E spuntano pure dei casi di familismo.Lo scorso anno il presidente Maria Chiara Carrozza aveva annunciato che il piano di rilancio del Consiglio nazionale delle ricerche sarebbe entrato nel vivo. «Significa sviluppare quegli asset che poi saranno fondamentali per il Paese del futuro», spiegava di fronte alle telecamere l’ex ministro del governo di Enrico Letta, nominato nel 2021 dall’ex ministro Maria Cristina Messa, che a sua volta era già stata vicepresidente dello stesso Cnr. La pioggia di milioni, almeno 100 (stanziati nel 2022), per il rilancio del Consiglio nazionale delle ricerche non sembra essere poi servita a molto. O meglio, nell’ultimo mese ha destato più di qualche ironia la circolare che permette ai lavoratori della sede centrale di portare un cane in ufficio, anche oltre i 25 chili. Una scelta che fa davvero capire quanto sia distante il modo di regolare ogni fenomeno che si svolge nell’ente, ponendo regole minuziose per situazioni al limite dell’ordinaria gestione (i cani in ufficio), mentre fondi e personale di ricerca restano imbrigliati dalla giungla di regole che l’amministrazione centrale aggiunge a quelle della Pubblica amministrazione, dal Cnr proprio per la situazione di assurda burocrazia, con una sede centrale più che mai lontana dalle sedi degli istituti dove si fa la ricerca. Il Consiglio nazionale delle ricerche avrebbe bisogno di ben altro. Come già anticipato nei giorni scorsi dalla Verità, infatti, anche i sindacati hanno iniziato a farsi sentire. E in una nota hanno elencato tutte le criticità del mancato rilancio della presidenza Carrozza, il cui mandato scade nel 2025. E pensare che proprio l’attuale presidente, non appena insediata, aveva passato i primi mesi del suo mandato visitando tutte le sedi del Cnr, in Italia e all’estero. L’obiettivo sarebbe stato quello di migliorare la struttura amministrativa dell’ente, lenta e burocratizzata, come di riformare i dipartimenti, vero e proprio argine a una ricerca più snella e veloce. Al contrario, continua a consolidarsi un vero nucleo duro di potere burocratico centrale, esercitato su tutta la rete della ricerca. Esiste infatti una vera e propria dicotomia tra la Sac (Sede e amministrazione centrale con apparati tipicamente ministeriali, una burocrazia bizantina e improduttiva, mediante la quale l’ultimo dei funzionari di piazzale Aldo Moro riesce a bloccare per mesi il lavoro della rete della ricerca con un semplice potere di veto) e gli istituti, i veri nuclei che mandano avanti attività di ricerca, anche di buon livello in alcuni ambiti scientifici (fisica, scienze dei materiali, scienze della vita), vincendo bandi per progetti e premi internazionali. Nel piano della ricerca non è adeguatamente presente l’esigenza di svincolare del tutto le attività di ricerca dal controllo della Sac romana, che dovrebbe al massimo verificare da remoto e senza appesantire le attività degli istituti. Nel piano di rilancio questo elemento non è stato minimamente presente: articolazioni della Sac e Dipartimenti (macroaree con funzioni prevalentemente strategico-amministrative) restano intoccati nel nuovo modello, che si limita a intervenire sulle Urgo (Unità di ricerca goal oriented ora chiamate Goru), una sorta di rete di ricerca multidisciplinare tra ricercatori di diverse competenze e collocati in diversi istituti. Nonostante il piano di rilancio preveda solo questa modalità poco significativa, all’interno della Sede centrale romana del Cnr, i dirigenti in servizio hanno fatto tutto il possibile per diluire questo processo, non intervenendo nell’effettiva applicazione. Non solo. Nelle sedi distaccate c’è una realtà ben diversa da quella della sede centrale. Mentre a Roma si dilettano con i cani in ufficio, all’Area della ricerca di Napoli aspettano da quasi 20 anni (17 per l’esattezza) un serio piano di evacuazione. Ci sono ancora porte con il catenaccio che bloccano le vie di fuga, usurate da quando nel lontano 2007 c’è chi presentò denuncia ai vigili urbani per l’area di ricerca del Cnr nel capoluogo campano. Non serve ricordare che tutta la zona di Napoli è da sempre zona sismica, situazione che si è in parte aggravata dopo le scosse di questo autunno nella zona dei Campi Flegrei. Nell’esposto denuncia di allora si spiegava come le uscite di sicurezza fossero tutte bloccate, mentre l’unica praticabile fosse quella principale, da dove si entra e si esce ogni giorno. Sono passati 17 anni e la situazione è immutata. L’uscita numero 2 è ancora interdetta. L’uscita numero 4 è sempre interdetta, anche perché evidentemente i lavori di sistemazione non sono mai stati ultimati. L’uscita numero 3 ha attualmente un catenaccio. L’aspetto ancora più inquietante è che il figlio dell’ex responsabile tecnico dell’area di ricerca (Renato Marangio), cioè quello che per anni avrebbe dovuto sorvegliare sullo stato dei lavori e sul piano di evacuazione, sia stato estromesso dal Tar da un concorso pubblico che aveva vinto senza possedere i titoli di studio necessari. La vicenda sembra il classico caso di familismo, dove il figlio di un ex dirigente partecipa a un concorso per un posto fisso a tempo indeterminato. Lo vince, pur non avendone i titoli, ma un altro partecipante porta il caso di fronte al tribunale regionale e alla fine la spunta, anche perché - dice il Tar - al figlio era stato attribuito un punteggio per un titolo non posseduto. Anche questo è l’ennesimo esempio di un ente che dovrebbe rappresentare un’eccellenza in Italia per la ricerca scientifica, ma che invece vive ancora di lungaggini amministrative e di casi di familismo. Anche per questo il ministro vigilante sul Cnr, Anna Maria Bernini, dovrebbe intervenire sul piano di rilancio, rimodulando sviluppo e orientamento e soprattutto liberando il personale scientifico e tecnologico dal giogo di una burocrazia più che inutile, dannosa.
L'ex amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel (Imagoeconomica)
Giorgia Meloni ad Ancona per la campagna di Acquaroli (Ansa)
«Nessuno in Italia è oggetto di un discorso di odio come la sottoscritta e difficilmente mi posso odiare da sola. L'ultimo è un consigliere comunale di Genova, credo del Pd, che ha detto alla capogruppo di Fdi «Vi abbiamo appeso a testa in giù già una volta». «Calmiamoci, riportiamo il dibattito dove deve stare». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni nel comizio di chiusura della campagna elettorale di Francesco Acquaroli ad Ancona. «C'é un business dell'odio» ha affermato Giorgia Meloni. «Riportiamo il dibattito dove deve stare. Per alcuni è difficile, perché non sanno che dire». «Alcuni lo fanno per strategia politica perché sono senza argomenti, altri per tornaconto personale perché c'e' un business dell'odio. Le lezioni di morale da questi qua non me le faccio fare».
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