2023-09-02
Il Cnel studia i salari: più che una legge serve differenziare per territori e settori
Il parere del Consiglio a ottobre: molti dubbi sulla paga minima. L’esperto Francesco Rotondi: ci vuole un sistema basato sul Pil pro capite.Calma e gesso. Il lavoro affidato al Cnel - elaborare una proposta per aumentare i salari degli italiani - è appena iniziato e probabilmente saranno necessari tutti i 60 giorni indicati dal premier Giorgia Meloni ad agosto per arrivare a dama. Insomma, difficile aspettarsi anticipi rispetto al termine ultimo del 10 ottobre. Anzi non ci sarebbe da sorprendersi se Brunetta decidesse di chiedere un proroga per emettere il parere con il nuovo consiglio. C’è un tema di contenuti e questo appare scontato, ma anche una questione procedurale che sicuramente non favorisce un’accelerazione. Al Cnel siamo infatti nel pieno di un passaggio di consegne dal Consiglio targato Tiziano Treu a quello presieduto da Renato Brunetta e anche gli esperti indicati dal presidente della Repubblica (sono otto, tra questi il giuslavorista Michele Tiraboschi e l’economista Carlo Altomonte), quelli nominati dal Palazzo Chigi, gli avvocati Francesco Rotondi e Roberto Zazza e i sei membri del terzo settore non sono ancora operativi. Si aspetta che il prossimo Consiglio dei ministri (probabilmente l’8 di settembre) dia il via libera ai 48 consiglieri delle parti sociali perché il consiglio sia in formazione completa e possa iniziare il suo lavoro. Ma va ricordato che serve il placet della Corte dei Conti, un decreto del presidente della Repubblica e che la prima riunione (che potrebbe essere il 22 settembre) è dedicata alla nomina dei vicepresidenti. Morale della favola: prevedere che prima dell’ultima settimana del mese il nuovo Cnel tocchi palla sembra utopia.Intanto però il vecchio Cnel non è rimasto con le mani in mano. Appena ricevuto l’incarico dal premier ha infatti provveduto ad acquisire i documenti delle parti sociali audite sul tema alla Camera, ad analizzare le carte e a realizzare un memorandum interno che servirà anche ai nuovi consiglieri. Terminato il primo step, il secondo inizierà a giorni con le audizioni di tutte le parti sociali e degli altri organismi del settore, sono più di 30, rappresentati dal Cnel. E adesso? Inevitabile che con con l’insediamento del nuovo consiglio si passerà alla fase dei contenuti, quella più delicata che già oggi sta facendo discutere. «Premettendo che in questo momento parlo a titolo personale», spiega alla Verità Francesco Rotondi, titolare dello studio LabLaw e nominato come consigliere esperto del Cnel nelle scorse settimane dalla presidenza del Consiglio, «sarebbe sbagliato porre la questione come una disputa tra guelfi e ghibellini, tra chi vuole un salario minimo e chi invece intende lasciare il mercato libero di incrementare le diseguaglianze. Tutti vogliamo tutelare i lavoratori soprattutto quelli che hanno le retribuzioni più basse. Quindi io parlerei di salario di civiltà e non di salario minimo». Certo. Fatto sta che esiste una proposta di legge che ha unito le opposizioni e che indica un salario minimo di 9 euro lordi all’ora. E che la maggioranza ha aperto a una discussione, lasciando però intendere che il punto di caduta non può certo essere quello individuato dal Pd. «Penso», continua il giuslavorista, «che serva uno studio profondo per individuare un meccanismo che parta dai numeri sul Pil nazionale e li metta in rapporto con il Pil dei singoli lavoratori al quale va comunque aggiunto un plus per tutto ciò che è svago o investimento personale o sulla famiglia. Per mettere in piedi questo meccanismo non serve una legge ma basta la contrattazione collettiva che peraltro è lo strumento più idoneo a rintracciare le differenze tra le varie aree geografiche, perché è evidente a tutti che il costo della vita non è lo stesso nel Paese, e in relazione ai diversi settori». Il punto, come evidenziato da molti esperti del mercato del lavoro, è che non si capisce quale sia lo studio che ha portato all’ormai famosa soglia dei nove euro lordi all’ora. «Se prendiamo le società di vigilanza privata», conclude Rotondi, «che hanno contratti ben al di sotto dei nove euro e gli imponiamo di alzare le retribuzioni per legge corriamo il rischio che quelle stessa aziende falliscano o che preferiscano continuare gli stessi rapporti però in nero. Ribadisco il concetto: è assurdo dividersi tra chi vuole salari più ricchi e chi invece è contrario, l’obiettivo è lo stesso, si tratta di individuare il giusto meccanismo per perseguirlo». Del resto che questa sia la strada, cioè quella di non imporre un salario per legge ma di trovare altre strumenti per aumentare le retribuzioni più basse, lo si evince anche dalle proposte che man mano emergono dalla maggioranza. Si parte dal cuneo fiscale e dalla detassazione di tredicesime, premi e benefit aziendali e si arriva fino alle sanzioni nel caso non vengano rinnovati i contratti entro un determinato arco temporale. Anche perché se tutti i contratti venissero rinnovati senza ritardi già oggi staremmo vedendo tutto un altro film.
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(Totaleu)
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