2023-11-16
Il Sinodo e la geopolitica scavano un fossato tra clero Usa e Vaticano
Il cardinale Christophe Pierre, nunzio apostolico negli Usa (Getty Images)
Dopo la rimozione del vescovo di Tyler, aumentano gli attriti tra nunzio apostolico e Conferenza episcopale. Linea filocinese e temi dottrinali alla base dello scontro.È una tensione crescente quella che si registra tra la Santa Sede e la Chiesa statunitense. La rivista dei gesuiti americani America Magazine ha riferito di alcuni attriti tra il nunzio apostolico negli Stati Uniti, il cardinale Christophe Pierre, e il presidente della Conferenza episcopale d’Oltreatlantico, l’arcivescovo Timothy Broglio. In particolare, durante la recente assemblea plenaria della stessa Conferenza episcopale a Baltimora, i due avrebbero espresso quelle che la testata ha definito delle «visioni contrastanti» in riferimento al Sinodo sulla sinodalità. «Dobbiamo avere il coraggio di ascoltare il punto di vista delle persone, anche quando tali prospettive contengono errori e incomprensioni», ha detto Pierre. «Il risveglio eucaristico e la sinodalità vanno di pari passo», ha proseguito, per poi aggiungere: «Incoraggio noi stessi a seguire ciò che dice il Santo Padre. Potremmo aver avuto timori o ansie riguardo a questo Sinodo, soprattutto se ci fossimo concentrati su una particolare “agenda” o “idea”, sia negativa che positiva. Ma non è questo il senso della sinodalità». Broglio, dal canto suo, ha detto di aver «riflettuto sulle numerose realtà sinodali che già esistono nella Chiesa degli Stati Uniti». «Si potrebbe pensare anche alle commissioni di questa conferenza. Almeno in quelle in cui ho servito, l’interazione tra vescovi, personale e consulenti è stata attiva, salutare ed estremamente utile», ha proseguito. Insomma, il presidente della Conferenza episcopale sembra avere, almeno in parte, respinto al mittente le esortazioni di Pierre, sottolineando che «numerose» realtà sinodali già esistono nella Chiesa americana. Queste stoccate in punta di fioretto non nascono dal nulla. Già a inizio novembre, Pierre aveva bacchettato il clero d’Oltreatlantico, parlando proprio ad America Magazine. «Ci sono alcuni sacerdoti, religiosi e vescovi che sono terribilmente contro Francesco, come se fosse il capro espiatorio di tutti i fallimenti della Chiesa o della società», dichiarò. «Siamo a un mutamento epocale nella Chiesa. La gente non lo capisce. E questo potrebbe essere il motivo per cui la maggior parte dei giovani sacerdoti oggi sognano di indossare l’abito talare e di celebrare la messa nel modo tradizionale», aggiunse, lamentandosi anche del fatto che i seminari negli Usa oggi sarebbero «vuoti». Parole che non sono state ben accolte da Broglio. «Non penso che questo rifletta realmente la realtà della Chiesa negli Usa», ha detto il presidente della Conferenza episcopale, secondo la testata Crux. «Certamente le nostre chiese non sono vuote, tuttavia stiamo cercando di fare del nostro meglio perché continui a essere così. Abbiamo un certo numero di seminari che sono in realtà al completo», ha aggiunto. Tutto questo, mentre sabato Papa Francesco ha rimosso dal suo incarico il vescovo di Tyler, Joseph Strickland, che era stato un aspro critico del Sinodo sulla sinodalità, paventando lo scenario di uno scisma. Di contro, negli Usa uno dei principali promotori del Sinodo (a cui ha anche preso parte dietro nomina pontificia) è sempre stato padre James Martin: gesuita progressista, designato consultore del dicastero vaticano per la Comunicazione nel 2017. «Negli Stati Uniti la situazione non è facile: c’è un’attitudine reazionaria molto forte, organizzata», aveva inoltre detto il Papa ad agosto. Alla base degli attriti tra il Pontefice e i cattolici statunitensi non si registrano solo nodi dottrinali. Innanzitutto tra meno di un anno negli Stati Uniti si terranno le elezioni presidenziali. Nonostante la Conferenza episcopale abbia avuto delle turbolenze con i repubblicani sulla questione migratoria, c’è una significativa convergenza tra il Gop e molti vescovi americani sul contrasto all’aborto. Ora, non è un mistero che l’attuale Pontefice non nutra eccessive simpatie per il Partito repubblicano e, soprattutto, per Donald Trump (nonostante quest’ultimo avesse nominato dei cattolici alla Corte Suprema e nella sua stessa amministrazione). Sarà d’altronde un caso, ma l’enciclica Fratelli tutti, in cui si criticava duramente l’innalzamento dei «muri», uscì il 3 ottobre 2020: a un mese esatto, cioè, dalle elezioni presidenziali di quell’anno. Difficile trascurare che uno dei punti salienti del programma politico di Trump era sempre stato quello del muro al confine col Messico. Così come è difficile trascurare che lo stesso Strickland è storicamente un severo critico dell’amministrazione Biden (soprattutto in tema di aborto). Emerge poi un nodo geopolitico. Washington ha sempre guardato con diffidenza al controverso accordo sino-vaticano sulla nomina dei vescovi, siglato nel 2018 e finora rinnovato due volte. A criticare l’intesa furono, tra gli altri, due cardinali statunitensi, come Raymond Burke e Timothy Dolan (che è a capo della commissione per la libertà religiosa della Conferenza episcopale americana). Ciononostante il Pontefice ha confermato la distensione con la Cina nel suo viaggio in Mongolia di settembre e ha inoltre strizzato l’occhio al Dragone nella sua esortazione apostolica Laudate Deum. Tutto questo, mentre martedì l’arcivescovo di Pechino, Joseph Li, si è recato a Hong Kong su invito del neocardinale Stephen Chow: gesuita e stretto alleato di Francesco, oltre che noto fautore dell’accordo sino-vaticano. Ebbene Joseph Li è presidente dell’Associazione patriottica cattolica cinese, che risulta sottoposta al controllo del governo di Pechino. Quel governo che finora ha più volte violato l’intesa con la Santa Sede e che continua a sottoporre i cattolici cinesi a un processo di indottrinamento secondo i principi del socialismo. In questo senso, i due aspetti della questione - quello dell’appoggio indiretto a Joe Biden e quello dell’avvicinamento a Pechino - si intrecciano. Il Papa non può non sapere che nell’attuale amministrazione americana c’è un’ala che spinge per una distensione tra Usa e Cina: un’ala, in particolare, capitanata dal segretario al Tesoro Janet Yellen e dall’inviato per il clima John Kerry. Quel Kerry che preme per un disgelo con la Cina in nome della cooperazione green, che è un tema da sempre caro all’attuale Pontefice. Cattolico liberal, proprio Kerry ha avuto un faccia a faccia con Francesco a giugno. Nei sacri palazzi, c’è da giurarci, si sarà seguito con estrema attenzione l’incontro di ieri tra Biden e Xi Jinping. Il riposizionamento geopolitico della Santa Sede in senso filocinese prosegue.
Vladimir Putin e Donald Trump (Ansa)