2023-01-09
Ciriani: «Presidenzialismo al via entro il 2023»
Luca Ciriani (Imagoeconomica)
Il ministro: «Puntiamo ad approvare la riforma in prima lettura almeno in una Camera. Vogliamo dialogare con le opposizioni, ma se la risposta sarà l’ostruzionismo faremo le nostre scelte come promesso agli elettori».Luca Ciriani, ministro per i rapporti con il Parlamento, state preparando lo spoils system per le alte burocrazie? L’opposizione vi accusa di preferire la fedeltà al merito.«Sono accuse che mi fanno sorridere. Si chiama democrazia: chi vince ha il diritto e il dovere di scegliere le persone con cui collaborare. E non si capisce perché le persone capaci debbano stare solo a sinistra. I buoni professionisti ce li abbiamo anche noi».Dunque non sarà un’occupazione?«Se vogliamo parlare di occupazione, o di lottizzazione selvaggia di tutte le caselle del potere, allora il Pd potrebbe darci lezioni universitarie».Enrico Letta dice che la rimozione di Giovanni Legnini dall’autorità per la gestione del post-terremoto è un «brutto segnale». Polemica sproporzionata?«Una polemica del tutto strumentale. Anzi quello dell’opposizione mi sembra un atteggiamento intimidatorio, che punta a paralizzare l’attività di governo per difendere un sistema di potere che in questi anni il Pd ha coltivato con grande professionalità. Se non ricordo male Legnini fu il candidato del centrosinistra alla presidenza della Regione Abruzzo…».Dunque userete il machete per le posizioni apicali, come dice il ministro Guido Crosetto?«Non andremo né di machete né di bisturi. Non faremo tabula rasa, ma dove sarà necessario verranno inserite persone capaci e di fiducia. A parità di bravura, non vedo cosa ci sia di male nello scegliere persone fidate: non è forse ciò che fanno da anni governi, governatori e sindaci di sinistra? Poi in politica ognuno risponde delle proprie decisioni: se scegliessimo qualcuno che è incapace, andremmo contro i nostri stessi interessi e ne pagheremmo le conseguenze».Il 2023 sarà l’anno delle riforme istituzionali in senso presidenziale?«Ci piacerebbe approvare la riforma in prima lettura almeno in una delle due Camere entro la fine dell’anno. Questo sarebbe già un bel successo. Ma oltre al discorso sulla tempistica, ciò che più conta è guardare anche al di fuori del perimetro di centrodestra».Dunque scriverete la riforma con le opposizioni? Non sembra essere partito un vero dialogo, finora…«Questa riforma non vuole rappresentare una rivincita del centrodestra sul centrosinistra. Abbiamo l’ambizione di pensare a un progetto per il Paese, che metta fine all’instabilità cronica dei governi. Avere governi forti e stabili, che abbiano tempo e modo di realizzare i programmi, dovrebbe essere interesse di tutti. Dunque confrontiamoci: tendenzialmente le regole del gioco si scrivono insieme».E i contenuti? Davvero insisterete sull’elezione diretta del capo dello Stato?«La mia opinione è che un semipresidenzialismo sia la formula che meglio si attaglia al nostro Paese. Ma non dev’essere alla francese o alla tedesca: dev’essere semplicemente adatto all’Italia».E il governo si prenderà la responsabilità del progetto o si passerà da una Bicamerale?«Si può fare attraverso una proposta complessiva elaborata dal governo, oppure attraverso una Bicamerale, che però non sia pura accademia. Sarebbe interessante scoprire se c’è un terreno comune su cui ragionare. Se la risposta che ci arriverà sarà l’ostruzionismo, allora faremo le nostre scelte come promesso agli elettori».Nell’anno delle grandi scelte, in tanti si aspettano una riforma del fisco. C’è spazio?«Molto dipenderà dalle condizioni economiche del Paese. Abbia varato una manovra tutta incentrata sul sostegno alle bollette, con previsioni fino a fine marzo. Da quel momento in poi capiremo quali sono le reali possibilità sul fisco, onde evitare promesse impossibili. Certo, la riforma fiscale resta un obiettivo di legislatura: il proposito è quello di continuare sulla strada dell’abbassamento del cuneo fiscale e degli aiuti alle imprese, riproponendo il principio del “più assumi meno paghi”».Cambieranno anche i meccanismi per l’attuazione del Pnnr?«Il problema è che il Pnrr è stato scritto in un’altra epoca storica, quando non c’era la guerra in Ucraina e l’esplosione dell’inflazione. È chiaro che alcune misure rischiano di essere senza logica».Quindi?«Un adattamento del Pnrr va fatto, non per mettere in discussione il sistema ma per renderlo più efficace. Da una parte arriveranno norme per accelerare le procedure, grazie all’ottimo lavoro del ministro Fitto; dall’altra manterremo sempre un rapporto stretto con gli enti locali».Nel portare avanti queste pratiche, non sarà facile gestire gli alleati della coalizione: serve una cabina di regia?«Magari non la chiamerei “cabina”: sa troppo di “ancien regime”, di antichi riti barocchi da prima Repubblica. In realtà di incontri di maggioranza a Palazzo Chigi ne facciamo spesso, e finora la sintesi è sempre riuscita. Ma non sono contrario a istituire un momento particolare in cui si ragiona insieme».Si ragiona insieme anche sul grande partito unico conservatore che possa rappresentare in futuro l’intero centrodestra? In vista delle elezioni europee del prossimo anno c’è un cantiere aperto?«Quel grande partito conservatore c’è già, ed è Fratelli d’Italia. Credo che i “partiti unici” in Italia non abbiano mai funzionato, né a sinistra né a destra. Gli italiani non amano il partito unico: vogliono pluralità di voci. Anche il tentativo del Pdl, qualche anno fa, è finito male».Dunque meglio restare separati?«Per quanto mi riguarda, è meglio l’attacco a tre punte: una tattica che funziona bene sia sul piano politico, perché facilita le decisioni, sia sul piano elettorale. Mi accontenterei di un sistema bipolare, con coalizioni organizzate in due o tre partiti, uniti nelle loro diversità. Sia chiaro, tutti sempre ben consapevoli che il campo di gioco è quello del centrodestra, senza mai fare giri di valzer altrove».Dopo l’incontro tra Giorgia Meloni e il capo del Ppe Manfred Weber, qual è la strategia a livello europeo? Qualcuno dipinge Fdi come un partito sempre meno sovranista e sempre più conservatore. A che pro volete accreditarvi in Europa?«Già al congresso di Milano avevamo tracciato il percorso: il nostro è un partito che non si è mai autoghettizzato, o che si è isolato in una posizione di pura testimonianza. Fratelli d’Italia è nato per arrivare dove è oggi: governare il Paese nel miglior modo possibile».E fuori dai confini italiani?«Fuori dai nostri confini, la speranza è che alle elezioni europee dell’anno prossimo si possa rovesciare l’assetto di potere che regna in Europa da troppi anni. L’obiettivo è rompere il patto storico tra popolari e socialisti, e far vincere il centrodestra anche a livello europeo».Per potere in futuro riformare le istituzioni comunitarie, cominciando dalla Bce? Sull’aumento dei tassi pare si stia formando un’asse Italia-Portogallo.«Il nostro obiettivo è far contare di più gli interessi italiani in Europa. Io rispetto la Bce come autorità indipendente, ma gli stati nazionali sono direttamente interessati dalle sue scelte e non possono solo rimanere in silenzio. Qualche riflessione andrebbe forse fatta».Dunque immagina una banca centrale non più totalmente libera?«Non è compito mio intervenire su questa materia, certamente nessuno vuole mettere in discussione l’indipendenza della Bce, è un valore nelle democrazie costituzionali. Come però dice il presidente dell’Associazione bancaria italiana, Antonio Patuelli, esprimere un’opinione sulle mosse future non è una critica, ma è intervenire in un dibattito che è giusto ci sia».Siete sicuri che, di fronte a un rischio di ritorno pandemico, non torneremo alle vecchie restrizioni? Andrea Crisanti, oggi senatore Pd, dice che siete un po’ confusi…«Le polemiche di Crisanti mi sembrano del tutto sconclusionate. Come abbiamo detto in campagna elettorale, stiamo cercando di accompagnare questo Paese verso la normalità. Gli italiani hanno l’esigenza di tornare a vivere in maniera serena, non soltanto per quel che riguarda l’aspetto sanitario, ma soprattutto per motivi economici. Il Paese ha bisogno di ripartire, e può farlo solo se gli viene restituita la sua normalità. Il ministro Schillaci sulla questione degli arrivi dalla Cina si è mosso con prontezza e prudenza. Gli allarmismi non sono soltanto inutili, ma anche dannosi. Crisanti si renda conto che oggi è un senatore della Repubblica e la smetta di gettare panico sugli italiani».
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
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