Pechino trova una scappatoia burocratica per ridurre le vendite all’estero di gallio e germanio, due materie prime essenziali per transizione verde, microchip e applicazioni militari. Così può continuare a condizionare le politiche di Stati Uniti ed Europa.
Pechino trova una scappatoia burocratica per ridurre le vendite all’estero di gallio e germanio, due materie prime essenziali per transizione verde, microchip e applicazioni militari. Così può continuare a condizionare le politiche di Stati Uniti ed Europa.Pechino fa sul serio. Non che ci fossero dubbi, ma di fronte ai numeri anche l’ottimismo più sfrenato deve fare i conti con la realtà. Dopo l’annuncio di luglio delle limitazioni all’export (La Verità, 8 luglio 2023), ad agosto la Cina ha effettivamente ridotto allo zero netto le esportazioni di gallio e di germanio, due metalli essenziali alla transizione ecologica. I due elementi vengono utilizzati nella fabbricazione di microchip con diversi utilizzi, in circuiti integrati, diodi laser e Led, applicazioni ottiche, catalizzatori e sono usati sia per applicazioni legate all’energia sia per applicazioni militari.La Cina produce il 98% del gallio mondiale, mentre si calcola che, al momento, le scorte esistenti dei due materiali possano durare al massimo per cinque-sei mesi.Sono i dati ufficiali delle dogane cinesi a sancire lo stop totale alle esportazioni. L’export di agosto di germanio è stato pari a zero, dopo un luglio a 8,6 tonnellate, record causato dalla corsa degli acquirenti esteri ad immagazzinare quanto più metallo possibile prima del blocco annunciato.Stesso discorso vale per il gallio, di cui la Cina è praticamente monopolista mondiale: esportazioni pari a zero dopo un luglio che ha fatto segnare 5,15 tonnellate di export.Lo stop alle vendite all’estero, che Pechino ha annunciato nei primi giorni dello scorso luglio, riguarda alcuni prodotti finiti o semilavorati (otto relativi al gallio e sei al germanio). Il governo cinese di Xi Jinping intende così fronteggiare l’amministrazione americana guidata da Joe Biden, in una guerra di nervi causata dalla accresciuta importanza strategica e militare della produzione di microchip.Lo stop alle esportazioni dei due metalli è stato ottenuto con una scappatoia burocratica. Il governo cinese pretende che, per commerciare con l’estero questi due materiali, gli esportatori debbano ottenere una licenza speciale legata al doppio uso (civile e militare) dei semilavorati. Per avere l’autorizzazione servono quasi due mesi e sinora nessun operatore l’ha conseguita. Proprio ieri, il ministero del commercio cinese ha annunciato che alcune società cinesi hanno ottenuto la licenza per esportare gallio e germanio. In una conferenza stampa, un portavoce del ministero ha affermato che il ministro ha approvato alcune richieste di compagnie cinesi che rispettano gli standard richiesti. Non ci sono ulteriori dettagli, al momento. Occorrerà attendere i dati delle dogane cinesi relativi all’export per il mese di settembre.I prezzi dei due materiali sul mercato cinese hanno avuto andamenti divergenti. Il gallio in Cina è abbondante e il blocco all’export ha fatto crescere gli stock, per cui il prezzo è sceso di quasi il 10%.Il prezzo del germanio, invece, che aveva scorte più contenute, è cresciuto, sia pure di poco, a causa della ridotta offerta.Di fatto, la Cina, da una posizione di forza, sta condizionando il mercato mondiale di questi elementi e al contempo giocando una partita strategica assai rilevante. Da anni Pechino e Washington si fronteggiano sulla questione dei chip e delle relative applicazioni, soprattutto militari. Gli Stati Uniti dipendono al 100% dal gallio e al 53% dal germanio cinese. Una dipendenza che costringe la Casa Bianca a venire a patti con la potenza economica e militare asiatica. Le mosse cinesi sul blocco dell’export potrebbero continuare anche su una serie di altri materiali, tra cui le cosiddette terre rare, o la grafite ed altri metalli necessari alla transizione ecologica e al tanto propagandato Green Deal europeo e americano.Le strategie di decoupling avviate dagli Usa, allo stato attuale, sembrano un miraggio e sostanzialmente assomigliano ad una autorete. Così come la posizione più sfumata dell’Unione europea, gigante economico dai piedi d’argilla, che ha iniziato qualche mese fa, per bocca della presidente della Commissione Ursula von der Leyen, a parlare di de-risking, cioè di una strategia di eliminazione dei fattori di tensione geopolitica con Pechino pur senza rompere i rapporti commerciali con il grande paese asiatico.Il Critical Raw Material act approvato a Bruxelles quest’estate, che dovrebbe rappresentare un pilastro della politica economica europea in vista della transizione ecologica, è in realtà una dichiarazione di impotenza e non fa che prendere atto che la dipendenza dalla Cina su materiali e tecnologie è ormai consolidata. Sarà difficile per l’economia europea, proseguendo su questa strada, fare a meno della produzione e raffinazione cinese di questi materiali. Il rischio di una escalation delle tensioni commerciali mondiali permangono, come dimostrato anche dal recente taglio alla produzione di petrolio greggio da parte di Arabia Saudita e Russia, che ha provocato un aumento dei prezzi. Ieri la Russia ha anche annunciato una riduzione delle esportazioni di prodotti raffinati. Il fronte dei Brics (Brasile Russia India Cina Sudafrica) viene presentato come contraltare economico e strategico all’Occidente. Per intanto, Xi Jinping gioca a fare il gatto con il topo, e il topo siamo noi.
Bill Gates (Ansa)
Dalla Cop30 in Brasile i prelati lanciano un appello per la «conversione ecologica». Una linea cieca, a scapito dei credenti che cercano in Dio il mistero del sacro.
Ora anche Bill Gates cambia direzione sulla questione green e molti altri statunitensi importanti, anche a causa del crollo del mercato automobilistico, con un ritardo che solo dei testardi hanno potuto accumulare, si accorgono che andare dietro a un’ideologia senza fare di conto porta nel baratro. L’ideologia green produce leggi e regolamenti che non sono sostenibili, così come erano stati pensati, in particolare dell’Unione Europea, né dalle famiglie (vedi norme sulla casa con costi fra i 60 e i 70.000 euro ad abitazione), né dalle imprese (vedi per tutti quella automobilistiche con quella follia dell’auto elettrica). Se è arrivato a dirlo Bill Gates, il capitalista più stucchevolmente ideologizzato ma sempre con la mano sul portafoglio (per verificare se l’ideologia gli conviene o no), vuol dire che siamo al capolinea.
Donald Trump (Ansa)
L’emittente britannica insulta l’intelligenza del pubblico sostenendo che ha taroccato il discorso di Donald «senza malizia». Infatti si scusa ma respinge la richiesta di risarcimento per diffamazione. Nigel Farage: «Ora saremo noi a dover controllare loro».
«Involontariamente». Il numero uno della centenaria Bbc si aggrappa a un avverbio per non precipitare dall’ottavo piano della Broadcasting House di Londra con il peso di un miliardo di dollari sulle spalle, come da richiesta di risarcimento da parte di Donald Trump. «Unintentionally» è la parolina-paracadute consigliata dalla batteria di legali al presidente Samir Shah, 73 anni di origine indiana, nel tentativo di aiutarlo a ritrovare il sonno e a togliersi dall’angolo dopo lo scandalo del «taglia-e-cuce». Un crollo di credibilità per la storica emittente pubblica, piazzata nel quartiere di Westminster per controllare il potere ma finita nella battutaccia di Nigel Farage: «Ora saremo noi a dover controllare loro».
Sanae Takaichi (Ansa)
Scintille per Taiwan. Il premier giapponese rivendica pace e stabilità nell’isola: «In caso di attacco, reagiremo». Ira del governo cinese: convocato l’ambasciatore.
La tensione tra Cina e Giappone è tornata a livelli di allerta dopo una settimana segnata da scambi durissimi, affondi retorici e richiami diplomatici incrociati. Pechino ha infatti avvertito Tokyo del rischio di una «sconfitta militare devastante» qualora il governo giapponese decidesse di intervenire con la forza nella crisi di Taiwan, accompagnando il monito con un invito ufficiale ai cittadini cinesi a evitare viaggi in Giappone «nel prossimo futuro».
Donald Trump (Getty Images)
Washington avvia l’operazione «Lancia del Sud» contro i traffici di droga: portaerei nel mar dei Caraibi. Maduro: «No ad altre guerre». Trump insiste per riaffermare il dominio nella regione scacciando Pechino.
Donald Trump è sempre più intenzionato a rilanciare la Dottrina Monroe: il presidente americano punta infatti ad arginare l’influenza della Cina sull’Emisfero occidentale. È dunque anche in quest’ottica che, l’altro ieri, il capo del Pentagono, Pete Hegseth, ha annunciato un’operazione militare che riguarderà l’America Latina. «Il presidente Trump ha ordinato l’azione e il Dipartimento della Guerra sta dando seguito alle sue richieste. Oggi annuncio l’operazione Lancia del Sud», ha dichiarato.






