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2021-03-29
Più violenze sui maschi (ma nessuno ne parla)
Non se ne parla, oppure se ne parla pochissimo, ma la violenza sugli uomini esiste eccome. E discuterne non equivale certo a negare o sminuire il gravissimo problema della violenza sulle donne e il femminicidio. Tutt'altro, significa affermare con forza il concetto della parità di genere, che spesso viene invece brandito come una clava per ragioni di natura ideologica. Tracciare i contorni di questo fenomeno non è affatto semplice. Specie in Italia, infatti, le statistiche scarseggiano oppure sono obsolete.
Lo studio più autorevole in merito alla violenza sui maschi, e forse anche quello più citato, è quello realizzato dall'Istat e risale addirittura a febbraio del 2018. Nel rapporto intitolato «Le molestie e i ricatti sessuali sul luogo di lavoro», per la prima volta l'istituto di statistica rivolgeva i quesiti sulle molestie anche ai cittadini di sesso maschile tra i 14 e i 65 anni, segno che fino ad allora questa problematica era stata pressoché totalmente ignorata. Risultato: ben 3,7 milioni di uomini hanno subito molestie nel corso della loro vita, dei quali 1,27 milioni negli ultimi tre anni, e 610.000 nei 12 mesi precedenti (le interviste sono state effettuate tra il 2015 e il 2016).
La casistica maggiormente ricorrente riguarda le molestie verbali (8,2%), seguite dal pedinamento (6,8%), le molestie con contatto fisico (3,6%), gli atti di esibizionismo (3,5%), le telefonate oscene (2,5%) e le molestie tramite social network (2,2%). Complessivamente, le donne si sono rivelate responsabili del 23,7% degli abusi subiti dagli uomini. Se si entra nel dettaglio, è la stessa Istat a definire «non trascurabile» la percentuale di autrici delle molestie: il 48,1% in caso di molestie tramite reti sociali, 36,7% di telefonate oscene, 34,6% dei casi nei quali gli uomini sono stati costretti a vedere immagini sessuali oppure materiale pornografico e il 24,8% di molestie fisiche. Riguardo al luogo nel quale si sono verificati i fatti, al primo posto ci sono i luoghi di divertimento (discoteca, pub, ristorante, bar, cinema e teatro) con il 29,2%, seguiti dalla strada (14,2%) e dai mezzi pubblici (12,7%).
Un'altra ricerca citata frequentemente risale addirittura al 2012 ed è stata elaborata da un gruppo di ricercatori guidati dal professor Giuseppe Pasquale Macrì dell'università di Siena. Nel loro lavoro, gli studiosi hanno somministrato un questionario di 68 domande a 1.058 soggetti di sesso maschile tra i 18 e 70 anni. A differenza del successivo rapporto formulato dall'Istat, i quesiti del team di Macrì sono tutti incentrati sulla violenza da parte delle donne sugli uomini, con domande del tipo: «È capitato che una donna abbia minacciato di colpirti fisicamente?», oppure: «È capitato che una donna ti abbia disprezzato o deriso per un tuo difetto sessuale, o perché insoddisfatta di una tua prestazione?»; e ancora: «È capitato che una tua partner ti abbia criticato sgradevolmente perché non riesci a guadagnare abbastanza?».
Nel caso della violenza fisica, quattro risposte hanno raccolto una percentuale superiore al 50%: la minaccia di esercitare violenza fisica, la messa in atto della violenza stessa (graffi, morsi, capelli strappati), il lancio di oggetti e le percosse. Parlando di violenza sessuale, invece, le casistiche riguardano soprattutto l'umiliazione relativa alla scarsa resa nei rapporti intimi, oppure la derisione per un difetto fisico. Ma il tipo di abusi più diffusi, spiegano i ricercatori, riguarda la sfera psicologica ed economica. Si va dalle critiche per un impiego mal remunerato, alle critiche e alle offese in pubblico, alla sincerità e fedeltà messa costantemente in dubbio, fino a veri e propri pedinamenti. Una percentuale piuttosto elevata riguarda la famiglia di origine dell'uomo: nel 72,4% dei casi la partner ha criticato i parenti, pur sapendo che questo avrebbe ferito il compagno, mentre nel 68,8% dei casi la donna ha messo in atto impedimenti o limitazioni agli incontri con i figli o la famiglia d'origine.
La letteratura scientifica internazionale offre qualche spunto in più. Uno studio pubblicato nel 2015 sul Journal of forensic and legal medicine ha esaminato tutti i certificati medici dei centri antiviolenza, scoprendo che l'11% delle vittime erano maschi. Un'altra ricerca, pubblicata nel 2016 sul Journal of research in nursing, ha invece paragonato 19 studi scientifici sul tema, individuando alcuni punti chiave: un numero significativo di uomini ha subito violenza domestica; gli uomini fanno più fatica a rivelare e denunciare le violenze domestiche; le barriere imposte dalla società rendono più arduo il supporto nei confronti di vittime di sesso maschile. L'anno scorso, infine, un altro articolo apparso sulla rivista medica tedesca Deutsches Ärzteblatt ha paragonato altri studi sulla problematica, stabilendo i tassi di incidenza per la violenza fisica (tra il 3,4% e il 20,3%), quella psicologica (7,3%-37%) e sessuale (0,2%-7%). Numeri di fronte la società civile non può continuare a fare finta di nulla.
«L’amico di oggi può diventare stalker domani»
Le trappole della rete non conoscono differenze di genere. Secondo una ricerca, più di un quarto (27%) delle persone che si sono rivolte allo sportello britannico contro il revenge porn erano uomini. L'avvocato Mario Montano, consulente dello studio legale Lisi in materia di Ict law, aiuta a fare ordine nel complesso mondo delle minacce presenti in rete.
Avvocato, quanto è vasto il mondo dei pericoli digitali?
«Il fenomeno della violenza di genere può avere manifestazioni differenti: body shaming, flaming, revenge porn e altro. Situazioni complesse che coinvolgono la sfera personale di un individuo, la sua dignità e che, sotto il profilo giuridico, hanno un rilievo sia penale sia civile».
Sembra di intuire che si tratta di azioni gravi.
«I reati commessi attraverso pratiche di body shaming, flaming e hate speech vanno dalla diffamazione - aggravata se effettuata attraverso social network - alla violenza privata, allo stalking».
Cosa si rischia?
«Sul piano civilistico la violenza di genere che si concreta nella pubblicazione di immagini o video senza il consenso dell'interessato può comportare danno all'immagine, tutelato dalla Costituzione, dal codice civile, e dalla legge 633/1941, la quale, fra l'altro, prescrive che il consenso della persona ritratta può essere sempre revocato. Si configura poi, ai sensi del Regolamento Ue 679/2016, un trattamento illecito di dati personali, dal momento che la persona vittima di violenza non ha dato il proprio consenso alla pubblicazione delle immagini (che deve essere libero, non equivoco e informato), o se l'ha dato lo ha successivamente revocato».
E invece dal punto di vista penale?
«Oltre ai reati già ricordati, per quanto riguarda il revenge porn, la legge 69/2019 ha introdotto il reato di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti, punendo con la reclusione da 1 a 6 anni e una multa da 5.000 a 15.000 euro chi realizza o sottrae immagini o video a contenuto sessualmente esplicito e poi li invia, cede, consegna, pubblica o diffonde senza il consenso della persona rappresentata. Occhio perché alla stessa pena soggiace anche chi riceve, o comunque ha acquisito, immagini o video sessualmente espliciti».
Sono previste aggravanti?
«Sì: ad esempio, se i fatti sono commessi dal coniuge (anche separato o divorziato), oppure da una persona legata, o che è stata legata, da relazione affettiva alla persona offesa, oppure ancora se commessi con strumenti informatici o telematici, come la cessione di una chiavetta contente le immagini o i video sessualmente espliciti o la pubblicazione su un social network. Infine, se la vittima è in condizioni di inferiorità fisica o psichica».
Quali sono le armi a disposizione delle vittime?
«Sotto il profilo penale sicuramente la denuncia/querela in particolare alla polizia postale. Sotto il piano civilistico, richiedere la cancellazione dei dati personali al titolare del trattamento, la segnalazione al Garante per la protezione dei dati personali. In via sperimentale, dall'8 marzo 2021, è possibile segnalare a Facebook e Instagram episodi di revenge porn attraverso l'indirizzo Garanteprivacy.it/revengeporn. Inoltre, si può attivare la tutela inibitoria e risarcitoria davanti al giudice competente».
Quali consigli si sente di dare, in particolare agli utenti più giovani?
«Sicuramente agire guidati dal buon senso, cercando di non pubblicare quanto più possibile foto e video, anche in atteggiamenti assolutamente ordinari, vista la diffusione di tecnologie di deep fake e deep nude, che permettono di “spogliare" una persona e inserirla in contesti poco edificanti. Leggere attentamente le condizioni e termini d'uso prima di installare un'app, alla quale spesso si dà accesso alla nostra galleria di foto e video e che possono finire nelle mani sbagliate. Un altro comportamento assolutamente da evitare è quello di mostrare parti intime in siti di video chat tipo Omegle. Anche quando pensiamo di avere di fronte una persona di fiducia, è sempre meglio non farsi ritrarre in atteggiamenti intimi: l'amico, il partner di oggi, potrebbe essere il persecutore, l'odiatore di domani».
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Se ne parla pochissimo, ma anche gli uomini subiscono molestie: oltre il 18% di chi è in età lavorativa. In un quarto dei casi le autrici sono donne che colpiscono la sfera psicologica ed economica per presunte infedeltà o un lavoro mal retribuito.Diffamazione, violenza di genere, privacy violata, revenge porn: i reati spiegati da Mario Montano, esperto di diritto del Web.Lo speciale contiene due articoli.Non se ne parla, oppure se ne parla pochissimo, ma la violenza sugli uomini esiste eccome. E discuterne non equivale certo a negare o sminuire il gravissimo problema della violenza sulle donne e il femminicidio. Tutt'altro, significa affermare con forza il concetto della parità di genere, che spesso viene invece brandito come una clava per ragioni di natura ideologica. Tracciare i contorni di questo fenomeno non è affatto semplice. Specie in Italia, infatti, le statistiche scarseggiano oppure sono obsolete. Lo studio più autorevole in merito alla violenza sui maschi, e forse anche quello più citato, è quello realizzato dall'Istat e risale addirittura a febbraio del 2018. Nel rapporto intitolato «Le molestie e i ricatti sessuali sul luogo di lavoro», per la prima volta l'istituto di statistica rivolgeva i quesiti sulle molestie anche ai cittadini di sesso maschile tra i 14 e i 65 anni, segno che fino ad allora questa problematica era stata pressoché totalmente ignorata. Risultato: ben 3,7 milioni di uomini hanno subito molestie nel corso della loro vita, dei quali 1,27 milioni negli ultimi tre anni, e 610.000 nei 12 mesi precedenti (le interviste sono state effettuate tra il 2015 e il 2016). La casistica maggiormente ricorrente riguarda le molestie verbali (8,2%), seguite dal pedinamento (6,8%), le molestie con contatto fisico (3,6%), gli atti di esibizionismo (3,5%), le telefonate oscene (2,5%) e le molestie tramite social network (2,2%). Complessivamente, le donne si sono rivelate responsabili del 23,7% degli abusi subiti dagli uomini. Se si entra nel dettaglio, è la stessa Istat a definire «non trascurabile» la percentuale di autrici delle molestie: il 48,1% in caso di molestie tramite reti sociali, 36,7% di telefonate oscene, 34,6% dei casi nei quali gli uomini sono stati costretti a vedere immagini sessuali oppure materiale pornografico e il 24,8% di molestie fisiche. Riguardo al luogo nel quale si sono verificati i fatti, al primo posto ci sono i luoghi di divertimento (discoteca, pub, ristorante, bar, cinema e teatro) con il 29,2%, seguiti dalla strada (14,2%) e dai mezzi pubblici (12,7%).Un'altra ricerca citata frequentemente risale addirittura al 2012 ed è stata elaborata da un gruppo di ricercatori guidati dal professor Giuseppe Pasquale Macrì dell'università di Siena. Nel loro lavoro, gli studiosi hanno somministrato un questionario di 68 domande a 1.058 soggetti di sesso maschile tra i 18 e 70 anni. A differenza del successivo rapporto formulato dall'Istat, i quesiti del team di Macrì sono tutti incentrati sulla violenza da parte delle donne sugli uomini, con domande del tipo: «È capitato che una donna abbia minacciato di colpirti fisicamente?», oppure: «È capitato che una donna ti abbia disprezzato o deriso per un tuo difetto sessuale, o perché insoddisfatta di una tua prestazione?»; e ancora: «È capitato che una tua partner ti abbia criticato sgradevolmente perché non riesci a guadagnare abbastanza?».Nel caso della violenza fisica, quattro risposte hanno raccolto una percentuale superiore al 50%: la minaccia di esercitare violenza fisica, la messa in atto della violenza stessa (graffi, morsi, capelli strappati), il lancio di oggetti e le percosse. Parlando di violenza sessuale, invece, le casistiche riguardano soprattutto l'umiliazione relativa alla scarsa resa nei rapporti intimi, oppure la derisione per un difetto fisico. Ma il tipo di abusi più diffusi, spiegano i ricercatori, riguarda la sfera psicologica ed economica. Si va dalle critiche per un impiego mal remunerato, alle critiche e alle offese in pubblico, alla sincerità e fedeltà messa costantemente in dubbio, fino a veri e propri pedinamenti. Una percentuale piuttosto elevata riguarda la famiglia di origine dell'uomo: nel 72,4% dei casi la partner ha criticato i parenti, pur sapendo che questo avrebbe ferito il compagno, mentre nel 68,8% dei casi la donna ha messo in atto impedimenti o limitazioni agli incontri con i figli o la famiglia d'origine.La letteratura scientifica internazionale offre qualche spunto in più. Uno studio pubblicato nel 2015 sul Journal of forensic and legal medicine ha esaminato tutti i certificati medici dei centri antiviolenza, scoprendo che l'11% delle vittime erano maschi. Un'altra ricerca, pubblicata nel 2016 sul Journal of research in nursing, ha invece paragonato 19 studi scientifici sul tema, individuando alcuni punti chiave: un numero significativo di uomini ha subito violenza domestica; gli uomini fanno più fatica a rivelare e denunciare le violenze domestiche; le barriere imposte dalla società rendono più arduo il supporto nei confronti di vittime di sesso maschile. L'anno scorso, infine, un altro articolo apparso sulla rivista medica tedesca Deutsches Ärzteblatt ha paragonato altri studi sulla problematica, stabilendo i tassi di incidenza per la violenza fisica (tra il 3,4% e il 20,3%), quella psicologica (7,3%-37%) e sessuale (0,2%-7%). 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Avvocato, quanto è vasto il mondo dei pericoli digitali? «Il fenomeno della violenza di genere può avere manifestazioni differenti: body shaming, flaming, revenge porn e altro. Situazioni complesse che coinvolgono la sfera personale di un individuo, la sua dignità e che, sotto il profilo giuridico, hanno un rilievo sia penale sia civile». Sembra di intuire che si tratta di azioni gravi. «I reati commessi attraverso pratiche di body shaming, flaming e hate speech vanno dalla diffamazione - aggravata se effettuata attraverso social network - alla violenza privata, allo stalking». Cosa si rischia? «Sul piano civilistico la violenza di genere che si concreta nella pubblicazione di immagini o video senza il consenso dell'interessato può comportare danno all'immagine, tutelato dalla Costituzione, dal codice civile, e dalla legge 633/1941, la quale, fra l'altro, prescrive che il consenso della persona ritratta può essere sempre revocato. Si configura poi, ai sensi del Regolamento Ue 679/2016, un trattamento illecito di dati personali, dal momento che la persona vittima di violenza non ha dato il proprio consenso alla pubblicazione delle immagini (che deve essere libero, non equivoco e informato), o se l'ha dato lo ha successivamente revocato». E invece dal punto di vista penale? «Oltre ai reati già ricordati, per quanto riguarda il revenge porn, la legge 69/2019 ha introdotto il reato di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti, punendo con la reclusione da 1 a 6 anni e una multa da 5.000 a 15.000 euro chi realizza o sottrae immagini o video a contenuto sessualmente esplicito e poi li invia, cede, consegna, pubblica o diffonde senza il consenso della persona rappresentata. Occhio perché alla stessa pena soggiace anche chi riceve, o comunque ha acquisito, immagini o video sessualmente espliciti». Sono previste aggravanti? «Sì: ad esempio, se i fatti sono commessi dal coniuge (anche separato o divorziato), oppure da una persona legata, o che è stata legata, da relazione affettiva alla persona offesa, oppure ancora se commessi con strumenti informatici o telematici, come la cessione di una chiavetta contente le immagini o i video sessualmente espliciti o la pubblicazione su un social network. Infine, se la vittima è in condizioni di inferiorità fisica o psichica». Quali sono le armi a disposizione delle vittime? «Sotto il profilo penale sicuramente la denuncia/querela in particolare alla polizia postale. Sotto il piano civilistico, richiedere la cancellazione dei dati personali al titolare del trattamento, la segnalazione al Garante per la protezione dei dati personali. In via sperimentale, dall'8 marzo 2021, è possibile segnalare a Facebook e Instagram episodi di revenge porn attraverso l'indirizzo Garanteprivacy.it/revengeporn. Inoltre, si può attivare la tutela inibitoria e risarcitoria davanti al giudice competente». Quali consigli si sente di dare, in particolare agli utenti più giovani? «Sicuramente agire guidati dal buon senso, cercando di non pubblicare quanto più possibile foto e video, anche in atteggiamenti assolutamente ordinari, vista la diffusione di tecnologie di deep fake e deep nude, che permettono di “spogliare" una persona e inserirla in contesti poco edificanti. Leggere attentamente le condizioni e termini d'uso prima di installare un'app, alla quale spesso si dà accesso alla nostra galleria di foto e video e che possono finire nelle mani sbagliate. Un altro comportamento assolutamente da evitare è quello di mostrare parti intime in siti di video chat tipo Omegle. Anche quando pensiamo di avere di fronte una persona di fiducia, è sempre meglio non farsi ritrarre in atteggiamenti intimi: l'amico, il partner di oggi, potrebbe essere il persecutore, l'odiatore di domani».
Volodymyr Zelensky (Ansa)
«Al momento, ci sono tre documenti: i 20 punti fondamentali, le garanzie di sicurezza e il documento sull’economia e la ricostruzione», ha proseguito il funzionario. Sempre ieri, Volodymyr Zelensky ha avuto un colloquio, da lui stesso definito «costruttivo e approfondito», sulle garanzie di sicurezza con alcuni alti funzionari americani: il segretario di Stato, Marco Rubio, il capo del Pentagono, Pete Hegseth, e l’inviato per il Medio Oriente, Steve Witkoff.
Nel frattempo, le relazioni transatlantiche si stanno facendo sempre più tese. Mercoledì sera, Donald Trump ha commentato aspramente la telefonata che, alcune ore prima, aveva avuto con Keir Starmer, Friedrich Merz ed Emmanuel Macron.
«Abbiamo parlato con i leader di Francia, Germania e Regno Unito, tutti ottimi leader, miei cari amici. E abbiamo discusso dell’Ucraina con parole piuttosto forti. E vedremo cosa succede. Voglio dire, stiamo aspettando di sentire le risposte», ha dichiarato il presidente americano, che ha anche rivelato di essere stato invitato a un incontro in Europa, dedicato alla questione delle garanzie di sicurezza. «Prima di andare a un incontro, vogliamo sapere alcune cose», ha affermato, per poi aggiungere: «Vorrebbero che andassimo a un incontro nel fine settimana in Europa, e prenderemo una decisione, a seconda di cosa ci diranno. Non vogliamo perdere tempo». In tal senso, la Casa Bianca ha fatto sapere che Trump non ha ancora deciso se mandare o meno un rappresentante al vertice di Parigi in programma sabato.
È in questo quadro che, ieri, Merz ha chiesto agli Stati Uniti di partecipare a un meeting che dovrebbe tenersi all’inizio della prossima settimana a Berlino. Il cancelliere tedesco ha inoltre sottolineato che il principale nodo sul tavolo risiede in «quali concessioni territoriali l’Ucraina è disposta a fare». Lunedì scorso, Zelensky aveva escluso delle cessioni di territorio, ribadendo una linea in netto contrasto con quella della Casa Bianca che, ormai da tempo, sta cercando di convincere il presidente ucraino a rinunciare al Donbass. A tal proposito, ieri Zelensky ha confermato che le questioni territoriali (soprattutto quelle del Donetsk e di Zaporizhia) sono ancora «in discussione» e che, secondo lui, dovrebbero essere decise tramite «elezioni o referendum. Deve esserci una posizione del popolo ucraino». Ha inoltre aggiunto che gli Usa vorrebbero creare una «zona economica libera» nell’area di Donbass che Kiev, stando ai desiderata della Casa Bianca, dovrebbe eventualmente abbandonare. Infine, secondo il leader ucraino, Washington ritiene che un cessate il fuoco totale sia possibile solo a seguito della firma di un accordo quadro. Ricordiamo che, negli scorsi giorni, Trump si era detto «deluso» da Zelensky, accusando inoltre i leader europei di debolezza. A complicare ulteriormente le relazioni transatlantiche ci si è poi messo Macron che, la scorsa settimana, si è recato in Cina, tentando maldestramente di avviare un processo di pace alternativo a quello condotto da Washington.
Mosca, dal canto suo, ha invece espresso sintonia con la Casa Bianca. «Di recente, quando il rappresentante speciale del presidente Trump, Stephen Witkoff, è stato qui, dopo il suo incontro con Vladimir Putin, entrambe le parti, russa e americana, hanno confermato le intese reciproche raggiunte in Alaska», ha dichiarato ieri il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov. «L’essenza di queste intese è che l’Ucraina deve tornare ai fondamenti non allineati, neutrali e non nucleari del suo Stato», ha aggiunto. «Dobbiamo dare il giusto riconoscimento al leader americano: dopo il suo ritorno alla Casa Bianca, ha affrontato seriamente la questione. A nostro avviso, si sta impegnando sinceramente per contribuire a risolvere il conflitto attraverso mezzi politici e diplomatici», ha proseguito. Non solo. Sempre ieri, Mosca ha mostrato apprezzamento verso l’eventualità, rivelata dal Wall Street Journal, che, nel quadro di un potenziale accordo di pace, Washington possa effettuare investimenti in energia russa. «Siamo interessati a un afflusso di investimenti esteri», ha dichiarato il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov. Ciò detto, ieri la Casa Bianca ha detto che il presidente americano è «estremamente frustrato» tanto da Kiev quanto da Mosca.
Trump punta a chiudere la crisi ucraina per sganciare Mosca da Pechino, facendo leva su economia e commercio. Vladimir Putin, dal canto suo, ha bisogno della Casa Bianca per cercare di riacquisire influenza in Medio Oriente: lo zar vuole infatti recuperare terreno in Siria e ritagliarsi il ruolo di mediatore tra Washington e Teheran sul nucleare. Ebbene, davanti ai significativi interessi che stanno alla base del riavvicinamento tra Usa e Russia, gli europei fanno fatica a ritagliarsi un ruolo diplomatico, oltreché geopolitico, di peso.
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Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 12 dicembre con Carlo Cambi