2020-04-03
Ci vorrà un anno per il vero bilancio dei morti
Secondo i ricercatori del ministero, in inverno ci sono stati meno decessi del previsto. E questo ha offerto al morbo cinese un enorme numero di anziani da colpire. L'epidemiologo Roberto Volpi: «Potremmo avere 50.000 vittime, ma solo nel tempo capiremo quanti da Covid».Ogni sera, alle 18 in punto, il consueto bollettino di guerra dell'epidemia di Covid-19. L'intero Paese attende con il fiato sospeso la cifra dei nuovi casi, e soprattutto si dispera per i tantissimi connazionali morti: solo ieri ne abbiamo contati 760 in più. Dopo l'ultimo aggiornamento, il numero di persone decedute dall'inizio del contagio ha toccato quota 13.915. Una cifra spaventosa, tanto che ormai nel mondo la mortalità anomala viene bollata come il «caso italiano». «Sin dall'inizio sono stati utilizzati i dati dell'epidemia cinese, che è iniziata con due mesi di anticipo, per trarre elementi utili a capire l'evoluzione del quadro italiano», scrivono gli autori di un report redatto dal ministero della Salute e dal dipartimento di Epidemiologia (Dep) della Regione Lazio sull'andamento della mortalità giornaliera. Al netto dei possibili effetti della propaganda del regime comunista, è lampante che le curve dei due Paesi seguano traiettorie completamente diverse. «È ormai chiaro che l'epidemia italiana si differenzia per diversi aspetti da quella cinese», spiega lo studio, e ciò vale sia per il numero di riproduzione (valore che caratterizza la potenziale trasmissibilità dell'infezione), sia per ciò che concerne il tasso di mortalità.Mercoledì l'Istat ha snocciolato le prime cifre di questa drammatica strage. Sono i Comuni del Nord, com'era largamente prevedibile, a essere più colpiti: in confronto alla media degli anni 2015-2019, a Bergamo i decessi nelle prime tre settimane di marzo sono quadruplicati, passando da 91 a 398 casi giornalieri del 2020. Più che raddoppiate - da 134 a 381 - le morti giornaliere a Brescia. «L'incremento della mortalità complessiva osservato nel mese di marzo», fa notare l'Istituto di statistica, «rappresenta una brusca inversione di tendenza dell'andamento della mortalità giornaliera nei mesi di gennaio e febbraio 2020». Una possibile spiegazione arriva dal gruppo di lavoro congiunto dei ricercatori del Dep Lazio e del ministero della Salute: «Nell'inverno 2019/20 la mortalità osservata nei mesi precedenti all'epidemia Covid-19 è stata inferiore al valore atteso […] rispettivamente di -6% nelle città del Nord e -3% nelle città del Centrosud, attribuibile al minore impatto dell'influenza stagionale e alle temperature particolarmente miti e al di sopra delle medie». Risultato? «Variazioni stagionali della mortalità», come quella osservata nell'inverno appena trascorso, hanno determinato un «incremento del pool di soggetti più fragili, con una ridotta capacità di difesa dell'organismo dovuta a fattori individuali (età avanzata, malattie croniche) che si sono trovati esposti all'epidemia di Covid-19 a partire dalla fine del mese di febbraio». Paradossalmente, dunque, una stagione influenzale più blanda potrebbe aver «facilitato» l'orribile compito al coronavirus. Gli incrementi più marcati sono a carico della fascia 75-84 anni, seguiti dagli over-85. «È un virus per vecchi», ha dichiarato il presidente dell'Istat, Gian Carlo Blangiardo, nel corso di un'intervista rilasciata ieri ad Avvenire, e quello al quale stiamo assistendo è un «terribile processo di selezione naturale che elimina i soggetti deboli». Parole e cifre di fronte alle quali è facile farsi prendere dall'emotività. Nel tentativo di recuperare un barlume di oggettività, La Verità ha chiesto aiuto al dottor Roberto Volpi, epidemiologo di chiara fama e già direttore di uffici pubblici di statistica. «La letalità di questo patogeno è estremamente preoccupante, e anche piuttosto insolita per un coronavirus», spiega Volpi. «Smettiamola di concentrarci sul numero di positivi: il dato che conta veramente è il numero di “pazienti con esito", cioè la percentuale che indica il rapporto tra morti e la somma tra deceduti e guariti». Un valore fino a oggi «straordinariamente alto», dal momento che tale proporzione, dalla quale sono esclusi gli attuali contagiati positivi, si attesta al 43%. Solo quando questo valore punterà verso il basso potremo tornare a sperare. Ma i tempi per valutare gli effetti dell'epidemia non sono ancora maturi. Per comprenderne la reale portata ci potrebbero volere uno, due anni. «Vanno svolti degli studi per accertare se il Covid-19 è la causa scatenante», precisa lo studioso, «per il momento dico solo: “Vedremo"». Volpi azzarda una cifra: «Intorno ai 50.000 morti, nell'ordine di dieci volte rispetto a una normale influenza». Quindi ci dobbiamo aspettare che il Covid-19 aggravi il bilancio totale dei decessi in Italia alla fine dell'anno? «Non è detto, il numero assoluto dei morti è influenzato da tanti fattori, nel 2015 ad esempio ci fu un'impennata imprevista».Ma quindi esiste un «caso italiano»? «Certo», spiega Volpi. «E sa qual è il problema? Aver chiuso i positivi asintomatici insieme agli anziani problematici. Così abbiamo contribuito a spedire all'altro mondo chi era di per sé già debole. E poi aver ospedalizzato la gestione della crisi, fattore che ha generato un'escalation dei casi all'interno delle strutture e tra il personale». Insomma, le misure di contenimento non funzionano. «Ricorda per caso il lockdown durante l'influenza suina del 2009? Che senso ha far soffrire i bambini d'inedia, quando ci sono pochissimi casi sintomatici di minori?». Come se ne esce? «Permettendo la circolazione controllata del virus, per esempio controllando la temperatura nei luoghi pubblici più affollati, e mettendo al riparo i soggetti più problematici, come gli anziani con più patologie».
Giorgia Meloni e Donald Trump (Ansa)