2019-02-04
«Ci siamo: l’autonomia parte. Otto Regioni sono già pronte»
Il ministro Erika Stefani: «Ho insistito con Conte per l'ultimatum ai dicasteri: i burocrati prendevano tempo, sono diabolici. Basta con lo Stato-papà. E adesso lavoriamo ai costi standard».Erika Stefani è ministro degli Affari regionali e delle Autonomie. Tocca a lei coordinare la difficile partita dell'autonomia dopo la stagione dei referendum consultivi.Allora, ci spieghi che cosa succede (e quando). «Il primo passo sono le intese con Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna, cioè gli accordi tra presidenza del Consiglio e presidenze delle Regioni sulle competenze da riconoscere. Sono in corso tavoli tecnici serratissimi, siamo alla fine del lavoro, ma, come si sa, in cauda venenum…». Dopo le intese, ci saranno i disegni di legge governativi e poi si va in Parlamento. «Sì, esatto. Devo anche dire che sono un po' stanca di sentirmi attribuire cronoprogrammi inesistenti. Semmai, c'è un punto fermo: ci sono voluti più di 30 anni per fare le Regioni (dalla Costituzione ai decreti del 1970), mentre adesso, in 7 mesi, stiamo facendo un percorso enorme». In Parlamento servirà la maggioranza assoluta, numeri enormi specie al Senato…«Confido nella coerenza dei partiti. In Veneto, ai tempi del referendum, feci assemblee anche con esponenti di Pd, Fi e M5s. Il presidente dell'Emilia Romagna è un esponente Pd. Insomma, non è una roba di partito. Stiamo parlando di un nuovo assetto Stato-Regioni, non di una polemica tra maggioranza e opposizione». Quali Regioni saranno coinvolte oltre a Lombardia, Veneto e Emilia Romagna? «Sono già otto. Oltre a queste tre, anche Liguria, Piemonte, Toscana, Umbria, Marche. Immagino che in diverse stiano attendendo la prima intesa…».L'impianto? Puntate su un ruolo residuale dello Stato in 23 materie? «Sì. Attualmente, in base all'articolo 117 della Costituzione, ci sono materie a competenza concorrente: può legiferare lo Stato, e può legiferare la Regione. Inevitabilmente si crea confusione. Noi puntiamo a trasferire alla Regione competenze su cui possa legiferare in autonomia, e ovviamente esercitare le relative funzioni amministrative. Naturalmente le Regioni devono avanzare richieste realistiche, senza invadere ambiti riservati allo Stato. Tenga presente che si tratta di ambiti (pensi all'ambiente, o alla cultura, solo per fare due esempi) in cui la massa di legislazione (e di giurisprudenza) è enorme e intricata». Non su tutto sono previste risorse o nuove risorse.«Ma infatti. In molti casi si tratta di competenze per cui non è prevista una spesa. Ciò che è in gioco è il superamento delle burocrazie ministeriali».Ma non c'è il rischio che la stessa logica «ministeriale» si riproponga a livello regionale?«Ah no, di questo sono certa. Impossibile che una Regione possa fare peggio. Sono stata un amministratore locale, sono un avvocato. Me lo faccia dire: c'è un aspetto diabolico (ha capito? diabolico!) delle procedure ministeriali. Su questo non ci batte nessuno al mondo…».Come mai secondo lei questo brutto primato? «Eh, non abbiamo la snellezza del common law anglosassone. Abbiamo invece una pazzesca sovrapposizione e stratificazione di diritto scritto».Dove invece una spesa c'è, si adotta il criterio della «spesa storica»«Già esiste la cosiddetta spesa statale regionalizzata, è una componente del bilancio dello Stato: è la spesa che lo Stato sostiene in quella Regione. Che faremo ora? Non c'era altra via se non attribuire alla Regione lo stesso costo che sosteneva lo Stato. Prima pagava papà. Ora ci pensa la Regione con gli stessi soldi: il bilancio della “famiglia" non cambia».Questo in prima battuta. Ma poi immagino che punterete a spendere meno e meglio…«Certo. Premessa: la nostra Pa, con la sua lentezza borbonica, non segue la velocità del mercato. Sa quanti investimenti esteri ho visto svanire perché l'investitore si aspettava un'autorizzazione in 3 mesi, e invece passava un anno?».E quindi che immaginate?«Vogliamo arrivare a fabbisogni e costi standard. È un criterio che già esiste, in teoria, dopo la legge 42 sulle autonomie. Noi vogliamo estendere questo meccanismo alle Regioni, e stabilire (impresa non facile) quanto dovrebbe costare un servizio, e poi moltiplicarlo per la quantità di servizi da offrire».Su questo ci sono sensibilità diverse nel governo. Qualche statalista si è palesato? «Certo, c'è un apparato burocratico e ministeriale che difende sé stesso, è la sua natura… C'è una mentalità abituata allo status quo che va scardinata…».E in ambito politico?«Quando ho avviato i primi tavoli tecnici (eravamo in estate) avevo alle spalle una grande pressione dei territori che spingono per una maggiore autonomia. Già allora sollecitai tutti i ministeri, e non tutti risposero velocemente. La prima bozza (sul Veneto) l'ho impostata il 2 ottobre, quella sulla Lombardia il 23 di quel mese, e ho dato tutto a Giuseppe Conte… Ho ricevuto richieste di approfondimento da vari ministeri: Sviluppo, Lavoro, Ambiente, Sanità, Infrastrutture…».E poi?«E poi onestamente il governo è stato preso da incombenze oggettive: la manovra, la trattativa con Bruxelles. Tutto comprensibile. Però a fine anno ho detto a tutti che il tempo era scaduto».E Conte?«Ho detto a Conte che serviva una risposta. Lui ha dato un tempo definitivo ai ministeri. Le loro richieste sono tutte pervenute. Ora siamo alla parte finale del lavoro».Però me lo dica: le resistenze ci sono…«È chiaro che come Lega crediamo nell'autonomia, abbiamo un sentimento forte sul tema… Ma come noi abbiamo rispettato altri punti del contratto di governo più cari ai 5 stelle, ora mi aspetto che accada altrettanto».Qualcuno ha ventilato una vigilanza speciale del Quirinale su questa materia…«Giusto, correttissimo. Vede, c'è stata un'ondata di allarmismo. Qui non parliamo di statuti speciali ma di un nuovo modo di intendere il rapporto tra Stato e Regioni. Le autonomie speciali e differenziate sono diverse sia sul piano costituzionale che normativo. Nell'effetto pratico, in entrambi i casi ci sono competenze esclusive esercitate dalle Regioni».Lasci da parte Veneto e Lombardia. In molte altre zone d'Italia, le Regioni hanno dato una prova negativa, dalla sanità ai rifiuti ai trasporti. Che giudizio dà di questa istituzione, in fondo l'unica nata e cresciuta negli anni della partitocrazia? «Capisco che ci siano stati malfunzionamenti o cristallizzazioni negative. Ma io credo veramente all'istituto della Regione. Vede, le istituzioni più vicine ai cittadini hanno qualcosa in più in termini di fiducia. Se parli del Parlamento, è inevitabile che il pensiero di qualcuno vada a palazzi, auto blu, privilegi. In questa crisi di rappresentatività, le Regioni sono un patrimonio».Finora qualcuno, da Nord, ha eccepito su un governo a trazione Matteo Salvini sul piano politico, ma a trazione meridionale sul piano dei provvedimenti (reddito di cittadinanza). «L'Italia è fatta di Nord e Sud. A me piace parlare non di disparità, ma di caratteristiche territoriali. E certo, inutile girarci intorno, il M5s ha espresso un sentimento che c'era in una parte dell'elettorato… Anche quella parte va ascoltata».Il Nord. I sondaggi registrano un fastidio delle imprese verso la deriva assistenzialista grillina, ma pure un'ondata inarrestabile per voi, oltre il 50%. Come convivono queste due spinte?«Conosco le istanze delle imprese. Devo dire che nella maggior fiducia verso di noi pesano anche i risultati di governo locale. Se Luca Zaia ha un gradimento del 70%, qualcosa vorrà dire… E lo stesso per la Lombardia con Attilio Fontana, il Friuli Venezia Giulia con Massimiliano Fedriga e il Trentino con Maurizio Fugatti».Politica. Che succede se alle europee c'è un enorme sorpasso leghista sui grillini? I 5 stelle sono in grado di resistere al trauma? «La politica può sempre sorprendere. Possono variare le percentuali delle due forze, ma non vedo altre soluzioni di governo».Scenario. Siete i trionfatori post europee. Ma - a quel punto, speriamo di no - al terzo trimestre consecutivo di arretramento. Ok, il rischio recessione c'è in tutta Europa, ed è giusto riconoscerlo. Ma non temete che allora sarà la realtà economica a farvi da opposizione? «Rispondo partendo dalla politica. Occorrono opposizioni forti e qualificate. Sono preoccupata per questo: il Pd è in un momento di transizione, Forza Italia è a sua volta in una fase particolare…». Che sensazione ha di questa fase un po' di sbandamento di Fi anche sull'immigrazione, a partire dal caso Sea Watch? «Ognuno fa le sue scelte. Certo che poi ne risponde agli elettori…».In tempi di visibilità social, di ossessione per la tv e i media, lei ha scelto un profilo di riservatezza. Ci spieghi questa scelta controcorrente…«Vengo dal Veneto. Famiglia sobria, gente che lavora. Non bisogna ammalarsi di riflettori. Mi piace lavorare, studiare, e non bisogna forzare la propria natura. Guardi, quel tipo di Veneto esiste davvero: vedere gli stessi amici al sabato, frequentare quel bar. Tuo papà che se ti vede a casa in un'ora sbagliata (in cui dovresti essere a lavorare) ti chiede se per caso stai male… Ecco, io mi riconosco in questa realtà».Se qualcuno la chiama «ministra» secondo le declinazioni boldriniane, lei che dice? «Mi fa tanto “minestra", come suona male!».