
Presentato in pompa magna il documentario Gli anni di Prodi, un'opera agiografica dedicata al Professore, manco fosse Winston Churchill. In realtà, una pellicola che davvero raccontasse la sua carriera risulterebbe più inquietante di un horror.Ma della seduta spiritica di Zappolino ci dirà qualcosa in più? È con l'eccitazione dei bambini davanti a un pony o di Emanuele Fiano davanti a un busto del Duce che ci apprestiamo a piantare una tenda canadese nel piazzale della cineteca di Bologna dove fra poco più di un mese (dal 7 al 17 giugno) sarà proiettato il film dell'anno. Impensabile perderlo. Così pare, almeno a leggere la presentazione dell'evento, organizzato con fremito riconoscente all'interno della rassegna Biografilm, dedicata alle biografie dei grandi. E l'uomo di cui si parla - anzi che si racconta da solo in presa diretta -non è Nelson Mandela, ma quasi; non è Barack Obama ma quasi; non è John Maynard Keynes ma quasi. È Romano Prodi, che un giorno scoprì la forza di gravità addormentandosi sotto un ulivo e si svegliò due volte presidente del Consiglio.L'opera s'intitola Gli anni di Romano Prodi, un titolo privo di fantasia subito seguito da un sommario che ne ha fin troppa: «Una storia politica di impegno civile e di partecipazione». L'hanno firmata in due perché il personaggio ha un ego così smisurato da non poter essere trasportato in solitudine. Si tratta di documentaristi di grande spessore, come Francesco Conversano e Nene Grignaffini (Strade blu, Viaggetto nella pianura, La mia Thule con Francesco Guccini, Pinocchi in trincea, La rosa dei nomi, Caro Nanni), impegnati a cercare la terza dimensione in un leader sferico che per vent'anni ha mostrato al Paese di possedere altezza e larghezza, ma più raramente (almeno in politica) la profondità. Il film, prodotto da Movie Movie, è stato inserito nella sezione Storie italiane e concorrerà all'Audience Award. Meglio saperlo fin d'ora, così gli altri possono farsene una ragione e correre per il secondo posto. Altro che L'ora più buia su Winston Churchill o Bobby sull'ultima giornata di vita di Robert Kennedy. Almeno a leggere l'annuncio scritto, i due film sono pizza e fichi in confronto al capolavoro in arrivo, che i barbari della Croisette impegnati a imburrare le baguettes non hanno evidentemente capito. Così, il Biografilm «è orgoglioso di annunciare la presentazione mondiale di questo film, tributo a un grande personaggio tanto legato al suo territorio bolognese quanto a quello internazionale». Dalla via Emilia al West, siamo in pieno dentro lo stereotipo. La biografia del quasi ottantenne Prodi narrata dal Romano medesimo in una stanza in penombra ha impressionato per primi i due autori, che non sono riusciti a trattenersi dall'ammettere che «ascoltare il racconto ininterrotto, sincero e partecipato di Romano Prodi che ripercorre molti momenti della sua vita privata e pubblica in una sorta di dialogo fra sé e sé, è stato per noi un renderci partecipi della storia di un uomo di una generazione fortunata che ha portato la sua passione e le sue competenze economiche e politiche in un pezzo di storia collettiva italiana ed europea al servizio dei cittadini». Una sviolinata acchiappasponsor (infatti non mancano Unipol e la Regione Emilia Romagna) però anticipatrice di due caratteristiche dominanti: l'ex federatore della sinistra da sacrestia, nella pellicola parla di ciò che gli pare e lo fa rimuginando.La curiosità monta anche se avvicinandoci al capolavoro cogliamo una deferenza sospetta. È buona norma ricordare che i politici, storicizzandoli, si schiaffeggiano. E se Silvio Berlusconi si era meritato il titolo Il Caimano, il suo competitor nel ventennio breve avrebbe sostenuto con disinvoltura Il Semaforo, come lo identificò magistralmente Corrado Guzzanti per via del suo immobilismo a pedali. La curiosità monta e a parte succulenti dettagli della grottesca seduta spiritica con il fantasma di Aldo Moro sulla via di Gradoli (Viterbo) invece che a via Gradoli (Roma), ci piacerebbe conoscere i retroscena di un altro paio di storie.La prima riguarda la vendita (anzi la svendita) della Sme, sigla che riuniva tutte le attività agroalimentari dell'Iri, a Carlo De Benedetti e a Sergio Cragnotti, un'operazione dalla quale derivarono due dei più grandi scandali finanziari italiani: il crac di Parmalat e Cirio che misero sul lastrico oltre 100.000 risparmiatori con un buco di 4 miliardi di euro. Titolo suggerito del capitolo, da passare con sottopancia: Pelati di Stato. La seconda riguarda sempre la sfavillante stagione da grand commis dell'economia pubblica sulla privatizzazione dell'Alfa Romeo. Due anni fa alla presentazione di un libro, a proposito della casa automobilistica ceduta alla Fiat invece che alla più solvibile Ford, Prodi disse: «In Italia è difficile distinguere fra pubblico e privato. Quando trattai l'Alfa con la Ford avvisai l'interlocutore statunitense: se la Fiat reagisce, l'accordo salta perché in Italia si rivoltano vescovi e sindacati». Due Chiese davanti alle quali lui era solito genuflettersi. Quel giorno si alzò dal parterre un piccato Cesare Romiti a rispondergli: «Caro Romano, facemmo due offerte e la nostra risultò più alta. Quindi sindacati e vescovi non decisero nulla». Risolviamo il rebus?Sarebbero tanti i retroscena interessanti da ascoltare in punta di timpano, anche se lui rimugina. Fiduciosi nel vedere disvelati alcuni segreti politico-industriali, ma al tempo stesso preoccupati di assistere alla solita agiografia ombelicale, avremmo un terzo impertinente quesito. Come realmente andò la Waterloo del 2013 per il Quirinale? In quei giorni, richiamato da sussurri decisivi a sinistra e dalle Quirinarie dei grillini (che lo avevano inserito nella rosa dei papabili), il Gary Cooper dei cattocomunisti tornò precipitosamente da una missione Onu in Africa per essere impallinato dai famigerati 101 traditori. Doveva essere capo dello Stato, diventò improvvisamente pensionato. Dopo il monumentale flop di Walter Veltroni - che di Prodi fu delfino nella stagione dell'Ulivo -, con il film C'è tempo (i potenziali spettatori devono aver aggiunto di loro spontanea volontà «per andare a vederlo»), ecco che il due il volte premier prova a discostarsi, a decollare, a meritarsi la standing ovation alla Carmelo Bene. Dalle prime sinfonie con gli ottoni dominanti di molta stampa c'è il rischio che sia uno One man show da catalessi. Anche senza tavolino che balla.
Robert Redford (Getty Images)
Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
Leone XIV (Ansa)
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