2022-06-09
Il «Churchill» di Kiev è maestro di censura
Volodymyr Zelensky (Ansa)
Dopo la sospensione dei partiti d’opposizione e il siluramento del commissario per i diritti umani, il governo di Volodymyr Zelensky rimuove Lev Tolstoj dai programmi scolastici. Il leader ucraino difende i valori occidentali? Sì, se il nostro «valore» è diventato la cancel culture...Lui dorme il grande sonno della steppa, immortale come Napoleone Bonaparte e il generale Michail Kutuzov, mentre Natasha Rostova si prepara per il ballo. Tirare per la giacchetta Lev Tolstoj è un’operazione infantile, non si sveglia per così poco. E poi è abituato alle censure, a fine 800 gli intendenti dello zar vietarono Sonata a Kreutzer esattamente come il dicastero dell’Istruzione ucraino, che ieri ha deciso di togliere dai programmi scolastici Guerra e pace. Il ministro Andriy Vitrenko non ha lasciato scampo al capolavoro: «Tutto ciò che le truppe russe glorificano scomparirà dalle aule».Cancellare Tolstoj dice poco della guerra ma qualcosa di Volodymyr Zelensky, che da tre mesi viene presentato come il difensore assoluto dei valori occidentali, l’eroe del nostro tempo, capace di discorsi in grado di oscurare quelli di Abraham Lincoln, Nelson Mandela e Winston Churchill. Soffia un vento strano e ipocrita attorno all’Ucraina aggredita, che ha diritto di difendersi e di ottenere la massima solidarietà del cosiddetto mondo libero, ma che non ha mai chiesto di essere considerata un esempio sublime di democrazia. Perché non lo è, non ha la patente, neppure la vuole. E Zelensky lo conferma a giorni alterni. A meno che essere occidentale non significhi bruciare Guerra e pace come l’università Bicocca eliminò il seminario su Fëdor Dostoevskij; in questo qualche similitudine tutt’altro che libertaria esiste. Anche il conformismo è propaganda. Pur definendosi dal giorno zero «servitore del popolo», il leader di Kiev in tuta verde non è un campione libertario come viene presentato dagli agiografi italiani. Nella Storia di un eroe, edizioni Solferino, sinfonia delle gesta epiche dell’ex comico Volodia, manca qualche capitolo. In Per l’Ucraina, la raccolta dei discorsi del presidente allegata a La Repubblica (ha fatto il botto radical al Salone del libro di Torino), ne hanno tagliati un paio. Per esempio quello che fece a reti unificate per sciogliere i partiti, con lo scopo evidente di cancellare «Per la vita» perché filorusso, il secondo più votato in patria. Assieme ad altri dieci movimenti che partecipavano regolarmente alle elezioni, ora continua a subire le restrizioni della legge marziale. A un metro dalla guerra tutto è lecito, un po’ meno trasformare la miopia in virtù quando si giudicano i fatti a 2.000 chilometri di distanza.Zelensky conosce la censura e la applica. Anche se agli occhi di Enrico Letta appare nella storica foto sullo scalone del palazzo come un Salvador Allende che ce l’ha fatta; anche se nei proclami ai parlamenti non dimentica alcun riferimento alle metafore sacre della libertà (la resistenza, la giusta causa, la democrazia violata) neppure lui è estraneo a metodi dittatoriali; l’eroe ha il diritto di rivendicarli ma noi abbiamo il dovere di ricordarli. E allora ecco la caccia agli avversari politici, ecco le censure e le epurazioni, i siluramenti dei consiglieri meno inclini a seguire la dottrina Biden. Tutto questo mentre su di lui si allunga l’ombra lunga degli oligarchi che vorrebbe annientare: fu eletto con l’appoggio di Ihor Kolomoisky, presidente della squadra di calcio Dnipro e padrone dell’emittente «1+1» che ospitava la serie tv inneggiante al nuovo messia delle libertà. Nessuno è perfetto, visto che dai Pandora Papers si seppe che proprio lui - con un fidato consigliere e il capo della sicurezza - controllava una rete di compagnie offshore alle Isole Vergini, a Cipro e in Belize. Il sito americano Politico ha scritto che «i media di Kolomoisky hanno garantito sicurezza e supporto logistico alla campagna del comico». The dark side of the moon non è solo un disco dei Pink Floyd. Siamo in piena fantascienza bellica, travolti da un agghiacciante reality show politico con le cannonate come colonna sonora. Poi c’è il caso di Lyudmila Denisova, incaricata di indagare sulle violazioni dei diritti umani nel conflitto. Silurata, polverizzata. Era la commissaria per Ucraina, ma è stata cacciata «perché all’ufficio del presidente non sta bene la posizione attiva in merito alla raccolta dei dati sulla violazione dei diritti umani sui territori occupati». È stata posta in stato d’accusa e sfiduciata dal Parlamento perché secondo il quartier generale di Zelensky «aveva un’attenzione quasi morbosa sulle violenze sessuali sui bambini a discapito di altre problematiche della guerra». Si è ritrovata senza incarico dopo un appello di 140 fra giornalisti, intellettuali e psicologi (metodo da Lotta Continua negli anni 70). «Kiev vorrebbe andare verso l’Europa in cui vige lo Stato di diritto, ma questa decisione mi ricorda un po’ uno Stato totalitario», ha commentato la Denisova. I primi a festeggiare sono stati i russi. Eppure il Churchill dei media italiani «continua ad essere il baluardo dei valori occidentali». Forse no o forse sì, se questi valori si rispecchiano nella cancel culture, nell’intolleranza per il diverso parere, nella sottomissione al pensiero unico governativo, nel sudditismo da green pass, nella demonizzazione di chi canta fuori dal coro. Adesso tocca a Tolstoj, che proprio in Guerra e pace scrive: «Se ogni volta che guardo l’orologio, vedo che le lancette indicano le dieci e sento che dalla chiesa le campane invitano alla messa, non ho il diritto di concludere che la posizione delle lancette è la causa del movimento delle campane». Causa-effetto, il cuore dell’informazione distorta dalle bombe e dal tifo. Dino Buzzati consigliava: «Racconta, non fare il furbo». Lui non ha mai scambiato un leader in guerra per Gandhi.
Il caffè di ricerca e qualità è diventato di gran moda. E talvolta suscita fanatismi in cui il comune mortale si imbatte suo malgrado. Ascoltare per credere.