2021-01-26
Davide Oldani: «Chiusure e sussidi non sono la soluzione»
Davide Oldani (Getty Images)
Lo chef ha firmato un appello al governo con 90 colleghi come Carlo Cracco e Antonino Cannavacciuolo per chiedere riaperture controllate e riforme fiscali: «Se i locali restano fermi soffrono pure fornitori e contadini. Siamo tutti abbattuti anche a livello psicologico».Hanno scritto una lettera - la terza da inizio anno, l'ennesima da quando è scoppiata la pandemia - a Giuseppe Conte, ministri e presidenti di Regione. L'esordio è più che chiaro: «La nostra categoria, la ristorazione italiana, è in ginocchio». Chiedono ascolto e fanno proposte: «Ci avete, di fatto, mal considerati se non addirittura dimenticati». Sono i migliori cuochi italiani, riuniti nell'associazione Ambasciatori del gusto, e tra loro c'è Davide Oldani, fresco della seconda stella Michelin al suo ristorante D'O, a Cornaredo, nel milanese. Accanto alla sua firma altre del calibro di Cristina Bowerman, Antonino Cannavacciuolo, Corrado Assenza, Carlo Cracco: quasi 90, impossibile citarle tutte. «Prima la salute, nessuna polemica sterile», ci avverte subito Oldani quando lo raggiungiamo al telefono. Cosa significa avere un ristorante oggi?«Aver fede, aspettare. Non ci resta altro». Quanti dipendenti ha D'O?«Una quarantina. Sono in cassaintegrazione, inutile dirlo. L'abbiamo attivata ma ho anche deciso di anticiparla a tutti “i miei ragazzi", reintegrandola al 100%». Lo ha fatto perché arrivava in ritardo?«Si sa purtroppo quali sono i tempi dello Stato. È stata una decisione presa per poter garantire alle loro famiglie uno stipendio alla fine di ogni mese senza aspettare. Grazie al fatto che abbiamo lavorato in modo onesto prima, ora riusciamo a “tenere botta", a resistere. Abbiamo seminato bene in passato, per fortuna. Ma la situazione non è affatto semplice, anzi. Con altri cuochi italiani che mettono al primo posto la qualità, stiamo quindi cercando il modo di farci ascoltare». Chiedete di riaprire?«Al primo posto per me c'è il rispetto per la vita. Ho perso alcune persone a me vicine in questa pandemia, altre hanno sofferto per la malattia. So quanto sta accadendo: il virus è una brutta bestia. Non si tratta di voler entrare in politica, negare i rischi o fare polemiche: siamo imprenditori con a cuore la cucina italiana, semplicemente avanziamo qualche proposta costruttiva». Non siete insomma tra coloro che hanno aperto i ristoranti qualche giorno fa.«Ogni ristoratore sceglie in coscienza. Nulla da dire sulle scelte altrui, non mi troverà polemico. Il mio giudizio è che se scelgo di stare in Italia rispetto le regole di un Paese democratico. Altrimenti è l'anarchia. Noi da inizio anno abbiamo lavorato solo all'Epifania, siamo chiusi da troppo».Proponete dialogo. «Siamo da sempre in prima linea nella difesa, tutela e promozione nel mondo del made in Italy: gli Ambasciatori del gusto hanno negli anni dialogato con le istituzioni per restituire valore all'intero settore. Dietro queste chiusure c'è una filiera: i nostri dipendenti, ma anche i tanti fornitori. I miei sono agricoltori di varie dimensioni, perché per la mia cucina la stagionalità è molto importante. Sono aziende che garantiscono tracciabilità e certificazioni, prodotti iper freschi, iper selezionati. Sono persone che hanno investito molto e che ora sono ferme, come noi».Che aria tira?«Sento imprenditori, colleghi, amici a terra. Abbattuti anche psicologicamente. Penso sia semplice, ma evidentemente occorre spiegarlo: se io non apro non compro cibo, il produttore deve comunque raccogliere ciò che natura gli manda, dovrà buttarlo. Si assiste persino a un forte spreco di materia prima. La situazione è bloccata».Quali idee mettete sul tavolo?«Le parole d'ordine non possono più essere sempre e soltanto “chiusura" e “sussidi". Occorre pensare ad alternative nel totale rispetto delle regole e della sicurezza. È d'altra parte il nostro modo di lavorare da sempre: nel mio locale si rispettano le norme igieniche, c'è il distanziamento corretto».Nella lettera fate riferimento a una riapertura, controllata, che spazzi via una volta per tutte l'idea del ristorante come «untore». Dite «basta con i provvedimenti a singhiozzo» e le «promesse non mantenute» sui ristori. Lei, inoltre, ha un ristorante in Lombardia, dove per un errore era stata definita una zona dal colore sbagliato.«Preferisco non commentare, la situazione se non fosse tragica sarebbe comica. Domenica ho visto delle foto scattate da un amico in un centro botanico proprio nella mia Regione e ho visto gente ammassata. Intanto i ristoranti sono chiusi. Che dice: non è il caso di fare una riflessione?».Oltre a una visione a medio lungo termine gli Ambasciatori del gusto chiedono cambiamenti anche fiscali, e una revisione dei codici Ateco. Ci spiega di cosa si tratta?«A oggi il servizio che io offro è equiparato a quello di un bar o di una pizzeria. Forse sarebbe il caso di avere parametri più adeguati a rappresentare le varie categorie, se i codici Ateco sono così fondamentali per stabilire aperture e chiusure nei vari dpcm».Con chi vorreste interloquire nel Palazzo?«Ce lo comunichino, basta che ci sia. Ma sono spiazzato: con la crisi di governo è un'altalena. Non riesco nemmeno più a colpevolizzare qualcuno: sono un altro mondo rispetto al nostro. Io mi adeguo, ma l'economia è in ginocchio, se possiamo essere utili siamo a disposizione».