2020-03-11
Chiude anche San Pietro, ma il Papa invita i preti a visitare gli ammalati
La piazza e la basilica del Vaticano interdette ai turisti. Francesco esorta i sacerdoti a non dimenticare chi sta male. E i fedeli si interrogano se serva o meno l'autocertificazione per andare a pregare in chiesa.Dopo la chiusura delle messe in tutta Italia arriva anche la chiusura alle visite guidate e ai turisti della piazza e della basilica di san Pietro a Roma. Fa parte di un ulteriore pacchetto di misure per il contrasto all'epidemia di coronavirus varate ieri dal Vaticano, per coordinarsi con quelle delle autorità italiane. Un ulteriore lockdown dello spirito che colpisce il cuore della cristianità. Le spoglie del principe degli apostoli, a cui il Cristo affidò la sua Chiesa, si trovano lì, sotto all'altare della basilica fatta costruire da papa Giulio II e vivono oggi una situazione unica nella storia. L'apostolo Pietro che, secondo una tradizione, fuggendo da Roma incontrò il Signore: «Domine, quo vadis?». «A farmi crocifiggere un'altra volta», rispose il Cristo. E a quel punto tornò sui suoi passi, per essere crocifisso al posto del maestro.Un esempio di coraggio e testimonianza, quelli su cui si regge la fede. Si chiuda pure la basilica culla della cristianità, ma la gente, ieri come oggi, ha bisogno di significato autentico, oltre le misure umane. Papa Francesco lo ha chiesto ieri mattina ai sacerdoti, perché, ha detto alla messa celebrata a Santa Marta, «abbiano il coraggio di uscire e andare dagli ammalati, portando la forza della Parola di Dio e l'Eucarestia e accompagnare gli operatori sanitari, i volontari, in questo lavoro che stanno facendo». Non c'è decreto che tenga. Per quanto i vescovi italiani siano stati molto pronti nel seguire le indicazioni delle misure del governo per contrastare il Covid-19, con la serrata totale delle messe con popolo, resta che la salus animarum è suprema lex. La salvezza dell'anima è la legge fondamentale della vita della Chiesa sia per il diritto canonico, ma anche per la vita spirituale di ogni battezzato. Alle orecchie dei contemporanei forse sembrerà un po' strano, ma non è la richiesta medioevale di qualche beghino, è appunto ciò per cui molti martiri hanno dato la vita. E i sacerdoti hanno il dovere di offrire il proprio servizio per questa legge suprema, come ha chiesto il papa e come hanno riecheggiato anche i vescovi italiani in un comunicato di ieri. «La Chiesa tutta sente una responsabilità enorme di prossimità al Paese», dice la nota Cei. Per questo le chiese restano aperte per la preghiera personale e vi è la disponibilità dei sacerdoti per le confessioni, per «visitare ammalati e anziani, anche con i sacramenti degli infermi» e nel «recarsi sui cimiteri per la benedizione dei defunti». La serrata delle messe dei vescovi italiani però è parsa a molti cattolici una scelta eccessiva, visto che almeno le messe feriali hanno meno frequentatori di un qualsiasi bar anche se chiude alle ore 18. La libertà del caffè sembra così superare la libertà religiosa, anche perché, se per uscire di casa occorre autodichiarare che si va a fare la spesa, al lavoro o motivi di salute, si prende forse la multa se si dice che si vuole andare a chiacchierare con un prete?La storia degli spalloni delle messe alla ricerca di una celebrazione in Svizzera, raccontata da La Verità qualche giorno fa, è stata ripresa anche in un editoriale di Mattia Ferraresi sul New York Times. A dimostrazione che i fedeli sono disposti a molto per soddisfare quella che ritengono essere la suprema legge, e se la loro libertà religiosa viene in qualche modo eccessivamente compressa cercano come esprimerla. Nessuno, ovviamente, vuole essere irresponsabile nei confronti degli altri, e nemmeno si deve ridurre il problema a una questione di diritto per l'espressione di una libertà fondamentale come quella religiosa. A essere in gioco c'è qualcosa di più importante, qualcosa che purtroppo sembra emergere in questa situazione che ci è dato di vivere. Da una parte si riscontra una certa irrilevanza della Chiesa che fatica a far sentire una voce alta e profonda in risposta alle domande che la situazione solleva a tutti, anche ai non credenti. Si potrebbe quasi dire che la chiesa rischia di seguire il potere civile come una onlus qualsiasi. Il vescovo di Imola, monsignor Giovanni Mosciatti, nella sua omelia della messa di domenica scorsa, ha giustamente osservato che «potremmo vivere tutto questo come circostanze che ci mettono in quarantena, ma noi siamo chiamati, in questo grande momento del nostro tempo, a vivere una quaresima. Non una costrizione, ma un tempo di libertà per vivere quel digiuno che a volte ci sembra solo un nostro atto di volontà, mentre vuol dire renderci conto che solo il Signore basta». È per questo che san Pietro tornò sui suoi passi sulla via Appia. Il problema, ed è l'altro elemento che sembra emergere da questa situazione, è che sembriamo tutti sordi a queste parole. Ci sarebbe bisogno di una scampanata, come quella richiesta dal vescovo di Bologna, Matteo Zuppi, che per accompagnare la novena alla Madonna di san Luca ha chiesto di suonare le campane per nove giorni alle ore 19. Un suono famigliare che forse abbiamo dimenticato e che magari ai tempi del coronavirus potremmo imparare a riascoltare.
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
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