2024-07-25
La Chiesa segua la santa del combattimento
Teresa di Lisieux (Getty Images)
Teresa di Lisieux morì a 24 anni per tubercolosi. Il suo è un esempio di religiosità attiva e determinata che deve essere riscoperto anche dal cattolicesimo moderno, pieno zeppo di sacerdoti che, anziché genuflettersi a Dio, corrono dietro a Greta Thunberg.Nell’epoca governata dalla paura, dal risentimento e dal piagnisteo resta solo una via di salvezza: il combattimento. Una battaglia costante che non è tanto (o solo) fisica, ma soprattutto intellettuale e spirituale. E se tra i modelli dominanti prevalgono quelli che invitano alla lagna e all’aggressiva passività, ecco sorgere un esempio grandioso e troppo dimenticato: quello di una ragazza morta a 24 anni dopo una straziante lotta prima contro le tentazioni terrene e poi contro la malattia. Teresa di Lisieux è stata chiamata da papa Francesco «la santa della fiducia», ma è anche e soprattutto la santa del combattimento, la santa guerriera che pure non ha mai imbracciato un’arma. Nata ad Alençon, in Francia, il 2 gennaio 1873 è morta di tubercolosi il 30 settembre del 1897. Fu beatificata nel 1923 da papa Pio XI che la incoronò «stella del suo pontificato», e canonizzata il 17 maggio 1925.Oggi sono in pochi a conoscere la vicenda della santa bambina, ma grazie al cielo provvede a colmare la lacuna un libro di Jean de Saint-Cheron (brillante polemista cattolico francese, già autore di Chi crede non è un borghese) intitolato Elogio di una guerriera, appena pubblicato da Libreria editrice vaticana. Egli, fin da subito, mostra di affrontare la fede cristiana con un piglio decisamente inconsueto per i nostri tempi. Il suo Gesù non è un feticcio da Chiesa-Ong, ma colui che è venuto a portare la spada. «Il rapporto intrinseco che lega la santità all’arte militare non sorprenderà nessun lettore serio della Bibbia o delle vite dei santi: globalmente, in tutto il cristianesimo non c’è che guerra», scrive Saint-Cheron. «E alla sera della sua vita di 24 anni, di cui nove passati nel piccolo monastero in cui era entrata adolescente - e naturalmente aveva combattuto per entrarvi così giovane -Teresa non cesserà, tra una crisi di tubercolosi e l’altra, di ricordare la sua ostinazione di combattente: «Non ho detto che morirò con le armi in pugno?». «Io, che sono un soldato così valoroso!». Stringerà la spada in pugno fino al suo ultimo respiro, frammisto a sangue, davanti alla morte».Ma che cosa significa portare la spada? Saint-Cheron spiega: «Questa guerra permanente a cui Teresa deve la sua gloria porta nel cristianesimo il nome di “combattimento spirituale”. Fu la sorte di tutti i santi. Su scala individuale, è la lotta di ciascuno contro di sé per compiere il bene. Teresa ne farà oggetto di meditazione per tutta la sua vita sulla scorta dell’Imitazione di Cristo, trattato mistico del XV secolo che raccoglie l’essenziale della dottrina del combattimento spirituale».Siamo di fronte, dunque, a un cristianesimo attivo e determinato, che ha radici antiche. «Dal IV secolo, per descrivere il nascente monachesimo, quello dei Padri del deserto, si è sviluppato il tema della militia Christi», scrive Jean de Saint-Cheron. «Sulle orme di Sant’Antonio - lo scheletrico barbuto che resistette alle volgari tentazioni ritratte secoli dopo da Bosch, Flaubert e Dalí - partivano per il deserto egiziano, la Tebaide, dei solitari che sotto un sole torrido e tra gli animali selvatici si dedicavano alla preghiera e alle mortificazioni per la salvezza dei peccatori. Decidevano, in una parola, di affrontare le tentazioni cui la maggior parte dei loro simili, lontano dal deserto, soccombe. Si trattava di resistere ai pensieri animaleschi, di vincerli e, per un misterioso gioco di sostituzione, di operare per il perdono di quanti, nelle città, si lasciavano andare al vizio. Perché il cristianesimo è per essenza sociale, non lo si vive unicamente per sé, ma per il «corpo» composto da tutti. La vita dei solitari era, perciò, una lotta diuturna contro le menzogne del diavolo, il vecchio seduttore trasformista la cui arte sa presentare sotto una luce suggestiva ciò che conduce alla perdizione. A poco a poco, lo stile di vita ascetico incuriosì, attirò, si diffuse. Ci furono combattenti di Cristo che si raggrupparono per sostenersi a vicenda, dando vita ai primi monasteri. Nel V secolo, Sant’Agostino nell’attuale Algeria immaginò una regola di vita in comune. Intanto San Martino di Tours, San Giovanni Cassiano e San Cesario importavano la vita monastica in Occidente. Si fondavano abbazie. Ma è nell’Italia del V e VI secolo che San Benedetto da Norcia, autore della grande regola monastica che avrebbe varcato i secoli, generò (benché casto) una discendenza numerosa».È balsamico ricordare che questo è stato, recuperare dalle catacombe questa fede battagliera che spinge a migliorare sé stessi, a sfinirsi sull’impervio cammino dell’ascesi e insegna a non temere. Quanto è lontana, tuttavia, dal nostro presente. Abbiamo ancora stampata in mente l’immagine di una Chiesa che si genuflette timorosa non di Dio ma delle imposizioni umane, che accetta la retorica del terrore e invita i fedeli a rinchiudersi per paura del contagio. Vediamo troppo spesso una Chiesa che si fa soffocare tra le spire del discorso dominante, che s’annacqua nel fluido zuccheroso della correttezza politica. Ai prelati che si sono affannati a seguire Greta Thunberg (quand’era ancora piccola, presentabile e green) suggeriamo allora un’altra ragazzina, ben più tosta.Teresa combatté la sua guerra quotidiana per amore, la sua era una lotta piccola e incessante, per accettare e abbracciare le storture del mondo e dei suoi simili, a partire da quelli a lei più vicini. Il suo eroismo riguardava il prossimo: non una vittima esotica, ma il vivente a fianco a lei, che spesso è il più difficile da tollerare. Infine, il confronto tremendo con il male che le straziava i polmoni e che la perseguitò per mesi e mesi, senza però distoglierla dalla preghiera e dalle opere. Nell’era del piagnisteo, in cui la paura della morte ci sottomette e ci rende schiavi, ecco un esempio fulgido di forza, di virilità spirituale: una ragazzina che trascorse quasi tutta la vita fra le stanze del Carmelo. Una giovane donna che aveva compreso quale fosse il destino di tutti, e lo scrisse in una lettera non appena entrata in monastero: «Non ci resta che combattere».
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)
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