2022-08-06
Chiesa perseguitata in Nicaragua. Ma il Papa resta zitto contro il regime
Daniel Ortega continua la repressione del dissenso: vescovo assediato per impedirgli di celebrare la messa. Però Bergoglio tace ancora.Oggi come nel 1983, con una differenza. In Nicaragua il regime sandinista vede sempre il regno incontrastato di Daniel Ortega, che oggi ha come vice la moglie Rosaria Murillo, ma qualcosa è cambiato sul ruolo della Chiesa cattolica. Se nel 1983 l’arrivo di Giovanni Paolo II all’aeroporto di Managua cominciò con l’iconica reprimenda in mondovisione a padre Ernesto Cardenal, il sacerdote che era addirittura ministro nel governo della rivoluzione sandinista, oggi è Ortega a perseguitare la Chiesa in modo brutale.Ce lo consegnano le cronache che arrivano dal paese sudamericano con insistente quotidianità. La chiesa che prendeva parte al governo del 1983, quella di padre Cardenal e suo fratello Fernando, ministro dell’Istruzione, e Miguel D’Escoto, ministro degli Esteri, una chiesa di «liberazione» che vedeva in papa Woityla l’emissario dei neocolonizzatori, oggi è perseguitata dal regime. Si salva solo papa Francesco, che Ortega tira continuamente per la talare fino a farlo diventare «amico della rivoluzione sandinista».Il problema però, come ha rilevato anche il quotidiano argentino La Nacion, è che in risposta «risuona il silenzio» di Francesco e cresce così una forte critica al papa in Nicaragua. «L’entità e la gravità della crisi dei diritti umani in Nicaragua richiedono un pronunciamento inequivocabile da parte di qualsiasi persona impegnata nei diritti umani. Papa Francesco è una delle poche persone che potrebbe avviare un dialogo con il regime di Ortega», ha dichiarato al quotidiano argentino Tamara Taraciuk Broner, vicedirettore per le Americhe di Human Rights Watch. In circa quattro anni, dal 2018, anno della violenta repressione delle proteste da parte del regime, si contano oltre 200 attacchi e profanazioni a chiese cattoliche, con saccheggi, occupazione di seminari, minacce di morte e chiusura di emittenti cattoliche. Persino le suore di Madre Teresa di Calcutta sono state espulse dal Paese in malo modo. L’ultimo fatto in ordine di tempo riguarda il vero e proprio assedio a cui è stata sottoposta il 4 agosto la curia della diocesi di Matagalpa, il cui vescovo, monsignor Rolando Alvarez, è da sempre fortemente critico rispetto al sandinismo. La gente non è stata fatta entrare in chiesa per la messa e secondo il vescovo la polizia ha impedito anche la distribuzione dell’eucaristia. «Che ci permettano di celebrare liberamente, che non continuino con questa azione», ha dichiarato il vescovo in strada davanti alla polizia. «Non li danneggiamo. Se non facciamo loro niente, perché ci vogliono assediare? Cosa accadrà d’ora in poi?».Ma il silenzio assordante del Vaticano è stato timidamente rotto solo nel marzo scorso quando Ortega ha espulso dal Paese il nunzio pontificio, il monsignore polacco Waldemar Stanislaw Sommertag. In questa occasione fu diramato un flebile comunicato della Santa Sede che manifestava «grande sorpresa e rammarico» per l’espulsione. Peraltro, il nunzio era stato investito su diretta richiesta di Francesco di «dialogare» con Ortega, attirandosi anche le antipatie dei vescovi locali, tutt’altro che convinti delle necessità di una cooperazione con il regime. Álvaro Leiva Sánchez, segretario generale dell’Associazione nicaraguense per i diritti umani (Anpdh), ha già scritto più volte al Papa, come ha documentato La Nuova bussola quotidiana. «Ci sono poche cose così assordanti come il silenzio. E dal 2018 ad oggi, il suo si sente nel cuore lacerato del gregge cattolico del Nicaragua», ha scritto nella lettera del 25 luglio scorso l’avvocato per i diritti umani. «Non capisco come papa Francesco possa tacere di fronte agli attacchi ai sacerdoti più amati dai nicaraguensi, come sia possibile che non veda una persona di altissimo potere che, quotidianamente, usa invano il nome di Dio e predica l’amore seminando odio», ha twittato lo scorso maggio la scrittrice nicaraguense Gioconda Belli.Il vaticanista nicaraguense Israel Gonzalez, che vive in esilio in Spagna, ha un approccio più in stile ostpolitik. Come riporta Infobae, Gonzalez sottolinea che «una posizione più diretta del Papa genererebbe repressioni e violenze molto maggiori contro la Chiesa locale» e la prudenza è necessaria.Per l’analista politico Eliseo Núñez, ex deputato liberale, papa Francesco «è intriso di quell’anacronismo della sinistra latinoamericana che guardava le cose in bianco e nero, pro o contro i gringos. Guarda Daniel Ortega come il guerrigliero del 1979 e continua a credere che faccia parte di un movimento per il cambiamento sociale e non il dittatore che è in realtà». Un giudizio che affonda in quella serie di critiche sullo stile populista del pontefice argentino, che sarebbe maturato in scia ai peronisti e nei populismi sudamericani che dal Venezuela a Cuba affonderebbero le loro radici nella teologia della liberazione.Di ritorno dal suo viaggio in Grecia nel dicembre 2021, Francesco disse che i «populismi» «non hanno niente a che vedere con i popolarismi, che sono l’espressione dei popoli, libera: il popolo che si fa vedere con la propria identità, con il suo folclore, i suoi valori, la sua arte, e si mantiene. Il populismo è una cosa, il popolarismo un’altra». Al popolo e alla Chiesa del Nicaragua oggi manca l’ingrediente essenziale della libertà e il silenzio rischia davvero di farsi assordante.
Palazzo Berlaymont, sede della Commissione europea (Getty Images)
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