2020-04-27
Chi vuole spaccare la Lega si ricordi che fine ha fatto Tosi
Pare che qualcuno sogni di spaccare la Lega. Per dare vita a un governissimo, con dentro tutti, dal Pd ai 5 stelle, da Italia viva e Leu a parte di Forza Italia, in alcuni ambienti vicini alla maggioranza sarebbero al lavoro per dividere il partito di Matteo Salvini. Approfittando di un presunto momento di debolezza dell'ex ministro dell'Interno, le sirene governative vorrebbero ammaliare l'ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio nel primo governo Conte, ossia Giancarlo Giorgetti, senza tralasciare però Luca Zaia, che da governatore del Veneto è un altro dei pezzi da novanta dell'ex Carroccio.Non si sa se l'operazione di cui da giorni si mormora e che qualche quotidiano ha anche accreditato alla fine abbia fondamento, se davvero ci sia terreno fertile per una rivolta dei colonnelli leghisti. Spesso la fantasia dei cronisti gioca brutti scherzi, e dunque è possibile che qualcuno abbia ingigantito i malumori. Tuttavia, anche a voler prendere per buono il presunto ammutinamento nei confronti del Capitano leghista, vorrei ricordare ciò che è accaduto nel partito fondato da Umberto Bossi negli ultimi 25 anni. Già, perché le ribellioni al leader, ma soprattutto il tentativo di dividere il movimento per riuscire a tirarne un pezzo da una parte, non sono cose nuove per l'ex Carroccio. È vero che con gli anni molte cose sono cambiate, ma sino dalla sua fondazione la Lega è sempre stato un partito leninista, con il culto del capo, e chiunque vi si sia opposto diciamo che non è finito benissimo. Ho la fortuna di aver seguito il Senatur e le sue truppe sin dall'inizio o quasi, e dunque ho potuto osservare di persona molti degli scontri interni. Ricordo per esempio quello che vide contrapposti Bossi e Franco Castellazzi, un politico pavese che nei primi anni della storia leghista era di fatto il numero due del partito, nonché presidente della Lega lombarda. Nel 1991, fra il Senatur e il vice sorsero alcuni contrasti dovuti ai rapporti con il Psi e la Dc e in quattro e quattr'otto Castellazzi, che all'epoca era consigliere regionale lombardo, fu fatto fuori e sostituito ai vertici della Lega da Francesco Speroni. Contro l'ex numero due si scagliarono in tanti, Gianfranco Miglio compreso, e nonostante in seguito l'ex presidente abbia provato a ritornare nella mischia con una lista autonomista padana, fondando anche un movimento che si presentò alle elezioni provinciali, in poco tempo sparì dalla scena.Non meglio andò a Luigi Negri, un leghista di Codogno che, ai tempi del ribaltone orchestrato da Bossi contro Silvio Berlusconi, capitanò una pattuglia di lealisti nei confronti della Casa delle libertà. Nonostante l'appoggio garantito dal Cavaliere, la scissione finì malamente e tutti i rivoltosi sparirono in fretta dal Parlamento, rassegnandosi alle retrovie e in qualche caso al ritiro dalla vita politica.Qualcuno forse obbietterà che sono storie di un quarto di secolo fa, quando il partito era modellato su Umberto Bossi e non c'era spazio per nessun altro. Vero. Tuttavia, anche in tempi recenti ci fu chi pensò di sbarrare il passo a Salvini. Il Capitano aveva appena preso tra le mani una Lega ridotta al lumicino dopo gli scandali del Trota Renzo Bossi e di Francesco Belsito. Maroni aveva provato a risollevarne le sorti, ma il partito sembrava destinato a un lento tramonto e per questo l'ex ministro del Lavoro e dell'Interno scelse di concentrarsi sulla Lombardia. Flavio Tosi, sindaco di Verona e per qualche anno segretario della Lega Veneta, dopo due tornate provò a cercare una ribalta nazionale, candidandosi alla guida della Regione contro Zaia, ma fu sconfitto. Uscito dalla Lega, prima appoggiò il referendum di Matteo Renzi, poi fondò insieme con Enrico Zanetti e altri «Noi con l'Italia», ma alle politiche del 2018 non riuscì neppure a essere eletto nel Veneto.Sì, la storia della Lega è costellata di scissioni, anzi di tentativi di scissione, ma tutti sono finiti come ho raccontato. Ora c'è qualcun altro che prova a spaccare il partito? Prego, si accomodi: restiamo in attesa di seguire gli sviluppi del nuovo ammutinamento.
Sehrii Kuznietsov (Getty Images)
13 agosto 2025: un F-35 italiano (a sinistra) affianca un Su-27 russo nei cieli del Baltico (Aeronautica Militare)
La mattina del 13 agosto due cacciabombardieri F-35 «Lightning II» dell’Aeronautica Militare italiana erano decollati dalla base di Amari, in Estonia, per attività addestrativa. Durante il volo i piloti italiani hanno ricevuto l’ordine di «scramble» per intercettare velivoli non identificati nello spazio aereo internazionale sotto il controllo della Nato. Intervenuti immediatamente, i due aerei italiani hanno raggiunto i jet russi, due Sukhoi (un Su-27 ed un Su-24), per esercitare l’azione di deterrenza. Per la prima volta dal loro schieramento, le forze aeree italiane hanno risposto ad un allarme del centro di coordinamento Nato CAOC (Combined Air Operations Centre) di Uadem in Germania. Un mese più tardi il segretario della Nato Mark Rutte, anche in seguito all’azione di droni russi in territorio polacco del 10 settembre, ha annunciato l’avvio dell’operazione «Eastern Sentry» (Sentinella dell’Est) per la difesa dello spazio aereo di tutto il fianco orientale dei Paesi europei aderenti all’Alleanza Atlantica di cui l’Aeronautica Militare sarà probabilmente parte attiva.
L’Aeronautica Militare Italiana è da tempo impegnata all’interno della Baltic Air Policing a difesa dei cieli di Lettonia, Estonia e Lituania. La forza aerea italiana partecipa con personale e velivoli provenienti dal 32° Stormo di Amendolara e del 6° Stormo di Ghedi, operanti con F-35 e Eurofighter Typhoon, che verranno schierati dal prossimo mese di ottobre provenienti da altri reparti. Il contingente italiano (di Aeronautica ed Esercito) costituisce in ambito interforze la Task Air Force -32nd Wing e dal 1°agosto 2025 ha assunto il comando della Baltic Air Policing sostituendo l’aeronautica militare portoghese. Attualmente i velivoli italiani sono schierati presso la base aerea di Amari, situata a 37 km a sudovest della capitale Tallinn. L’aeroporto, realizzato nel 1945 al termine della seconda guerra mondiale, fu utilizzato dall’aviazione sovietica per tutti gli anni della Guerra fredda fino al 1996 in seguito all’indipendenza dell’Estonia. Dal 2004, con l’ingresso delle repubbliche baltiche nello spazio aereo occidentale, la base è passata sotto il controllo delle forze aeree dell’Alleanza Atlantica, che hanno provveduto con grandi investimenti alla modernizzazione di un aeroporto rimasto all’era sovietica. Dal 2014, anno dell’invasione russa della Crimea, i velivoli della Nato stazionano in modo continuativo nell’ambito delle operazioni di difesa dello spazio aereo delle repubbliche baltiche. Per quanto riguarda l’Italia, quella del 2025 è la terza missione in Estonia, dopo quelle del 2018 e 2021.
Oltre ai cacciabombardieri F-35 l’Aeronautica Militare ha schierato ad Amari anche un sistema antimissile Samp/T e i velivoli spia Gulfstream E-550 CAEW (come quello decollato da Amari nelle immediate circostanze dell’attacco dei droni in Polonia del 10 settembre) e Beechcraft Super King Air 350ER SPYD-R.
Il contingente italiano dell'Aeronautica Militare è attualmente comandato dal colonnello Gaetano Farina, in passato comandante delle Frecce Tricolori.
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