2019-03-26
Battisti confessa, i suoi protettori
adesso chiedano scusa alle vittime
Aveva già confessato tutto più di vent'anni fa, scrivendo un romanzo autobiografico che aveva come sottotitolo «Un delinquente comune nella guerriglia urbana». Ne L'ultimo sparo - questo il titolo del libro - Cesare Battisti raccontava la storia di un gruppo di militanti «rivoluzionari» nei cosiddetti anni di piombo, ossia le gesta criminali di cui si era reso protagonista. A pagina 104 del libello, per esempio, era descritto l'agguato a Pierluigi Torregiani, l'orefice milanese «colpevole» di aver reagito durante una rapina. «L'azione prevedeva solo una punizione misurata, senza spargimento di sangue contro «il cittadino che si fa stato», così chiamavamo i grassi commercianti… Ma lo "sceriffo" reagì sparando all'impazzata, ferendo gravemente un passante. I compagni furono costretti ad abbatterlo». Così, senza enfasi né alcuna umana partecipazione, Battisti confessava l'omicidio del gioielliere e il ferimento del figlio Alberto. Del resto, per lui, per il terrorista-scrittore, sparare era come scrivere e lo faceva senza emozioni. «Non star a perdere tempo in chiacchiere» esortava il protagonista del romanzo criminale dei Pac, Proletari armati per il comunismo «occupati del prossimo consigliere cretino della Dc da azzoppare».Tuttavia, nonostante avesse confessato tutto vent'anni fa, raccontando le rapine, le sparatorie contro carabinieri e poliziotti, le evasioni, i suoi amici scrittori continuavano a difenderlo, considerandolo vittima di uno stato carnefice. Per loro Battisti era un perseguitato politico e per questo avevano sottoscritto appelli in suo favore. In Francia, dove aveva trovato rifugio grazie alla cosiddetta dottrina Mitterrand che per anni impedì la sua estradizione, il terrorista scrittore trovò la protezione di intellettuali come Bernard Henry Levy o scrittori di successo come Daniel Pennac e Fred Vargas e attrici come Valeria Bruni Tedeschi, sorella della moglie di Nicolas Sarkozy. Secondo loro, Battisti era stato processato senza potersi difendere e le accuse contro di lui erano frutto di confessioni false o, peggio, estorte con la tortura. Perfino l'autore di Cent'anni di solitudine, Gabriel Garcia Marquez, si schierò al suo fianco, convinto della sua innocenza. In Italia furono in molti a bersi la frottola della macchinazione contro il povero intellettuale di sinistra, processato senza avvocato e senza la possibilità di discolparsi dalle gravi accuse. Da Valerio Evangelisti a Massimo Carlotto, da Tiziano Scarpa a Nanni Balestrini, da Vauro a Giuseppe Genna e Sandrone Dazieri, per citare i più noti. Tra i firmatari, quindici anni, fa c'era anche Roberto Saviano, ma una volta diventato famoso, l'autore di Gomorra preferì ritirare il sostegno, sostenendo che la firma fosse stata apposta in calce all'appello a sua insaputa, senza che lui ne «sapesse abbastanza di questa vicenda».Eppure, quello che c'era da sapere era scritto negli atti dei processi che avevano condannato Cesare Battisti a quattro ergastoli. Altro che macchinazione, altro che testimonianze fasulle. A inchiodare il terrorista-scrittore alle proprie responsabilità erano le confessioni dei suoi complici, oltre che i riscontri raccolti con pazienza dalle forze dell'ordine. C'erano passanti che avevano riconosciuto in Battisti un appartenente del commando, c'erano i rilievi sui luoghi dell'attentato e sui mezzi usati.Tuttavia, nonostante le prove, per anni molti intellettuali si diedero da fare per dimostrare la falsità delle accuse. Secondo loro Battisti non poteva far parte del commando che assassinò Torregiani perché era altrove, anche se il processo aveva chiarito che il terrorista stava sì partecipando a un altro delitto, in contemporanea, ma aveva organizzato anche la spedizione contro il gioielliere. Ora, a distanza di oltre trent'anni dai fatti, è lo stesso superlatitante ad ammettere le colpe. Forse lo fa nella speranza che questo gli giovi uno sconto di pena. Forse confessa perché si rende conto per la prima volta che la sua fuga dalle condanne, ma soprattutto dalla realtà, si è conclusa. Sta di fatto che il riconoscimento delle responsabilità nei delitti mette fine alle campagne pro Battisti che in questi anni ci hanno accompagnato. Lo scrittore è un pluriomicida che per alcuni decenni si è sottratto all'arresto godendo della copertura di un milieu intellettuale sempre pronto a sposare ogni causa purché di sinistra.Faccenda chiusa, dunque. Ma non per gli scrittori, gli attori e i giornalisti che si schierarono a sua difesa. Quelli, per lo meno, dovrebbero chiedere scusa per essersi schierati al fianco di un assassino e non delle sue vittime.