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2019-06-05
Lotti ora è radioattivo. Altri addii al Csm
Ansa
Per chi crede ai segni premonitori, il black out del sistema audio a Palazzo dei Marescialli all'inizio del plenum straordinario del Csm di ieri è la conferma dell'aura di negatività che sta avvolgendo il Consiglio superiore della magistratura da quando la Procura di Perugia ha scoperto (in parte) le carte dell'inchiesta sui magistrati Luca Palamara (accusato di corruzione), Luigi Spina e Stefano Fava (indagati per rivelazione di segreto e favoreggiamento). Gli ultimi due sono stati sentiti ieri: Spina si è avvalso della facoltà di non rispondere, mentre Fava ha risposto per oltre cinque ore ai colleghi.
Sempre ieri è andato in scena un cahiers de doléance che si è aperto con la notizia dell'autosospensione di altri due membri di Palazzo dei Marescialli: Gianluigi Morlini e Paolo Criscuoli, che hanno seguito l'esempio di Corrado Cartoni e Antonio Lepre (Spina si è invece dimesso). I nomi di Cartoni e Lepre erano emersi nelle intercettazioni ambientali catturate grazie al trojan installato nello smartphone di Palamara durante gli incontri tra quest'ultimo e i deputati del Pd Luca Lotti e Cosimo Ferri. «Pur consapevoli e certi della correttezza del nostro operato, per senso istituzionale e per evitare attacchi strumentali al Csm comunichiamo la autosospensione dalle funzioni consiliari in attesa che sia fatta chiarezza sulla vicenda», hanno scritto.
Dal togato di Magistratura indipendente Criscuoli è arrivata una difesa d'attacco che ha evocato un «clima di caccia alle streghe» e ha spostato l'asse della discussione dalle posizioni individuali a quelle collettive: «In questi giorni è in corso una campagna di stampa che confonde e sovrappone indebitamente i piani di una indagine penale relativa a fatti rispetto ai quali sono del tutto estraneo, come già emerso, con l'attuale attività svolta presso il Csm. Ciò ha offuscato e rischia di compromettere ulteriormente l'immagine e la percezione che dell'organo di governo autonomo della magistratura hanno i cittadini prima ancora dei magistrati».
Sentita anche la lettera, inviata da Morlini, al vicepresidente del Csm David Ermini: «Pur se nessuno mi ha contestato nulla a livello penale o disciplinare, e pur se il mio nome nemmeno è uscito sulla stampa, so di avere, casualmente e in modo da me non programmato, raggiunto alcuni magistrati a un dopo cena in cui, a un certo punto e senza che io lo sapessi o lo potessi prevedere, è intervenuto l'onorevole Lotti». Ancora rapporti tra magistratura e politica, dunque. «Mi sono quindi poco dopo congedato», ha scritto Morlini, «ben prima che la serata terminasse, certo di non avere detto o fatto nulla in contrasto con i miei doveri di consigliere. Pur nella certezza della correttezza del mio comportamento, al fine di evitare che il Csm sia danneggiato da questa situazione e per senso di responsabilità verso le istituzioni, chiedo di non partecipare all'attività del Consiglio e di essere sostituito nelle commissioni, in attesa che la mia posizione venga acclarata come pienamente corretta nelle sedi istituzionali».
L'aria nella sede di Palazzo dei Marescialli è tesa, e l'impressione è che nessuno voglia minimamente, come ha suggerito Piercamillo Davigo, prendersi l'onere di difendere l'onore di chi è innocente, fino a prova contraria, o di chi non è nemmeno indagato. A dispetto dei rapporti di amicizia e di colleganza. Non è un caso che proprio i consiglieri Davigo e Giuseppe Cascini agitino lo spauracchio dei tempi bui e violenti della P2.
E, infatti, sempre il vicepresidente Ermini ha parlato di una «ferita alla magistratura e al Consiglio superiore». Una ferita «profonda e dolorosa», ha voluto specificare a inizio seduta. «O sapremo riscattare con i fatti il discredito che si è abbattuto su di noi o saremo perduti», ha aggiunto. Il numero due dell'organo di autogoverno ha poi affrontato il vero tema all'ordine del giorno, quello che per ovvi motivi non poteva essere formalizzato nel documento ufficiale: «Le nomine dei capi degli uffici giudiziari siano effettuate attraverso la rigorosa osservanza del criterio cronologico, fuggendo la tentazione di raggrupparle in delibere contestuali che inducano il sospetto di essere state compiute nell'ambito di logiche spartitorie e non trasparenti».
Non manca una stilettata al meccanismo di vita interno della magistratura: «L'associazionismo giudiziario è stato un potente fattore di cambiamento e democratizzazione della magistratura, favorendo una presa di coscienza collettiva in ordine ai valori costituzionali che la giurisdizione ha il compito di attuare e difendere. E io credo», ha continuato Ermini, «che tale associazionismo, ove inteso come luogo di impegno civico e laboratorio di idee e valori, svolga ancora un ruolo prezioso animando il dibattito e il confronto culturale e tecnico sui temi della giustizia e sul senso della giurisdizione». Con un'avvertenza, però: «Ma consentitemi di dire che nulla di tutto ciò io vedo nelle degenerazioni correntizie, nei giochi di potere e nei traffici venali di cui purtroppo evidente traccia è nelle cronache di questi giorni. E dico che nulla di tutto ciò dovrà in futuro macchiare l'operato del Csm».
La seduta si è conclusa con la votazione della delibera che autorizza all'unanimità Spina a tornare nella sede di provenienza, presso la Procura di Castrovillari (Calabria) e con l'approvazione di un documento che recita: «La delicatezza della situazione impone di eliminare ogni ombra sull'istituzione di cui siamo componenti, che deve essere e apparire assolutamente indipendente». «Non possiamo accettare comportamenti, non importa se penalmente irrilevanti, che gettino discredito sull'istituzione in cui si incarna la magistratura italiana», si legge, e ancora: «Sin da ora vogliamo sottolineare che quanto è emerso è indicativo di comportamenti da cui intendiamo con nettezza prendere le distanze».
«Complotto Eni? Non c’entro, vendo elettrodomestici»
L'avvocato dell'Eni Piero Amara? «Mai sentito nominare». Il manager della compagnia petrolifera Umberto Vergine? «Neppure». Andrea Bacci, ex socio di Amara ed ex amico e ristrutturatore della casa di Matteo Renzi? «Non conosco queste persone».
L'italiano è fluente. S'intuisce che è uno straniero solo quando pronuncia una frase più lunga: «Io mi occupo di elettrodomestici, con il petrolio non ho nulla a che fare». Radwan Khawthani è un iraniano che vive da tantissimo tempo in Italia. A Parma. Quando il suo collaboratore che ha risposto a telefono gli passa la chiamata della Verità lo chiama «dottore». Lo scenario è quello della guerra tra toghe che arriva al Csm, scoppiata per la sostituzione del procuratore di Roma Giuseppe Pignatone, e delle inchieste su Amara e sulle sentenze pilotate al Consiglio di Stato. L'iraniano viene tirato in ballo, in tempi non sospetti, dal Fatto Quotidiano, con un articolo del 12 agosto 2018 a proposito dell'ipotesi del finto complotto contro i vertici dell'Eni. Citando un interrogatorio dell'avvocato Amara, il giornale ricostruisce una presunta conversazione con Bacci per spingere sulla nomina in Eni del manager Vergine.
Khawthani all'epoca ha smentito. E nega anche ora. Adesso, però, Bacci dice che il misterioso iraniano con lui parlò davvero. «L'ho conosciuto in occasione di un premio internazionale per imprenditori a Montecarlo e lui era il factotum dell'organizzazione». E arriva al dunque: «Mi chiese una cosa allucinante, ovvero se io avessi ricevuto un nominativo da consigliare eventualmente a Renzi per la nomina da amministratore delegato dell'Eni. Mi misi a ridere e risposi che non avevo questo potere». E ancora: «Mi disse: “Sai, io sono molto amico dell'amministratore delegato di quell'altra società collegata all'Eni", non la Napag, quella società pubblica... E mi disse che “un certo Vergine sarebbe la persona ideale da mandare all'Eni"».
Bacci, per quell'incontro, finisce in Procura da Giancarlo Longo, magistrato che a Siracusa curava l'inchiesta sul complotto Eni e che dopo il suo arresto e il patteggiamento è passato a fare il maestro di fitness. Ma perché l'ex amico del Rottamatore viene sentito dal magistrato? Spiega: «È per una intercettazione telefonica di questo arabo renziano». Un giorno, è la ricostruzione di Bacci, l'iraniano telefona a qualcuno e dice: «Guarda, per Vergine io ho parlato anche con un amico di Renzi». «Io», spiega Bacci, «ho confermato l'incontro con l'iraniano, ma ho detto che con Renzi non avevo parlato».
E qui il mistero si infittisce. Perché dall'indagine su Siracusa è emerso che, per salvare l'Eni dall'inchiesta milanese sulle ipotizzate tangenti in Nigeria, nella Procura siciliana taroccavano documenti e costruivano prove. Longo, su input di Amara, aveva messo su un'indagine priva di fondamento costruendo tutto attorno a un presunto piano di destabilizzazione della società del cane a sei zampe e del suo amministratore delegato Claudio Descalzi. In realtà la finalità sarebbe stata spiare l'indagine milanese.
«E io che c'entro?», dice l'iraniano, «io vendo elettrodomestici». A pensare male, confortati da quanto è emerso dall'inchiesta sul finto complotto Eni, quell'intercettazione potrebbe non esistere.
E potrebbe trattarsi di una ricostruzione creata a tavolino da Amara (che nell'indagine passa per essere il grande burattinaio) per qualche finalità che al momento è difficile immaginare. Ma chi si nasconde dietro a questa trama che coinvolge l'iraniano? L'incontro che interessava al pm Longo c'è stato. Ed è provato. Bacci lo ricorda bene, ma lo piazza a Montecarlo. E alla fine lo ammette anche l'iraniano: «Ci siamo incontrati tanti anni fa». Per Khawthani, però, la città non era Montecarlo, ma «una località estera». Sul resto è inutile insistere. «Io», ripete l'iraniano, «con il petrolio non ho nulla a che fare, vendo solo elettrodomestici».
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Gianluigi Morlini e Paolo Criscuoli si sono autosospesi seguendo l'esempio di Antonio Lepre e Corrado Cartoni. Contando anche le dimissioni di Luigi Spina, l'organo di autogoverno dei giudici perde cinque membri. David Ermini: «Riscattiamoci o saremo perduti».L'iraniano Radwan Khawthani tirato in ballo da Andrea Bacci e dalla cricca di Piero Amara: «Di questa storia non so nulla, mai avuto a che fare con il petrolio».Lo speciale contiene due articoli.Per chi crede ai segni premonitori, il black out del sistema audio a Palazzo dei Marescialli all'inizio del plenum straordinario del Csm di ieri è la conferma dell'aura di negatività che sta avvolgendo il Consiglio superiore della magistratura da quando la Procura di Perugia ha scoperto (in parte) le carte dell'inchiesta sui magistrati Luca Palamara (accusato di corruzione), Luigi Spina e Stefano Fava (indagati per rivelazione di segreto e favoreggiamento). Gli ultimi due sono stati sentiti ieri: Spina si è avvalso della facoltà di non rispondere, mentre Fava ha risposto per oltre cinque ore ai colleghi. Sempre ieri è andato in scena un cahiers de doléance che si è aperto con la notizia dell'autosospensione di altri due membri di Palazzo dei Marescialli: Gianluigi Morlini e Paolo Criscuoli, che hanno seguito l'esempio di Corrado Cartoni e Antonio Lepre (Spina si è invece dimesso). I nomi di Cartoni e Lepre erano emersi nelle intercettazioni ambientali catturate grazie al trojan installato nello smartphone di Palamara durante gli incontri tra quest'ultimo e i deputati del Pd Luca Lotti e Cosimo Ferri. «Pur consapevoli e certi della correttezza del nostro operato, per senso istituzionale e per evitare attacchi strumentali al Csm comunichiamo la autosospensione dalle funzioni consiliari in attesa che sia fatta chiarezza sulla vicenda», hanno scritto. Dal togato di Magistratura indipendente Criscuoli è arrivata una difesa d'attacco che ha evocato un «clima di caccia alle streghe» e ha spostato l'asse della discussione dalle posizioni individuali a quelle collettive: «In questi giorni è in corso una campagna di stampa che confonde e sovrappone indebitamente i piani di una indagine penale relativa a fatti rispetto ai quali sono del tutto estraneo, come già emerso, con l'attuale attività svolta presso il Csm. Ciò ha offuscato e rischia di compromettere ulteriormente l'immagine e la percezione che dell'organo di governo autonomo della magistratura hanno i cittadini prima ancora dei magistrati». Sentita anche la lettera, inviata da Morlini, al vicepresidente del Csm David Ermini: «Pur se nessuno mi ha contestato nulla a livello penale o disciplinare, e pur se il mio nome nemmeno è uscito sulla stampa, so di avere, casualmente e in modo da me non programmato, raggiunto alcuni magistrati a un dopo cena in cui, a un certo punto e senza che io lo sapessi o lo potessi prevedere, è intervenuto l'onorevole Lotti». Ancora rapporti tra magistratura e politica, dunque. «Mi sono quindi poco dopo congedato», ha scritto Morlini, «ben prima che la serata terminasse, certo di non avere detto o fatto nulla in contrasto con i miei doveri di consigliere. Pur nella certezza della correttezza del mio comportamento, al fine di evitare che il Csm sia danneggiato da questa situazione e per senso di responsabilità verso le istituzioni, chiedo di non partecipare all'attività del Consiglio e di essere sostituito nelle commissioni, in attesa che la mia posizione venga acclarata come pienamente corretta nelle sedi istituzionali». L'aria nella sede di Palazzo dei Marescialli è tesa, e l'impressione è che nessuno voglia minimamente, come ha suggerito Piercamillo Davigo, prendersi l'onere di difendere l'onore di chi è innocente, fino a prova contraria, o di chi non è nemmeno indagato. A dispetto dei rapporti di amicizia e di colleganza. Non è un caso che proprio i consiglieri Davigo e Giuseppe Cascini agitino lo spauracchio dei tempi bui e violenti della P2.E, infatti, sempre il vicepresidente Ermini ha parlato di una «ferita alla magistratura e al Consiglio superiore». Una ferita «profonda e dolorosa», ha voluto specificare a inizio seduta. «O sapremo riscattare con i fatti il discredito che si è abbattuto su di noi o saremo perduti», ha aggiunto. Il numero due dell'organo di autogoverno ha poi affrontato il vero tema all'ordine del giorno, quello che per ovvi motivi non poteva essere formalizzato nel documento ufficiale: «Le nomine dei capi degli uffici giudiziari siano effettuate attraverso la rigorosa osservanza del criterio cronologico, fuggendo la tentazione di raggrupparle in delibere contestuali che inducano il sospetto di essere state compiute nell'ambito di logiche spartitorie e non trasparenti». Non manca una stilettata al meccanismo di vita interno della magistratura: «L'associazionismo giudiziario è stato un potente fattore di cambiamento e democratizzazione della magistratura, favorendo una presa di coscienza collettiva in ordine ai valori costituzionali che la giurisdizione ha il compito di attuare e difendere. E io credo», ha continuato Ermini, «che tale associazionismo, ove inteso come luogo di impegno civico e laboratorio di idee e valori, svolga ancora un ruolo prezioso animando il dibattito e il confronto culturale e tecnico sui temi della giustizia e sul senso della giurisdizione». Con un'avvertenza, però: «Ma consentitemi di dire che nulla di tutto ciò io vedo nelle degenerazioni correntizie, nei giochi di potere e nei traffici venali di cui purtroppo evidente traccia è nelle cronache di questi giorni. E dico che nulla di tutto ciò dovrà in futuro macchiare l'operato del Csm». La seduta si è conclusa con la votazione della delibera che autorizza all'unanimità Spina a tornare nella sede di provenienza, presso la Procura di Castrovillari (Calabria) e con l'approvazione di un documento che recita: «La delicatezza della situazione impone di eliminare ogni ombra sull'istituzione di cui siamo componenti, che deve essere e apparire assolutamente indipendente». «Non possiamo accettare comportamenti, non importa se penalmente irrilevanti, che gettino discredito sull'istituzione in cui si incarna la magistratura italiana», si legge, e ancora: «Sin da ora vogliamo sottolineare che quanto è emerso è indicativo di comportamenti da cui intendiamo con nettezza prendere le distanze».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/chi-si-avvicina-a-luca-lotti-salta-altri-due-magistrati-lasciano-il-csm-2638684885.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="complotto-eni-non-centro-vendo-elettrodomestici" data-post-id="2638684885" data-published-at="1765393283" data-use-pagination="False"> «Complotto Eni? Non c’entro, vendo elettrodomestici» L'avvocato dell'Eni Piero Amara? «Mai sentito nominare». Il manager della compagnia petrolifera Umberto Vergine? «Neppure». Andrea Bacci, ex socio di Amara ed ex amico e ristrutturatore della casa di Matteo Renzi? «Non conosco queste persone». L'italiano è fluente. S'intuisce che è uno straniero solo quando pronuncia una frase più lunga: «Io mi occupo di elettrodomestici, con il petrolio non ho nulla a che fare». Radwan Khawthani è un iraniano che vive da tantissimo tempo in Italia. A Parma. Quando il suo collaboratore che ha risposto a telefono gli passa la chiamata della Verità lo chiama «dottore». Lo scenario è quello della guerra tra toghe che arriva al Csm, scoppiata per la sostituzione del procuratore di Roma Giuseppe Pignatone, e delle inchieste su Amara e sulle sentenze pilotate al Consiglio di Stato. L'iraniano viene tirato in ballo, in tempi non sospetti, dal Fatto Quotidiano, con un articolo del 12 agosto 2018 a proposito dell'ipotesi del finto complotto contro i vertici dell'Eni. Citando un interrogatorio dell'avvocato Amara, il giornale ricostruisce una presunta conversazione con Bacci per spingere sulla nomina in Eni del manager Vergine. Khawthani all'epoca ha smentito. E nega anche ora. Adesso, però, Bacci dice che il misterioso iraniano con lui parlò davvero. «L'ho conosciuto in occasione di un premio internazionale per imprenditori a Montecarlo e lui era il factotum dell'organizzazione». E arriva al dunque: «Mi chiese una cosa allucinante, ovvero se io avessi ricevuto un nominativo da consigliare eventualmente a Renzi per la nomina da amministratore delegato dell'Eni. Mi misi a ridere e risposi che non avevo questo potere». E ancora: «Mi disse: “Sai, io sono molto amico dell'amministratore delegato di quell'altra società collegata all'Eni", non la Napag, quella società pubblica... E mi disse che “un certo Vergine sarebbe la persona ideale da mandare all'Eni"». Bacci, per quell'incontro, finisce in Procura da Giancarlo Longo, magistrato che a Siracusa curava l'inchiesta sul complotto Eni e che dopo il suo arresto e il patteggiamento è passato a fare il maestro di fitness. Ma perché l'ex amico del Rottamatore viene sentito dal magistrato? Spiega: «È per una intercettazione telefonica di questo arabo renziano». Un giorno, è la ricostruzione di Bacci, l'iraniano telefona a qualcuno e dice: «Guarda, per Vergine io ho parlato anche con un amico di Renzi». «Io», spiega Bacci, «ho confermato l'incontro con l'iraniano, ma ho detto che con Renzi non avevo parlato». E qui il mistero si infittisce. Perché dall'indagine su Siracusa è emerso che, per salvare l'Eni dall'inchiesta milanese sulle ipotizzate tangenti in Nigeria, nella Procura siciliana taroccavano documenti e costruivano prove. Longo, su input di Amara, aveva messo su un'indagine priva di fondamento costruendo tutto attorno a un presunto piano di destabilizzazione della società del cane a sei zampe e del suo amministratore delegato Claudio Descalzi. In realtà la finalità sarebbe stata spiare l'indagine milanese. «E io che c'entro?», dice l'iraniano, «io vendo elettrodomestici». A pensare male, confortati da quanto è emerso dall'inchiesta sul finto complotto Eni, quell'intercettazione potrebbe non esistere. E potrebbe trattarsi di una ricostruzione creata a tavolino da Amara (che nell'indagine passa per essere il grande burattinaio) per qualche finalità che al momento è difficile immaginare. Ma chi si nasconde dietro a questa trama che coinvolge l'iraniano? L'incontro che interessava al pm Longo c'è stato. Ed è provato. Bacci lo ricorda bene, ma lo piazza a Montecarlo. E alla fine lo ammette anche l'iraniano: «Ci siamo incontrati tanti anni fa». Per Khawthani, però, la città non era Montecarlo, ma «una località estera». Sul resto è inutile insistere. «Io», ripete l'iraniano, «con il petrolio non ho nulla a che fare, vendo solo elettrodomestici».
Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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