2025-12-03
In Italia lo sport non è per tutti. Un impianto su cinque resta off-limits ai disabili
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Nel giorno dedicato alla disabilità emergono dati che raccontano un Paese ancora indietro: oltre il 20% delle strutture sportive è inaccessibile e quasi la metà è ferma agli anni Settanta-Ottanta.In Italia lo sport è un rito collettivo, quasi una lingua nazionale. Ma basta spostare lo sguardo appena fuori dai grandi palazzetti per scoprire una verità meno rassicurante: per migliaia di persone con disabilità, il campo da gioco resta ancora oggi un territorio proibito. Non per scelta, né per mancanza di voglia: semplicemente, molte strutture non sono accessibili. E il dato è tutt’altro che marginale. Secondo l’ultimo report dell’Osservatorio Valore Sport, più del 20% degli impianti sportivi italiani è inaccessibile alle persone con disabilità. Un numero che fa impressione se rapportato a un patrimonio di circa 77.000 strutture, molte delle quali nate in un’Italia che non aveva ancora interiorizzato il concetto di inclusione: il 44% risale agli anni Settanta e Ottanta, e porta addosso i segni del tempo. Scale ovunque, rampe mancanti, spogliatoi impossibili da raggiungere: architetture che diventano barriere.Il paradosso è che questa fotografia arriva in un momento in cui la domanda potenziale di attività sportiva è in forte crescita. L’ISTAT, nell’ultima indagine sul settore scolastico, registra quasi 360.000 studenti con disabilità nell’anno 2023-2024, pari al 4,5% degli iscritti, con un aumento del 26% in cinque anni. Una generazione che avrebbe bisogno di opportunità, stabilità, continuità. Ma persino a scuola la situazione non è semplice: più del 57% degli alunni cambia insegnante di sostegno ogni anno, rendendo difficile qualunque percorso educativo serio. E se guardiamo allo sport, il quadro è duplice: 21,5 milioni di persone in Italia dichiarano di praticarlo, ma le possibilità reali non sono le stesse per tutti. In mezzo a questa Italia che arranca, ci sono però esperienze che dimostrano come l’inclusione non sia solo uno slogan da Giornata Mondiale della Disabilità, ma un progetto concreto. Una di queste è il No Limits Team di Monza, una squadra di pallavolo nata nel 2017 dalla collaborazione tra l’Associazione Silvia Tremolada e il consorzio Vero Volley. Un gruppo vero, non una parrocchia sportiva: gli atleti sono 35, affiancati da una ventina di partner provenienti dal volontariato e dalle scuole. E competono a tutti gli effetti, con regole proprie ma con la stessa serietà delle categorie «maggiori».Il loro campo di allenamento è lo stesso dell’Opiquad Arena, quello delle campionesse di Vero Volley come Paola Egonu e Anna Danesi. Ma qui, per scelta e per necessità, le partite comprendono sempre «tre e tre»: tre atleti con disabilità e tre partner in campo contemporaneamente. Le regole sono adattate - massimo tre battute consecutive, rotazioni obbligatorie, almeno un tocco dell’atleta in ogni azione - ma il risultato è sorprendente: un volley vero, intenso, capace di unire senza paternalismi.«L’elemento più prezioso è il valore umano che viviamo ogni giorno», racconta Alessandra Marzari, presidente di Vero Volley. «Non offriamo solo sport, ma un ambiente in cui ognuno può sentirsi parte di un progetto condiviso».Quest’anno la squadra, sostenuta da ArgenX, giocherà gli Incontri Regionali Ricreativi di Special Olympics contro altri sette team lombardi. E non mancano i talenti: Sonia Ciboldi, una delle veterane, è stata selezionata per la prima World Cup di pallavolo a Katowice, dove ha ottenuto un sesto posto con la Nazionale italiana.Ma è la filosofia di Massimo Tadini, direttore responsabile del No Limits Team, a fotografare meglio di ogni statistica lo scarto che separa retorica e realtà. «Finché parleremo di integrazione come se esistessero due mondi separati – i “normali” e i “diversi” – non potremo parlare di vera inclusione», dice. «Spesso convivono nello stesso luogo, ma restano empaticamente lontani».
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