2018-10-10
Chi dovrebbe vigilare e tutelarli fa terrorismo sui nostri risparmi
Bankitalia e Corte dei conti sparano sul Def: «Mina la sicurezza delle famiglie». L'Ufficio parlamentare di bilancio boccia i numeri. Infine il Fmi, a gamba tesa, rivede al ribasso le previsioni di crescita del Pil.Il Fondo monetario ha distrutto Atene con l'austerità. Da noi, Palazzo Koch inerte davanti alla crisi bancaria.Lo speciale contiene due articoli.Prosegue senza sosta l'attacco dell'establishment nei confronti della manovra italiana. Quella trascorsa ieri è stata l'ennesima giornata di passione per la nota di aggiornamento al Def, il cui approdo è previsto in Parlamento già domani. Da quando lo scorso 27 settembre il governo ha reso noto di voler innalzare la percentuale di deficit al 2,4% sul Pil, non è passato giorno senza che si levassero critiche nei confronti dell'esecutivo. Le danze le ha aperte il commissario agli Affari economici e monetari, Pierre Moscovici, ma al coro si sono uniti presto anche il presidente della Commissione, Jean Claude Juncker, e il vicepresidente Valdis Dombrovkis. A seguito la pubblicazione della Nadef, avvenuta il 4 ottobre, le cose se possibile sono pure peggiorate. L'invito del Mef a valutare «l'impatto delle singole misure sull'economia del Paese deve essere valutato nel quadro dell'intera manovra» è stato bellamente ignorato da Bruxelles. Venerdì sera, a mercati chiusi, la lettera firmata dalla premiata ditta Moscovici-Dombrovskis, con l'invito a formulare una bozza «in linea con le regole fiscali concordate».L'affondo di ieri al governo guidato da Giuseppe Conte arriva da un triplice fronte. Il primo è rappresentato dal Fondo monetario internazionale, che ha illustrato l'aggiornamento di ottobre del World economic outlook. Le previsioni sulla crescita da parte degli analisti di Washington, in realtà, non si discostano da quelle rilasciate nel mese di luglio. Secondo l'Fmi il Pil italiano crescerà dell'1,2% nel 2018 e dell'1% nel 2019, cifre identiche a quelle rilasciate tre mesi fa, ma peggiorative rispetto alle stime di aprile rispettivamente dello 0,3% e dello 0,1%. C'è un'informazione che tuttavia non ha trovato lo stesso risalto di quella che riguarda Roma. L'Italia, infatti, non è il Paese che registra il taglio più significativo rispetto ad aprile. Tutt'altro. La Germania, ad esempio, ha subito una sforbiciata dello 0,6% nella previsione per il 2018, mentre la Francia ha fatto segnare un -0,5%. L'area euro, nel suo complesso, ha visto ridimensionare le stime per quest'anno dello 0,4% (sempre rispetto all'aggiornamento rilasciato ad aprile). Rispetto a luglio, invece, il nostro Paese è l'unico a non subire peggioramenti nelle stime. Calano infatti Germania, Francia, Spagna e l'eurozona. Tanto è vero che il premier Giuseppe Conte ha rintuzzato dicendo: «Queste stime sono vecchie, vanno riaggiornate». «La nostra preoccupazione nei confronti dell'Italia», hanno affermato i dirigenti dell'Fmi nel corso della conferenza stampa, «riguarda la necessità imperative che le misure fiscali ottengano la fiducia dei mercati. Ciò a cui abbiamo assistito finora è stato un aumento a dismisura degli spread. Questo fatto», ha aggiunto l'Fmi, «ha certamente contribuito al peggioramento delle stime sull'Italia e rende il paese più suscettibile agli shock». «Riteniamo di fondamentale importanza», hanno concluso i membri del Fondo, «che il governo si muova all'interno della cornice delle regole europee, che permettono tra l'altro la stabilità della stessa eurozona». Oltre ai numeri, però, gli economisti dell'Fmi hanno distribuiti consigli (decisamente non richiesti) anche sul piano politico. «Le passate riforme delle pensioni (quella Fornerno, ndr) e del lavoro vanno preservate, anzi sarebbe opportuno inserire ulteriori misure, come la disintermediazione della contrattazione salariale per allineare gli stipendi alla produttività», si legge nel rapporto. L'altra spina nel fianco della giornata arriva dalla Corte dei conti. Angelo Buscema, presidente dell'organo deputato a vigilare sul fisco e sulle entrate, è stato ascoltato in audizione sulla Nota dalle commissioni Bilancio riunite di Camera e Senato. «Il quadro macroeconomico programmatico appare ottimistico alla luce delle attuali tendenze del ciclo economico internazionale», ha detto Buscema, aggiungendo che «esso sconta un marcato abbattimento dello scarto negativo, osservato prima della crisi e ancora nel recente passato, tra tasso di crescita dell'Italia e tasso di sviluppo del resto dell'area euro». «Se è discutibile il ruolo che l'indebitamento può giocare nel breve termine», ha poi aggiunto il presidente della Corte, «vi è consenso nel ritenere che nel lungo periodo la crescita del debito danneggia l'economia, mina la fiducia di famiglie e imprese e riduce gli investimenti, stante il permanente rischio di instabilità finanziaria». Negativa, infine, anche Bankitalia. Il vicedirettore generale, Luigi Signorini, ha sostenuto in audizione che «è fondamentale non tornare indietro» sul fronte delle riforme pensionistiche. Sul debito pubblico, poi, Signorini ha messo l'accento sul fatto che «le oscillazioni del suo valore esercitano i propri effetti anche sui soggetti italiani, famiglie, imprese e istituzioni finanziarie che lo detengono», avvisando che «andare oltre certi limiti può ridurne la capacità di offrire credito all'economia».Dopo una giornata ad altissima tensione, in serata, in audizione alle commissioni Bilancio di Camera e Senato, arriva anche la bocciatura dei tecnici dell'Ufficio parlamentare di Bilancio: le previsioni di crescita alla base della manovra sono «troppo ottimistiche», e ci sono «forti rischi al ribasso» per la congiuntura debole e le «turbolenze finanziarie». Secondo il regolamento, basta che un terzo dei componenti della commissione (Pd e Fi non vedono l'ora) chieda al governo di tornare Parlamento per attivare il meccanismo del comply or explain.Il ministro dell'Economia potrebbe adeguarsi alle indicazioni dei tecnici, con una revisione al ribasso delle stime di crescita che però imporrebbe di ripensare tutto l'impianto della manovra, oppure spiegare perché intende tenersi fedele ai numeri. Una grana difficile da risolvere<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/chi-dovrebbe-vigilare-e-tutelarli-fa-terrorismo-sui-nostri-risparmi-2611193352.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="dai-conti-di-atene-al-bail-in-i-flop-dei-censori" data-post-id="2611193352" data-published-at="1757817737" data-use-pagination="False"> Dai conti di Atene al bail in: i flop dei censori «Quis custodiet ipsos custodes, chi custodirà i custodi?», si chiedeva quasi 2000 anni fa il poeta latino Giovenale nelle sue Satire. È una domanda che ha senso farsi anche oggi, nel bel mezzo dello stillicidio che le istituzioni europee e italiane stanno attuando nei confronti del nostro governo in seguito alla decisione di «strappare» sul deficit. Un martellamento ininterrotto, che sin da subito si è concentrato sulla cifra della discordia, quel 2,4% sul Pil che l'esecutivo ha deciso di inserire nella Nadef. Il vertice forse si è raggiunto con la letterina recante le firme di Valdis Dombrovskis e Pierre Moscovici, inviata all'esecutivo venerdì scorso. La procedura parla chiaro: la bozza (il cosiddetto Draft budgetary plan) con le tabelle dei conti pubblici e delle misure va inviata a Bruxelles entro il 15 ottobre, a seguito di un passaggio parlamentare. Solo allora la Commissione europea, valutato attentamente il documento, può inviare le opportune valutazioni e, nei casi previsti dai Trattati continentali, aprire se necessario una procedura d'infrazione. La missiva rappresenta perciò un clamoroso fuori procedura, ancora più sconcertante se pensiamo che arriva da un'istituzione che fa del rispetto delle regole uno dei suoi valori fondanti. Per usare una similitudine, l'iniziativa ha la stessa valenza della testa di cavallo piazzata dai mafiosi come avvertimento nei confronti dei nemici. Seguire pedissequamente le istruzioni delle istituzioni gerarchicamente superiori (ma poi è realmente così?) potrà forse servire a evitare noiose e dannose sanzioni, ma non sempre è un atto di fede che dà i frutti sperati. Negli ultimi decenni il curriculum di queste organizzazioni si è arricchito di errori madornali, decisioni scellerate e personaggi imbarazzanti che hanno finito per minarne irrimediabilmente la credibilità. Pensiamo al Fondo monetario internazionale, da sempre grande promotore dell'austerità urbi et orbi. A più riprese gli economisti di Washington hanno dovuto riconoscere di aver toppato sulle conseguenze del rigore dal loro stessi inoculato a Paesi in difficoltà. Significativo il caso dei moltiplicatori (cioè la relazione tra il Pil di un Paese e le politiche fiscali del governo), che l'Fmi ha ammesso di aver erroneamente stimato in più di un'occasione, Grecia in primis. Celebre in questo senso un paper realizzato nel 2012 dal capo economista dell'Fmi, Oliver Blanchard, definito dal Washington Post «uno sbalorditivo mea culpa». Oppure il botta e risposta su Twitter tra Carlo Cottarelli e lo stesso Blanchard, nel quale il primo si vanta di «essere stato tra i primi a notare che i moltiplicatore dal Fmi erano troppo bassi», e il secondo a replicare con un laconico «Carlo is correct». Insomma, ai piani alti l'errore era ben noto, ma in realtà nessuno fece granché per metterci mano. Peccato che a quei numeri in apparenza insignificanti sarebbe rimasto legato il destino di milioni di cittadini europei. Per non parlare degli scandali che hanno investito i più alti dirigenti, il più dirompente dei quali ha riguardato Dominique Strauss Kahn. Se all'estero c'è da piangere, in Italia non ridiamo di certo. Banca d'Italia ieri ha lanciato un severo monito nei confronti della manovra, mettendo in guardia i risparmiatori dai pericoli di un eccessivo indebitamento. Ma la gestione di questi ultimi anni non si può dire abbia brillato per solerzia. Nel corso del mandato di Ignazio Visco abbiamo assistito inerti a una crisi del sistema bancario italiano, con diverse banche fallite, l'introduzione del bail in, l'aumento spropositato dei crediti in sofferenza. Dov'era Via Nazionale, si sono chiesti in molti? L'unico a porre il problema seriamente, paradossalmente, è stato Matteo Renzi, che ha chiesto la testa di Visco, più per guerre personali che per ragioni di merito. Chi custodirà i custodi? Ma forse la domanda giusta da farsi è: chi può credere loro?