2018-08-08
Chi chiese le dimissioni di Mattarella rischia fino a 20 anni di prigione
«Attentare alla libertà del presidente» e «offenderne l'onore e il prestigio», reati per i quali agiscono i pm di Roma, possono costare 15 e 5 anni. Tremano gli autori dei tweet comparsi contro il no del Colle a Paolo Savona.E dopo le offese sul fratello ci sono quattro indagati per istigazione a delinquere. Palermo e altre Procure procedono contro chi sui social scrisse: «Dovevi morire al posto di Piersanti». Osservati altri 39 account.Lo speciale contiene due articoli.Con la scoperta del server milanese usato per creare gli account, la presenza dei troll russi è quasi uscita di scena nella spy story del «Twitter storm» contro il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Ora, però, molti degli internauti che la notte tra il 27 e il 28 maggio - quando al «niet» del capo dello Stato alla candidatura di Paolo Savona a ministro dell'Economia, e dopo che Luigi Di Maio aveva proposto la messa in stato d'accusa del presidente della Repubblica - chiesero su Twitter le dimissioni con l'hashtag #MattarellaDimettiti, tremano. Per loro gli investigatori useranno i metodi con i quali si contrasta il terrorismo. E chiederanno al social network di fornire i dati identificativi che permetteranno di indagarli. Tolto il reato di sostituzione di persona, punito con la reclusione fino a un anno, le altre due ipotesi perseguite dalla Procura di Roma prevedono pene da far tremare i polsi anche ai più incalliti criminali. E c'è chi per un tweet, in astratto, potrebbe beccarsi una condanna pari a quella prevista per alcune ipotesi di omicidio: 20 anni. Da codice penale, l'«attentato alla libertà del presidente della Repubblica», ad esempio, è un reato punito con pene dai cinque ai 15 anni. Non si tratta di una tutela della libertà personale del capo dello Stato, ma si applica nei casi di attentato alla libera manifestazione del pensiero del presidente con atti che gli impedirebbero di svolgere le sue prerogative. E l'ipotesi di reato sulla quale stanno lavorando i magistrati della Procura di Roma prevede proprio questo: facendo diventare virale l'hastag sulle dimissioni di Mattarella per il secco no a Savona, qualcuno potrebbe aver cercato di impedire al presidente di svolgere con serenità le sue funzioni. Il secondo reato ipotizzato dai magistrati di Piazzale Clodio è questo: «offesa all'onore e al prestigio del capo dello Stato», punito con pene da uno a cinque anni. Per incappare in questo reato è sufficiente qualunque espressione che miri a menomare il prestigio del capo dello Stato e diventa irrilevante, poi, accertare se l'offesa sia arrecata al presidente in rapporto all'istituzione che rappresenta o piuttosto alla sua persona, poiché, anche in questa seconda ipotesi, è indubbia l'offesa al decoro di chi è investito della funzione. In più, per configurarsi, questo reato, basta che l'utente Twitter, o chiunque lo commetta con qualsiasi altro mezzo, sia consapevole che l'espressione sia idonea a ledere il rispetto per il presidente. Sarebbe inutile, a questo punto, invocare il diritto di critica. La giurisprudenza ha segnato in modo marcato un limite: il presidente è criticabile, ma non con atti idonei a minarne il decoro e il prestigio. Insomma, è vietato mancargli di rispetto in modo grave. I precedenti ci sono, anche se sono datati. In una sentenza, infatti, si sostiene che il presidente della Repubblica, «stante la particolare dignità della funzione rappresentativa a lui demandata, non può essere offeso nell'onore senza che l'offesa stessa si ripercuota, ledendolo, sul prestigio che, secondo la volontà della legge, espressa con locuzione da taluni ritenuta poco felice, altro non è che quella particolare forma di decoro, che attiene alla dignità della pubblica funzione».Lo ha stabilito la seconda sezione penale della Corte di appello di Roma il 28 ottobre 1965, con la sentenza, famosa per i giuristi, denominata «Libertini», e poi confermata dalla Cassazione l'8 giugno 1966. I giudici furono chiamati a decidere sulla pubblicazione sul giornale Mondo nuovo di una fotografia a corredo di un articolo intitolato «Nel pantano del centrismo», nel quale venivano stigmatizzati i contrasti all'epoca esistenti tra varie correnti della Democrazia cristiana. Nello specifico, la fotografia raffigurava il presidente Antonio Segni nell'atto di baciare la guancia dell'onorevole Amintore Fanfani, che per l'autore intendeva dimostrare i rapporti di amicizia e tradimento tra gli esponenti della Balena bianca. La foto fu ritenuta ingiuriosa. Anzi: «Univocamente ingiuriosa». Perché era seguita da questa didascalia esplicatrice: «Il bacio di Giuda».Altra sentenza: Cassazione penale, prima sezione, 21 novembre 1969. In alcuni opuscoli e in esposti diretti a varie autorità, il presidente Antonio Segni veniva indicato come un traditore della Patria, nonché, in due lettere indirizzate ai presidenti del Senato e della Camera era stato descritto come un «delinquente fuorilegge». La terza sentenza è più vicina negli anni: Cassazione penale, prima sezione, 16 gennaio 1978: sul settimanale Servire il popolo fu pubblicato un articolo dal titolo «Giovanni Leone il reazionario», nel quale si gettavano pesanti ombre sull'onestà e sull'integrità morale dell'allora presidente della Repubblica, affermando che «controllava, tramite il suo studio legale, il mercato ortofrutticolo di Napoli, dominato dalla mafia». All'epoca indagarono magistrati ordinari. Per la difesa di Mattarella, invece, debutta l'antiterrorismo. E c'è da scommettere che difficilmente si vedranno in giro altri post contro il presidente. «Usare l'antiterrorismo per schedare i profili Twitter è vilipendio nei confronti del popolo», chiosa amaramente uno come Francesco Storace, che tempo fa c'è passato, fu indagato e assolto per vilipendio al presidente Giorgio Napolitano.Fabio Amendolara<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/chi-chiese-le-dimissioni-di-mattarella-rischia-fino-a-20-anni-di-prigione-2593681069.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="e-dopo-le-offese-sul-fratello-ci-sono-quattro-indagati-per-istigazione-a-delinquere" data-post-id="2593681069" data-published-at="1758015349" data-use-pagination="False"> E dopo le offese sul fratello ci sono quattro indagati per istigazione a delinquere Dalla Russia alla Sicilia, dal borscht al cannolo. Il tweet storm contro il presidente della Repubblica Sergio Mattarella si sta sempre di più provincializzando e gli amanti dei complotti internazionali rischiano di dover passare dal burattinaio Vladimir Putin ai pupi siciliani. A maggio, quando Mattarella diede l'incarico esplorativo per formare un governo a Carlo Cottarelli, un siculo veraci Manlio C., il barese Michele C., 61 anni, ed Eliodora Elvira Z., 67 anni, originaria della provincia di Varese, ma trapiantata a Bologna, si fecero prendere dalla tastiera e scrissero macabri messaggi su Internet. Come se ne leggono a milioni ogni giorno. Solo che questa volta avevano come obiettivo il Quirinale. Manlio, palermitano, digitò sui social: «Hanno ucciso il fratello sbagliato», facendo riferimento all'omicidio di Piersanti Mattarella, il consanguineo del capo dello Stato freddato dalla mafia nel 1980. Michele C. postò un commento analogo, mentre la signora Eliodora andò oltre e si lanciò in una temeraria minaccia: «Ti hanno ammazzato il fratello, non ti basta?». La signora, una casalinga grillina appassionata di opera lirica aveva già perso la frizione alla notizia della morte di Giulio Andreotti, quando postò sul sito del Fatto quotidiano: «Morto Andreotti, aveva 94 anni, è proprio vero che i buoni e gli onesti muoiono giovani... i corrotti e ladri, vivono a lungo. Ma allora i nostri parlamentari, loro vivranno certamente fino a fino a 100 anni». Da quando Eliodora & c. attaccarono Mattarella sono passati tre mesi e le indagini della Digos di Palermo, coordinate dai pm Marzia Sabella e Gery Ferrara, hanno messo sotto osservazione decine di profili di Facebook e Twitter. Alla fine il cerchio della Procura guidata da Francesco Lo Voi e della Questura diretta da Renato Cortese si è stretto su 39 account. Gli inquirenti hanno inviato a Facebook un ordine di esibizione per provare a collegare quei profili a nomi e cognomi reali. I risultati sono attesi per fine mese e a quel punto potrebbero esserci l'iscrizione di nuovi indagati. Intanto le posizioni di Eliodora Z. e Michele C., residenti in Emilia e in provincia di Bari, saranno stralciate e gli atti che li riguardano inviati alle procure competenti. Nel capoluogo siciliano sono rimasti sotto inchiesta Manlio C. e un altro palermitano, il trentunenne Mirko B. Un omonimo e coetaneo, ad aprile, era stato arrestato dopo un furto in un bar. Addosso aveva una torcia, un ombrello e la somma di circa 30 euro. Forse per questo su Internet ha perso la trebisonda attirando le nuove accuse. Per lui e per gli altri tre indagati, le ipotesi di reato sono quelle di attentato alla libertà e di offesa all'onore e al prestigio del presidente della Repubblica, sanzionate con pene rispettivamente da cinque a 15 anni e da uno a cinque anni di reclusione, a cui va aggiunta l'istigazione a delinquere (che prevede anch'essa da uno a cinque anni). I media a giugno diedero la caccia a Manlio C., il quale venne sottoposto a una gogna mediatica a reti unificate. L'omino, single, 40 anni proprio oggi, non ha certo il physique du rôle del cattivo da film: è pelato, occhialuto, grassotello e porta il borsello. Davanti a telecamere e taccuini l'imprudente odiatore, come venne ribattezzato, si prostrò: «Chiedo scusa a tutti, in primis al presidente Mattarella, poi ai miei familiari, ai miei amici e a tutti quelli che ho offeso con le mie stupide parole». Con il capo cosparso di cenere baciò la pantofola quirinalizia: «Non volevo mancare di rispetto al dolore del presidente e alla sua storia personale; la mafia mi fa schifo e maledico quel momento in cui non ho acceso il cervello. Ero arrabbiato, sì, quando ho saputo che Mattarella non aveva fatto partire il governo Lega-5 stelle, ma questo non giustifica quello che ho scritto». A quel punto ha chiesto terrorizzato ai giornalisti: «Ora finirò in carcere? Potrò avere un avvocato d'ufficio? Perché io non ho molti soldi». Per completare l'autodafé i giornalisti riesumarono un tweet vecchio di quattro anni in cui il nostro gustatore da tastiera aveva lasciato online un commento omofobo contro gli organizzatori del Gay Pride («Via i froci dalla Regione Sicilia»). Anche in tv balbettò le sue scuse: «Riconosco di aver usato parole abbastanza pesanti però alla fine voglio veramente scusarmi. Non che uno va sui social soltanto per odiare ma purtroppo ci sono caduto anche io». La giornalista inviata a rieducarlo a fine intervista gli domandò: «Quindi ha imparato la lezione?». E Manlio C. rispose a capo chino: «Sì». Se il complotto mondiale e il tweetstorm evocato da tanti giornali ha queste avanguardie, il Presidente della Repubblica può dormire sonni tranquilli. Giacomo Amadori
Lo ha dichiarato il presidente del Consiglio europeo in occasione del suo incontro con il premier greco Kyriakos Mitsotakis.
Antonella Bundu (Imagoeconomica)
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