2021-08-03
Che aspetta la Ue a dare i soldi del Recovery?
L'anticipo di 24,8 miliardi tarda ad arrivare sui conti del Mef e giace inutilizzato nelle casse della Commissione. Probabilmente se ne parlerà a metà settembre. Si procede nell'opacità con un accordo che verrà segretato. Forse si attendono le prime riforme. A ben 42 giorni dalla passerella stile Ventennio avvenuta il 22 giugno scorso presso gli studi di Cinecittà tra Ursula von der Leyen e Mario Draghi, non c'è traccia dei soldi del Recovery fund. L'anticipo di 24,8 miliardi, pari al 13% dei complessivi 191,6 miliardi (di cui 68,9 sussidi e 122,6 prestiti) del Dispositivo per la ripresa e la resilienza (Rrf) tarda ad arrivare sui conti del ministero dell'Economia. Stando alle dichiarazioni rilasciate giovedì dalla portavoce dell'esecutivo Ue per l'economia, Veerle Nuyts, questa settimana dovrebbe essere quella buona ma non ha voluto rivelare nulla di più, anche sugli Stati destinatari.Non è possibile ipotizzare che a Bruxelles manchino i fondi per eseguire quel bonifico. Infatti, già a partire dal 15 giugno la Commissione ha avviato un piano di emissione di titoli obbligazionari che hanno trovato un'eccellente accoglienza sui mercati. Sono stati emessi titoli per complessivi 45 miliardi su scadenze da 5 a 30 anni, con tassi mediamente superiori di 30/50 punti base rispetto all'omologo titolo tedesco. I mercati hanno ovviamente fatto festa, vedendosi offrire un rendimento superiore per un rischio uguale a quello tedesco. Infatti il rimborso, anche qualora fallissero tutti gli altri 26 Stati membri, sarebbe comunque coperto dalla quota di garanzia di competenza della Germania (0,6% del Pil). Ormai da diverse settimane, tali somme giacciono inutilizzate sui conti della Commissione ed è necessario capire il perché.Formalmente non c'è alcun ritardo. Infatti il processo che disciplina l'esborso dei fondi del Rrf è come il gioco dell'oca: si avanza di casella in casella e, talvolta, può capitare di fermarsi un giro o, peggio, di ripartire dal via. E siamo proprio in questa fase. Dopo il 22 giugno, quando la Commissione ha annunciato l'esito positivo della sua attività di valutazione del Recovery plan italiano, il 13 luglio il Consiglio Ecofin ha adottato la decisione di esecuzione della proposta della Commissione. Con il piano italiano, ad oggi, sono stati approvati in totale 18 piani nazionali. Ne mancano altri 9, tra cui Polonia e Ungheria che dovranno penare a lungo prima di superare i ricatti della Commissione. Da allora ci sono 60 giorni a disposizione della Commissione per erogare quelle somme. Quindi il bonifico è previsto entro il prossimo 13 settembre. Quei 60 giorni sono stati previsti per un'attività molto delicata: la stipula della convenzione di sovvenzione e dell'accordo di prestito. Con questi veri e propri contratti, si costituisce un impegno giuridico specifico richiesto dall'articolo 23 del regolamento 241 del Rrf. Quindi quest'ultimo non basta, non basta nemmeno la decisione di esecuzione del Consiglio; lo Stato membro deve ulteriormente dettagliare i propri impegni, come se stesse indebitandosi con una banca. Con tanto di contratto e capitolato delle condizioni. L'ennesimo diluvio di burocrazia. Dopo la decisione del 13 luglio, fonti del Mef avevano già dichiarato di essere al lavoro su questi contratti e ne davano per imminente la definizione. Ma il tutto procede nella totale assenza di trasparenza e comunicazione e temiamo che la trasparenza mancherà anche quando tali contratti saranno ufficializzati. Infatti è molto probabile che si ripeta quanto accaduto in occasione della conclusione di un contratto analogo per i 27 miliardi del prestito Sure: parti decisive per la valutazione della convenienza di quel prestito furono segretate e rimasero tali, anche di fronte a richieste specifiche di alcuni europarlamentari. Sarebbe il caso che il ministro Daniele Franco si impegnasse sin d'ora a rendere pubblico sia il processo che ha portato a quei contratti, che il testo definitivo che sarà stipulato con la Commissione. Non vorremmo ritrovarci di fronte a un caso Sure all'ennesima potenza, date le somme in gioco.Se il bonifico non arrivasse questa settimana e slittasse a settembre, dovremmo però cominciare a pensar male, probabilmente azzeccandoci. C'entra qualcosa la contemporanea riforma della Giustizia, proprio in queste ore in discussione alle Camere, con la fiducia posta dal governo? Forse a Bruxelles attendono fatti certi su almeno una delle riforme promesse da Draghi (su fisco e concorrenza il rinvio a settembre è già scontato) prima di pagare, praticamente «in bianco», una somma così rilevante? I successivi pagamenti saranno invece rigidamente condizionati al rispetto di prefissati obiettivi qualitativi-quantitativi, sul cui conseguimento la Commissione eserciterà un rigoroso controllo e non è difficile immaginare rallentamenti e contenziosi. In ogni caso, l'acconto in arrivo sarà dedotto dalle prime rate e, quindi, nella sostanza, questi soldi potrebbero essere i primi e gli unici del 2021.Ma nulla che possa crearci difficoltà. La sostanziale irrilevanza di questi fondi nel quadro complessivo della finanza pubblica del nostro Paese emerge dai dati delle emissioni di titoli del Tesoro nei 12 mesi da luglio '20 a giugno '21. Le emissioni lorde mensili medie sono state pari a 46 miliardi, quasi il doppio dell'anticipo atteso da Bruxelles. Le emissioni nette sono state pari a 144 miliardi, di cui ben 118 nel primo semestre 2021 e soli 26 nel secondo semestre 2020, quando Roberto Gualtieri tirò praticamente i remi in barca.Ma l'aspetto davvero clamoroso, che ci offre le dimensioni del topolino partorito da Bruxelles, è che nello stesso periodo gli acquisti netti di titoli italiani da parte della Bce sono stati pari a 158 miliardi (135 Pepp e 23 Pspp). Insomma la Bce ha dovuto strappare di mano i titoli agli investitori.Se a Bruxelles avessero smarrito l'Iban del Mef, possono fare con calma: in un solo anno la Bce, creando moneta, ha già comprato titoli pari al 83% di quanto loro dovrebbero pagarci in ben cinque anni. Ursula, stai serena.
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