2025-01-16
«Cgil ferma i salari per incendiare il clima»
Luigi Sbarra (Imagoeconomica)
Il segretario della Cisl Luigi Sbarra: «Inconcepibile la decisione di far saltare il rinnovo del contratto della sanità pubblica (600.000 addetti) che garantiva 170 euro in più e la settimana corta. Una scelta che congela i fondi stanziati in manovra per l’accordo 2025-2027».Da lunedì si tratta sugli enti locali, dove però le sigle del «no» superano di poco il 50%. Lo speciale contiene due articoli.La Cisl che ricuce e prova portare a casa i contratti da una parte e la Cgil, ben spalleggiata dalla Uil, che rema contro e dice no a qualsiasi intesa dall’altra. Lo schema, che parte dalla manovra e continua con i referendum, in questi giorni si è ripetuto anche sul tavolo per il rinnovo dell’accordo dei dipendenti pubblici della sanità (circa 600.000 lavoratori) e potrebbe ripresentarsi a breve anche per i circa 400.000 addetti degli enti locali. Facendo purtroppo saltare il banco. Tra i protagonisti di questa stagione difficile delle relazioni sociali c’è il segretario della Cisl, Luigi Sbarra, che a metà febbraio lascerà l’incarico per rispetto dello statuto, ma non per questo si tira indietro rispetto alle sue battaglie.Segretario tra sanità ed enti locali parliamo di 1 milione di lavoratori che si ritroveranno senza aumenti in busta paga. Si rimprovera anche lei qualcosa nelle trattative? «Aver fatto saltare il tavolo di trattativa per il rinnovo del contratto della sanità pubblica è stata una decisione inconcepibile, che tocca direttamente le tasche di chi ogni giorno garantisce il diritto alla salute dei cittadini. Come ha ricordato la nostra categoria il contratto avrebbe assicurato aumenti stipendiali del 7%, pari a oltre 170 euro lordi al mese su 13 mensilità, insieme a ulteriori 90 euro annui pro capite per incrementare i fondi contrattuali. Erano poi stati introdotti importanti strumenti per la sicurezza sul lavoro, come l’obbligo per le aziende di assumersi ogni onere di difesa legale in caso di aggressioni al personale, il riconoscimento del buono pasto in smartworking, l’introduzione sperimentale della settimana corta, la proroga delle progressioni economiche in deroga e nuove tutele per il personale in età avanzata. Mandare all’aria tutto questo per un astratto benaltrismo è stato totalmente irresponsabile». Perché allora Cgil e Uil si sono opposte alla firma? In questo modo resteranno fermi anche i fondi stanziati dal governo per il rinnovo 2025-2027. «Ennesimo tatticismo movimentista. E mi spiace davvero dirlo. È il frutto di un’impostazione antagonistica, che sacrifica e impoverisce i lavoratori e incendia i luoghi di lavoro per alzare il clima sociale e preparare l’ennesimo sciopero politico. Una strategia che si vorrebbe anche mettere al servizio della campagna per il rinnovo delle Rsu in primavera. Staremo a vedere. Resta il mistero di come faranno a giustificare questa diserzione guardando negli occhi lavoratrici e lavoratori. Una scelta che ritarda i negoziati 2025-2027, nega gli arretrati, le indennità e tutte le innovazioni normative conquistate con mesi di lavoro, e scarica sulla pelle di quasi 600.000 addetti un mancato allineamento salariale di migliaia di euro l’anno. Poi magari li sentiremo parlare ancora degli “eroi del Covid”, di persone che stanno nelle corsie degli ospedali ad occuparsi di chi sta male. Queste persone meritano più rispetto». Peraltro Landini boccia la vostra proposta di legge sulla partecipazione dei lavoratori nei luoghi di lavoro, a suo dire distruggerebbe la contrattazione. «È esattamente l’opposto. La nostra proposta di legge sulla partecipazione come hanno scritto importanti giuslavoristi di varia estrazione culturale, valorizza e rafforza il ruolo della contrattazione. È la Cgil che vuole affidare ai partiti le regole sulla rappresentanza e le dinamiche sui salari. Noi vogliamo dare con la partecipazione più potere ai lavoratori nelle scelte delle aziende, e dunque più soldi in busta paga, più sicurezza, qualità e stabilità del lavoro. Ecco perché bisogna accelerare l’approvazione in Parlamento. Questo il senso dell’Assemblea Nazionale che faremo l’11 febbraio a Roma presso l’Auditorium del Massimo. È una sfida che deve unire il Paese, oltre ogni divisione politica». Dietro alle mosse di Landini e Bombardieri ci vede un disegno politico? «Non saprei, di certo vedo grande inerzia e difficoltà a interpretare i cambiamenti del mondo del lavoro, e una propensione a guardare indietro nel tempo, alimentando un conflitto senza sbocchi tra capitale e lavoro, con una concezione del sindacato che strizza l’occhio all’opposizione politica e cavalca e fomenta ogni forma di antagonismo. Una linea che la Cisl non ha storicamente mai condiviso». Secondo lei l’opposizione alla firma di qualsiasi contratto fa parte della strategia della rivolta sociale? «È stata una frase molto infelice. In un Paese che ha visto centinaia di persone colpite negli anni bui del terrorismo nero e rosso, bisogna stare molto attenti, al di là delle intenzioni, a non lanciare parole che poi possono diventare semi di odio e di violenza. Firmare i contratti è il mestiere di un sindacato serio e responsabile, così come lo è negoziare con gli interlocutori politici e istituzionali scelti democraticamente. I lavoratori pagano la loro quota ogni mese per avere una rappresentanza sindacale autonoma, per avere le giuste tutele e i legittimi riconoscimenti economici, non per finanziare surrogati di partiti. Mi fermo qui». Salario minimo: è notizia di queste ore che si va verso annullamento della direttiva Ue. Altra battaglia che vi vedeva contrapposti alla Cgil. «Vedremo quali saranno le novità a livello europeo. Faccio notare che l’Ue aveva già fatto presente che l’Italia è il Paese dove la contrattazione collettiva copre il 97% del lavoro dipendente. Quindi la strada resta per noi quella di estendere e far applicare in tutti i settori i contratti leader. Non abbiamo bisogno di salari fissati per legge, ma di garantire a tutti il giusto contratto che contiene anche altri istituti fondamentali come ferie pagate, tredicesima, welfare integrativo, congedi parentali, tutela della maternita’, conciliazione vita lavoro. Chi punta sul salario minimo legale vorrebbe affidare tutto questo, oltre che i criteri sulla rappresentanza, a una legge decisa dai partiti. E poi magari vorrebbe darci lezione sul valore della contrattazione». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/cgil-ferma-i-salari-2670859719.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="landini-pronto-a-bloccare-gli-aumenti-di-altri-400-000-dipendenti-statali" data-post-id="2670859719" data-published-at="1736972002" data-use-pagination="False"> Landini pronto a bloccare gli aumenti di altri 400.000 dipendenti statali Ma perché Cgil e Uil hanno sposato ormai da mesi una battaglia senza possibilità di ripensamenti contro il rinnovo dei contratti del pubblico impiego? Al di là delle motivazioni politiche, dalla manovra in giù è tutto un susseguirsi di “no” alle proposte del governo Meloni, una copertura di merito c’è. Stringi stringi, i sindacati guidati da Maurizio Landini e Pierpaolo Bombardieri chiedono il recupero integrale (superiore cioè al 15%) dell’inflazione che nel triennio 2022-2024 ha falcidiato il potere d’acquisto degli italiani. Comprensibile. Il problema è che anche il più barricadero dei sindacalisti a un certo punto deve fare i conti con la realtà. E i conti con quello che succede nell’economia del Paese dicono che visto lo stato asfittico della crescita europea - basta guardare a Francia e Germania per capire che in Italia le cose potrebbero andare peggio - e i paletti imposti dal patto di Stabilità, continuare a chiedere il recupero completo del carovita equivale a dire non vogliamo firmare nessun contratto, anche perché i contratti del passato erano stati «accettati» con aumenti decisamente più bassi. E qui veniamo a quello che è successo in questi giorni e che potrebbe ripetersi nel corso della prossima settimana. Lo scorso martedì, infatti, il no di Cgil e Uil, spalleggiate all’ultimo minuto dall’appoggio decisivo degli autonomi del Nursing Up, ha fatto saltare il tavolo per il rinnovo del contratto della Sanità Pubblica. Parliamo di poco meno di 600.000 lavoratori che hanno «perso» aumenti salariali che si sarebbero aggirati intorno al 7% (come detto pari a oltre 170 euro lordi al mese su 13 mensilità) e ulteriori 90 euro annui pro capite per incrementare i fondi contrattuali. Non solo. Perché nel contratto erano previste tutta una serie di tutele che prima la categoria non aveva. Qualche esempio? Era stabilito l’obbligo per le aziende di assumersi ogni onere di difesa legale in caso di aggressioni al personale, venivano riconosciuti il buono pasto in smart working, l’introduzione sperimentale della settimana corta (a orario immutato si lavora fino al giovedì), la proroga delle progressioni economiche in deroga e nuove tutele per il personale in età avanzata.Tutto questo è sfumato, ma la cosa più grave è che Cgil e Uil hanno detto no senza proporre una reale alternativa. Tant’è che Il tavolo per il rinnovo del contratto si è concluso, ma una nuova data per riaprirlo non è stata indicata. Da chiarire che si tratta di giorni, mesi e settimane di retribuzione e diritti che i lavoratori perdono e che difficilmente recupereranno a meno che non arrivi un robusto rilancio, in questo momento irrealistico, da parte dello Stato. E le beffe non finiscono qui. Va anche evidenziato, infatti, che il governo ha già stanziato in manovra le risorse per il rinnovo del prossimo triennio (1,9 miliardi per la sanità), ma fino a quando non verrà rinnovato il contratto del triennio precedente, quei fondi non possono essere toccati. Così come è bene ricordare che i protagonisti del tavolo della sanità ancora adesso si interrogano sul voltafaccia del Nursing Up, uno dei sindacati degli infermieri che fino all’ultimo istante aveva fatto capire di essere pronto a firmare e poi si è sfilato all’improvviso, aggiungendo voti che si sono poi rivelati decisivi alla crociata di Cgil e Uil.Il problema è che lo stesso schema si ripeterà a breve in un altro settore del pubblico impiego dove le speranze di arrivare a un rinnovo del contratto sono ancor più risicate. Parliamo di circa 400.000 dipendenti degli enti locali: Comuni, Regioni, Province, aree metropolitane ecc. Qui la Cgil ha un peso pari al 34,8%, la Uil è al 18,4% e la Cisl arriva al 28,6%. In buona sostanza, non c’è neanche bisogno dell’aiutino di qualche sigla autonoma (come era successo per la sanità) per boicottare l’accordo. La trattativa va avanti da tempo e lunedì è previsto un nuovo appuntamento, ma se l’andazzo è quello visto con la sanità, anche i dipendenti degli enti locali si possono mettere il cuore in pace: i 170 euro mensili di aumento della busta paga e le altre garanzie resteranno scritti sulla sabbia.