2020-01-12
Cercano un nuovo nome per le loro vecchie idee
Se i 5 stelle stanno esplodendo, il Pd si sta sciogliendo. È lo stesso segretario del partito ad annunciarlo. Dopo le elezioni in Emilia Romagna, vero banco di prova per Nicola Zingaretti, cambierà tutto. Dalle pagine di Repubblica viene annunciato un congresso per rifondare la sinistra, aprendo alle sardine, al movimento dei sindaci e agli ambientalisti. Nei piani c'è anche il cambio del nome, che per la sinistra è una vera e propria novità. È infatti da un trentennio, cioè dalla caduta del Muro e dal dissolvimento dell'Unione sovietica, che i compagni provano a rifondarsi e a rinominarsi. Achille Occhetto, per far dimenticare i crimini dei comunisti, decise nel novembre del 1989 di sciogliere il Pci e di fondare il Partito democratico (...)(...) della sinistra. Con la svolta della Bolognina e il camuffamento del partitone rosso in partito riformista, il baffo più sexy della sinistra (di lui resta nella memoria la fotografia del «bacio rivoluzionario» - la definizione è sua - con Aureliana Alberici pubblicata sulla copertina del Venerdì), Occhetto era convinto di poter finalmente conquistare il Paese, anche perché nel frattempo Mani pulite aveva spazzato via gli avversari. Purtroppo la «gioiosa macchina da guerra» - la definizione è sempre dell'ex segretario - finì fuori strada, perché davanti trovò un ostacolo insormontabile di nome Silvio Berlusconi. Da lì in poi sono cominciate le varie rifondazioni comuniste. Non quelle guidate da Fausto Bertinotti, con un partito che strizzava l'occhio all'estrema sinistra (cioè a Nichi Vendola e ai No global di Luca Casarini), ma le altre. Passato di moda Occhetto, ai vertici dell'ex Pci arrivò Massimo D'Alema, che scelse di ribattezzare il Pds. Il nome scelto da Baffino fu semplicemente Ds, ossia Democratici di sinistra. Non si trattò di una grande innovazione, ma sotto la quercia, simbolo del nuovo partito dove la falce e martello vennero sostituiti da una rosa rossa, i compagni speravano di rifiorire. In realtà, il virgulto non si sviluppò granché. Non andò meglio con l'Ulivo, altra pianta decisa a mettere radici al governo del Paese. Dopo un quinquennio di alterne vicende, con quattro governi uno peggio dell'altro, la sinistra che nel 1996, approfittando delle divisioni fra Forza Italia e Lega aveva vinto le elezioni, tornò all'opposizione. Da lì in poi abbiamo assistito a un lungo dibattito sulla nascita di una nuova cosa rossa che avrebbe dovuto contenere tutti i compagni, quelli estremisti e quelli riformisti, ma il piano in realtà non decollò mai. Tra discussioni e divisioni si arrivò al 2007, quando i Ds decisero di unirsi in matrimonio con la Margherita, ossia con gli avanzi della Democrazia cristiana. A guidare l'unione fu chiamato Walter Veltroni, all'epoca sindaco di Roma, ma indeciso se partire per l'Africa oppure coltivare la vena di scrittore e regista da sempre pubblicizzata con l'aiuto di giornali e tv. Finì con Veltroni candidato presidente del Consiglio battuto da Berlusconi, che per la seconda volta fece uscire di strada la gioiosa macchina da guerra della sinistra. Il compagno Walter - che si era presentato con un meraviglioso slogan imparato in America: Yes, we can - resistette ancora un po' alla guida del partito, giusto il tempo di perdere un paio di elezioni regionali, ma poi si dimise, lasciando il posto a Dario Franceschini. Dopo l'attuale ministro della Cultura venne Pier Luigi Bersani, uno che a forza di parlare di mucche in corridoio e tacchini sul tetto riuscì a perdere le elezioni del 2013 e a farsi sbeffeggiare dai grillini in diretta streaming. Passato un anno ed eccoci precipitati nell'era renziana, con un segretario e presidente del Consiglio che prometteva di cambiare l'Italia, ma riuscì a cambiare solo il suo destino di politico di provincia. Tre o quattro anni sull'ottovolante e poi, dopo la parentesi di un segretario orfanello come Maurizio Martina, ecco arrivare il turno di Nicola Zingaretti, il quale, dopo aver subìto l'ennesima scissione, ossia quella di Renzi, che a sua volta aveva subìto quella di Massimo D'Alema, adesso vuole rifondare il partito. Se abbiamo ricordato trent'anni di scissioni e di rifondazioni è solo per dire che nel cambiamento annunciato dal segretario del Pd non c'è nulla di nuovo, ma solo il dibattersi disperato di una sinistra in crisi, che da anni ha perso la direzione e l'identità. Zingaretti propone di cambiare nome per la quarta volta e per tamponare l'emorragia di voti si attacca alle sardine, ai sindaci, agli ambientalisti. Sono trent'anni che sentiamo le stesse cose. Una volta le sardine si chiamavano società civile o girotondi o popolo viola. E il movimento dei sindaci era definito da D'Alema il partito dei cacicchi. Per non dire dei Verdi, che anche trent'anni fa, con Francesco Rutelli e i suoi compagni, dovevano portare nuova linfa alla sinistra. Dopo più di un quarto di secolo, Zingaretti annuncia di voler cambiare tutto confermando ciò che la sinistra ha sempre fatto. Di nuovo alla fine ci sarà solo il nome, ma le idee rimarranno quelle vecchie.
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