2022-09-15
Costruiamo centrali in mezza Europa ma non a casa nostra
La centrale nucleare di Krsko in Slovenia (Ansa)
Esportiamo know-how, le aziende italiane lavorano per rendere più autosufficienti Croazia e Slovenia. Noi compriamo elettricità.Alle porte d’Italia si costruisce per sopperire al fabbisogno energetico. Proseguono i lavori per il completamento dell’impianto coking (Delayed Coking) nella raffineria dell’Ina a Urinj in Croazia, a soli due chilometri da Fiume. L’appalto è affidato all’italiana Kinetics Technology. La struttura dovrebbe essere operativa a inizio 2024. Un investimento da 533 milioni di euro. La raffineria fiumana trasformerà residui pesanti e frazioni di idrocarburi in prodotti più leggeri come benzina, gasolio e gas di petrolio liquefatto portando la produzione annua a quattro milioni e mezzo di tonnellate di carburante e coprendo così l’intero fabbisogno nazionale croato di benzina.Non solo, si produrrà anche il 75-80% del fabbisogno di diesel del Paese. Ci sarà anche la possibilità di esportare qualcosa in Bosnia e Slovenia. In quest’ultima saranno riforniti i circa 170 distributori di carburanti che l’Ina e l’ungherese Mol avevano acquistato l’anno scorso dalla compagnia Omv.Ed è sempre in Slovenia che un’altra importante operazione sta prendendo vita per mano italiana. L’industria siderurgica italiana con Federacciai insieme ad Ansaldo Nucleare prevede il raddoppio della centrale nucleare di Krško, in Slovenia, in cambio di contratti di fornitura di energia elettrica rinnovabile e a prezzi competitivi. Si costruirà un nuovo nucleo da 1.100-1.200 megawatt nella centrale di Krško, impianto da 700 megawatt per il quale la controllata di Ansaldo Energia ha già lavorato negli anni scorsi, e la creazione di una newco partecipata per un terzo dai siderurgici.Un miliardo e 200 milioni l’equity, di cui 400 milioni versati dall’industria siderurgica nazionale, che otterrebbe in cambio, con contratti di fornitura pluriennali, un terzo dell’energia nucleare prodotta. I restanti due terzi del capitale resterebbero in mano alla società pubblica slovena proprietaria dell’impianto. «È un’operazione di sistema perché si muove Federacciai, ma potrebbero muoversi altri settori energivori», dice il presidente della Federazione, Antonio Gozzi, «Ansaldo Energia è un player nazionale controllato da Cdp, Ansaldo Nucleare è un’eccellenza. I siderurgici partono per primi perché sono l’industria maggiormente energivora, ma chimica, carta e cemento hanno esigenze analoghe. Stiamo tutti investendo in decarbonizzazione: solare ed eolico, però, non bastano, serve energia di base. La fonte nucleare è stabile, rinnovabile e garantisce prezzi che permettono di difendere la nostra competitività».La società sarebbe capitalizzata con 1,2 miliardi, la costruzione dell’impianto richiederebbe un investimento di 4-5 miliardi e 5-10 anni di lavoro. La fornitura di energia da nucleare scatterebbe da subito, compatibilmente con le disponibilità slovene. Continua Gozzi: «È un’operazione complessa, ma ci sono i presupposti per procedere all’analisi della fattibilità tecnica».L’Italia, quindi, ha i mezzi tecnici per investire nel settore energetico ma lo fa negli altri Paesi. Acquista già energia da fonte nucleare in Europa, dalla Francia così come dalla Svizzera. «Abbiamo già investito un miliardo», racconta Gozzi. «Con la Francia, un investimento di 460 milioni, abbiamo realizzato 350 megawatt che entreranno in esercizio a fine anno. I 200 megawatt del Montenegro, altri 320 milioni, sono già in esercizio. I 150 megawatt con l’Austria entreranno in esercizio alla fine del prossimo anno». Il piano di Interconnector prevede anche una connessione da 250-300 megawatt con la Slovenia. Martedì, dopo il disco verde del consiglio, Federacciai e Ansaldo firmeranno l’intesa.Insomma, noi diamo il know how e poi compriamo energia dagli altri Paesi. Peccato perché sarebbe bello se si potesse risolvere il problema della crisi energetica limitando le importazioni e rendendoci autosufficienti. In alternativa potrebbe andar bene costruire fuori dal territorio, ma con nostri investimenti e risolvendo con le royalties per cogliere l’opportunità di produrre energia altrove.Nell’Italia dei veti, però, questo non è possibile e mentre il dibattito su trivelle e nucleare rimane infarcito di slogan, siamo costretti ad assistere a grandi opere, fatte con le nostre aziende e le nostre conoscenze, per sostenere il fabbisogno altrui. Con la beffa poi di dover acquistare a prezzo di costo (vertiginosamente alto ultimamente) l’energia di cui abbiamo bisogno.La nota positiva è che con l’operazione slovena il settore siderurgico italiano si assicura una fornitura energetica continua e affidabile. Pulita e a costi contenuti. Il Made in Italy, quindi, non riguarda solo pizza e mandolino e a volte le competenze fanno la differenza, questa volta in un settore strategico. Risolvendo, senza l’aiuto dello Stato che ancora non sa come intervenire, i problemi più urgenti.