2023-11-13
1883: a Milano nasceva la terza centrale termoelettrica al mondo
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La sala macchine della centrale Santa Radegonda di Milano (Getty Images)
Voluta e progettata da Giuseppe Colombo, fondatore della Edison e del Politecnico, l'impianto di via Santa Radegonda arrivò poco dopo quelli di New York e Londra. Portò in Italia la rivoluzione della luce elettrica per uso civile e industriale. La storia e le immagini.La sera di Santo Stefano del 1883 qualcosa di meraviglioso accadde nel Teatro alla Scala di Milano, dove era in programma l’opera di Amilcare Ponchielli «La Gioconda». Il grande lampadario centrale si illuminò di una luce vivida, ben diversa da quella alimentata dal gas. Si trattava del prodigio del secolo, la luce elettrica, e di un primato tutto milanese che permetteva l’alimentazione delle migliaia di lampadine che illuminavano la grande sala settecentesca del Piermarini. A poche decine di metri dalla Scala grandi dinamo a vapore lavoravano incessantemente per produrre l’energia necessaria nella grande sala macchine della prima centrale termoelettrica dell’Europa continentale. L’impianto di Santa Radegonda, dal nome della via dove era sorto in pochi mesi, era stato realizzato grazie ad una cordata di finanziatori uniti da una delle figure di spicco del positivismo scientifico e industriale meneghino, l’ingegnere Giuseppe Colombo. Nato a Milano nel 1836 Colombo, futuro fondatore della Edison, fu tra i promotori del Politecnico nel 1863 e rettore dell’ateneo dal 1897. Consigliere comunale e poi deputato nelle file dei moderati, il docente e imprenditore lombardo arrivò a ricoprire la carica di Presidente della Camera. Volàno della rivoluzione delle fabbriche, l’ingegnere visse gli anni dello sviluppo tecnologico dell’elettricità e delle sue applicazioni civili e industriali in contatto diretto con Thomas Alva Edison, l’inventore della lampadina ad incandescenza. Fu grazie alla fitta corrispondenza tra i due uomini di scienza che il sogno della luce elettrica a Milano poté prendere forma, in particolare dopo l’incontro che Edison e Colombo ebbero in occasione dell’Esposizione internazionale di Parigi nel 1881. Se qualche esperimento era già stato fatto a Milano, come quello del 1877 in cui la piazza del Duomo era stata illuminata da un faro a luce elettrica, la luce pubblica era ancora affidata alle lampade a gas. Colombo aveva anticipato la «sua» rivoluzione con una serie di dimostrazioni, illuminando le vetrine di esercizi pubblici intorno alla Galleria Vittorio Emanuele (come lo storico Caffè Biffi) ricevendo encomi ma anche critiche dagli antimodernisti che bollarono la luce elettrica come innaturale, compresi alcuni medici che la accusarono di essere dannosa. Lungi dal desistere, nel 1881 Colombo serrò le file dei finanziatori con la costituzione nella vicina via Manzoni del «Comitato promotore per l’applicazione dell’elettricità in Italia- sistema Edison». Tra i membri della nuova società i vertici di due grandi istituti bancari: Giuseppe Crespi del Credito Lombardo ed Enrico Rava della Banca Generale. Nei due anni di attività del comitato prese forma il progetto della centrale elettrica di Santa Radegonda, per la cui realizzazione in tempi rapidi Colombo compì un viaggio a New York. Incontrò Edison a Menlo Park, sede della società elettrica, e visitò la centrale cittadina di Pearl Street, che sarà il modello di quella milanese. Negli Stati Uniti l’ingegnere compì i passi più importanti per il futuro della luce elettrica a Milano e in Italia. Acquistò i macchinari che aveva visto in azione nella prima centrale termoelettrica degli Stati Uniti e portò con sé a Milano uno degli storici elettrotecnici di Edison, John William Lieb, l’unico in grado di installare e mettere in esercizio le grandi dinamo a vapore previste per la centrale milanese. Si trattava di due dinamo a corrente continua del tipo detto «Jumbo» in onore del famoso elefante del circo Barnum di New York e di sei macchine motrici a vapore prodotte dalle aziende Porter&Allen e Armington&Sims. Assieme al macchinario fu progettata la prima rete di distribuzione elettrica italiana e del continente europeo, con lavori importanti di interramento dei cavi che dalla centrale avrebbero raggiunto le utenze, tutte inizialmente circoscritte alla zona di piazza Duomo, della Scala e della Galleria Vittorio Emanuele. La centrale prese il posto dello storico teatro di Santa Radegonda, palco dell’operetta e già luogo di dimostrazioni di prodigi della tecnica, tra i quali dal 1819 fu esposto il «Velocimano», un triciclo a forma di cavallo alato mosso dalla forza delle braccia del conducente. I lavori di costruzione della centrale, che cambiò le volumetrie del vecchio teatro, durarono appena cinque mesi. Dopo alcuni adattamenti dei locali per permettere un uso ottimale delle macchine generatrici, iniziarono le prime prove di collaudo, con l’illuminazione di alcuni esercizi della Galleria. I milanesi capirono che l’impianto di Giuseppe Colombo era diventato realtà quando videro il fumo nero della combustione del carbone uscire dalla ciminiera alta 65 metri che si contendeva l’orizzonte della città con le guglie della cattedrale meneghina. La prima centrale termoelettrica italiana era nata, ed era la terza nel mondo. Milano, la città delle fabbriche e della tecnica veniva proiettata nel futuro. I giornali parlarono a lungo dell’impianto e dei suoi prodigi, della luce chiara e ferma garantita dalle lampadine ad incandescenza che fecero dimenticare i primi tremuli bulbi delle lampade alimentate da piccoli generatori. La centrale di Santa Radegonda, durante la prima fase di esercizio, lavorò 24 ore al giorno con le macchine a vapore della potenza compresa dai 120 ai 150 hp e le due dinamo «Jumbo» che garantivano una potenza nominale di 540 Kw, in grado di illuminare 1.200 lampade da 16 candele.Giuseppe Colombo e soci (che l’anno successivo all’inaugurazione della centrale fondarono la società Edison) dovettero lottare per i primi anni di esercizio con interessi già consolidati con l’amministrazione cittadina. Il prezzo dell’elettricità era inizialmente non competitivo rispetto ad altre fonti di illuminazione, per i costi di esercizio e della materia prima, il carbone. Nacque così una guerra tariffaria con l’illuminazione a gas, monopolizzata a Milano dalla società francese «Union des Gaz». Quest’ultima, temendo la progressiva diffusione della luce elettrica e la sua estensione all’illuminazione pubblica, pose numerosi ostacoli alla Edison specie riguardo alle concessioni e ai contratti con il Comune di Milano, limitando così la diffusione della rete elettrica. Colombo non si arrese. Per fare fronte alle prime e non trascurabili difficoltà che minacciavano il «gioiello» Santa Radegonda si lanciò una serie di operazioni che finirono col rafforzare la Edison. Diventò dapprima concessionario delle lampade Edison e avviò la produzione di queste ultime su licenza. Parallelamente all’attività industriale, la società milanese divenne consulente principale per altre città italiane interessate allo sviluppo della luce elettrica. Appoggiato dalla finanza milanese, Colombo apportò continue migliorie tecniche all’impianto di Santa Radegonda, che aumentò notevolmente la potenza di esercizio e la possibilità di estendere la rete distributiva. La svolta decisiva, che sancì la vittoria della luce elettrica sul gas, fu la concessione a Edison dell’elettrificazione e della gestione della rete tranviaria milanese, che abbandonò per sempre la vetusta trazione animale e si sviluppò rapidamente a cavallo dei due secoli. Con l’apporto dei primi impianti idroelettrici (la centrale Bertini sull’Adda) la Edison dominò la scena energetica di Milano e progressivamente di tutta la regione. La centrale di Santa Radegonda, amata e odiata dai milanesi per il fumo nero che anneriva il quartiere e le pareti marmoree del Duomo, rimase in esercizio fino al 1925 quando fu smantellata e sostituita da quello che oltre mezzo secolo più tardi diventerà il primo cinema multisala milanese, l’Odeon.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)