2018-08-07
Cederna e Scalfari, nessuna inchiesta simile
Le due penne di sinistra fecero a pezzi Giovanni Leone e Francesco Cossiga. Ma allora il «tiro al Colle» non venne stigmatizzato. «Al capo dello Stato il compito di esaminare le proposte di Conte, tutte o soltanto alcune, modificarne altre e alla fine dare il via all'incaricato di formare il governo da lui, Conte, presieduto e da Mattarella debitamente accettato», scriveva Eugenio Scalfari lo scorso 27 maggio, giusto prima della notte dei troll. Il 17 novembre 1991, invece, quando al Colle c'era il suo grande amico Francesco Cossiga, il fondatore di Repubblica vergava compunto a proposito di quest'ultimo che «essendo “irresponsabile", nulla di nulla può fare senza la copertura “responsabile" del governo». Insomma: dipende. Come si possa o si debba trattare il presidente della Repubblica dipende da chi c'è al Quirinale. Mentre si attendono gli esiti delle verifiche degli 007 e soprattutto dell'indagine aperta dalla Procura di Roma per attentato alla libertà del capo di Stato, è utile ricordare che il tiro al Colle è sport praticatissimo - anche senza account fasulli - in questo Paese. Forse il caso più clamoroso e noto è quello di Camilla Cederna. La grande giornalista iniziò una campagna martellante, pescando anche da «OP» di Mino Pecorelli, e attribuì all'allora capo di Stato Giovanni Leone un ruolo di primo piano nello scandalo Lockheed. L'azienda americana aveva corrotto alcuni funzionari per «oliare» le commesse in diversi Paesi, tra cui il nostro. Tra i depositari delle mazzette, un politico cui si riferivano con il nomignolo di «Antelope Cobbler». La sua identità è stata a lungo dibattuta, e assegnata qua e là a Giulio Andreotti, Mariano Rumor, Aldo Moro. La Cederna, prima sull'Espresso e poi nel suo bestseller La carriera di un presidente, sostenne che Cobbler fosse Leone. È opinione unanime che il libro, uscito nel 1978 e durissimo contro l'allora capo di Stato (dipinto come un gaffeur imbarazzante che si presentava «pieno di tranquillanti» agli incontri internazionali), abbia avuto un ruolo cruciale nel portare alle dimissioni del presidente (massacrato da comunisti, repubblicani, sindacati e mezza Dc) nel giugno dello stesso anno, aprendo il Colle a Sandro Pertini. Allora non ci furono indagini, se non quella - per diffamazione - seguita alla denuncia dei familiari di Leone (nessuna querela partì dal governo in carica, pur sollecitato). Portò alla condanna definitiva della scrittrice e alla - mai eseguita - distruzione delle copie del volume, ancora oggi diffusissimo. A Leone chiesero scusa i radicali con tempismo, il giorno del suo novantesimo compleanno (nel 1998), riconoscendo che le accuse erano infondate.Tenerissimo fu invece, per anni, Scalfari con Cossiga. «Apprendiamo dalla viva voce di Francesco Cossiga che l'attuale capo dello Stato (sempre lui, ndr) è un “vecchio golpista" che nel 1948 aveva già gravemente violato la Costituzione e abbiamo la spiegazione storica dell'atteggiamento da lui assunto negli anni successivi, dagli “omissis" da lui apposti al piano Solo, alla presenza in massa dei piduisti nel comitato di crisi da lui composto durante il rapimento di Moro e alla testa dei servizi di sicurezza in quello stesso periodo». Con garbo - e senza alcuna inchiesta successiva - il grande giornalista - era il 16 gennaio 1992 - continuava: «Risulta anche finalmente chiara la ragione che ha spinto Cossiga nei mesi scorsi a difendere globalmente Gladio e a cercar di impedire con ogni mezzo a sua disposizione l'accertamento della verità sia da parte della giustizia ordinaria che della giustizia parlamentare». Per concludere: «È tuttora in corso in Parlamento la procedura dell'“impeachment" contro di lui (merito di Achille Occhetto, ndr). Ma emergono a questo punto, per sua stessa e libera ammissione, fatti gravissimi che non possono certo essere liquidati con la solita alzata di spalle democristiana e governativa. Spetta alla magistratura e al Parlamento aprire inchieste immediate sulle dichiarazioni di Cossiga». È il periodo in cui si diffonde la piacevole diceria di un capo di Stato che va in Romania a praticare l'elettrochoc, in cui Giorgio Bocca esprime rammarico per l'impossibilità ad applicargli una museruola. E il medesimo Cossiga sostenne che la proposta di una mozione parlamentare per obbligarlo a sottoporsi a perizia psichiatrica fosse da attribuire ancora una volta a Scalfari.Il quale, e questo è nero su bianco, lo salutò in morte dicendo che aveva una «piattaforma psichica del tutto instabile», mentre da presidente ne scrisse che «ha distorto e violato il dettato costituzionale» per «fini illeciti», e ne chiese le dimissioni per avere «da oltre un anno minacciato il Parlamento nei giorni pari e in quelli dispari di mandarlo a casa» (tutto tra la fine del 1991 e l'inizio del 1992), anche qui dettando la linea al Pds. E senza neppure bisogno di un tweet.
Little Tony con la figlia in una foto d'archivio (Getty Images). Nel riquadro, Cristiana Ciacci in una immagine recente
«Las Muertas» (Netflix)
Disponibile dal 10 settembre, Las Muertas ricostruisce in sei episodi la vicenda delle Las Poquianchis, quattro donne che tra il 1945 e il 1964 gestirono un bordello di coercizione e morte, trasformato dalla serie in una narrazione romanzata.