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2019-02-23
Boom di furti con la fattura elettronica
Fatture elettroniche a rischio hacker. Diversi istituti di credito stanno infatti segnalando casi di frode legati al fatto che ignoti riescono ad accedere alle e-fatture emesse da società e professionisti, modificandone le coordinate bancarie. Proprio per questo le banche hanno iniziato a mandare, ai loro clienti, un'informativa dove si consiglia di verificare direttamente con il beneficiario la correttezza dell'iban, prima di dare l'autorizzazione al pagamento. Gli hacker riescono dunque ad intercettare la fattura elettronica mentre è in transito, dal cliente al fornitore, e a cambiare coordinate bancarie in modo da dirottare la somma su un altro conto corrente. Inoltre, è anche possibile modificare altri dati. Marco Cuchel, presidente dell'Associazione nazionale dei commercialisti, spiega come sia possibile avere accesso a tutte le transazioni che una determinata azienda ha fatto con i suoi fornitori, agli importi e a tutto il resto dei documenti comunicati - o allegati - all'interno di una fattura elettronica, conoscendo il codice fiscale dell'emittente. Se infatti si sa che azienda e fornitore usano lo stesso software per gestire la fatturazione elettronica - e la piattaforma risulta essere non protetta - «si può avere accesso all'elenco delle e-fatture conoscendo il codice fiscale» del soggetto che emette le suddette. In questo modo si ha accesso allo storico delle fatture e a tutti gli altri dati. Si può inoltre decidere di cambiare non solo l'iban, ma anche altre informazioni, che potrebbero danneggiare ulteriormente l'azienda o il fornitore di turno. Questi gap informatici, sottolinea Cuchel, riguardano sicuramente i software a pagamento. Non si ha, al momento, ancora la certezza che il software messo in campo dall'Agenzia delle entrate sia immune agli stessi problemi tecnici o che gli hacker non riescano ad accedere alle fatture elettroniche direttamente dal sistema di interscambio dell'Agenzia delle entrate, anche perché il tutto ruota attorno al problema della privacy.
Gli hacker riescono infatti ad entrare all'interno dei vari sistemi informatici grazie alla presenza di software non protetti dagli attacchi esterni e che non si sono preoccupati di tutelare la privacy dei dati dei clienti. Proprio per questo a fine 2018 il Garante della privacy aveva chiesto all'Agenzia delle entrate delle spiegazioni su diverse criticità che circondavano la fattura elettronica. Erano infatti state evidenziate diverse vulnerabilità in materia di trattamento dei dati personali. «Trasmissione e memorizzazione di una ingente mole di dati non direttamente rilevanti ai fini fiscali, con conseguenze per la tutela della riservatezza, in particolare in merito alle strategie aziendali» riportava la nota.
Le criticità della privacy non si può dire siano state risolte. L'Agenzia delle entrate ha infatti cercato di mettere una toppa al problema della privacy decidendo di memorizzare solo i dati fiscali, senza però arrivare a soluzioni conclusive. Inoltre, più volte, nel 2018 diversi professionisti avevano sottolineato che sarebbe stato meglio prorogare l'entrata in vigore della fattura elettronica, voluta dal governo Gentiloni, perché il sistema paese non risultava essere ancora pronto ad accogliere l'innovazione. L'Associazione nazionale dei commercialisti aveva anche proposto, se proprio si voleva mantenere come data di inizio il 1 gennaio 2019, di procedere per gradi. Iniziare dunque prima dalle società più grandi e consolidate per poi arrivare fino alle piccole e medie imprese. Il governo grilloleghista ha però deciso di continuare sulla strada tracciata da quello precedente e di procedere con l'introduzione della fattura elettronica a inizio 2019. Uno dei motivi che ha spinto l'esecutivo Lega-M5s a non posticipare l'introduzione è stata la speranza di incassare 2 miliardi di euro dalla lotta all'evasione Iva. Somma messa appunto a bilancio dal governo. Da quando la fattura elettronica è però entrata in vigore non sono mancati i problemi e i disservizi. I rallentamenti risultano infatti essere all'ordine del giorno, così come i vari blocchi dei sistemi e i ritardi nella consegna delle e-fatture. Molti esercizi commerciali hanno continuato ad emettere fatture di cortesia, al posto della fattura elettronica, perché non ancora pronti alla novità. E altri hanno inserito un sovrapprezzo per ogni e-fattura che veniva richiesta (benzinai). Alcune case di software hanno inoltre segnato come gli siano arrivate solo nei giorni scorse, fatture emesse a gennaio, a causa di problemi legati al Sistema di interscambio dell'Agenzia delle entrate. E infine, come se non fosse abbastanza, lo stesso sistema di fatturazione elettronica ha reso la vita difficili a imprenditori e professionisti, dato che anche per un semplice errore di battitura (sbagliare un numero o una lettere) si deve rinviare una fattura elettronica allo stesso fornitore. Il risultato? Doppie/triple fatture per uno stesso ordine.
L'hackeraggio dell'iban risulta dunque essere l'ultima di una serie di problematiche che più volte professionisti e il mondo produttivo avevano cercato di segnalare al governo, senza che venissero recepite.
Oltre il 4% delle pratiche sono ancora compilate male
Sono 228 milioni le e-fatture inviate da 2,3 milioni di soggetti, da quando la fattura elettronica è diventata obbligatoria: il 1 gennaio 2019.
Secondo gli ultimi dati pubblicati dall'Agenzia delle entrate il 4,43% degli invii non è andato a buon fine per errori nella compilazione: indicazione di partita Iva errata, codice destinatario errato, fattura duplicata, errore nell'estensione del file, due o più fatture con lo stesso nome. Gli interessati hanno dovuto procedere a una nuova emissione della fattura elettronica, dopo aver inserito i dati corretti.
Sono inoltre state rilasciate circa 7 milioni di deleghe per i servizi del sistema fatture e corrispettivi, di cui 2 milioni tramite gli uffici dell'Agenzia delle entrate e 5 milioni attraverso le altre modalità (area riservata del sito Internet, pec).
Nonostante i vari disservizi e i problemi con la privacy, che hanno contrassegnato tutto il periodo preso in considerazione per l'elaborazione dei dati, l'Autorità fiscale si è dichiarata soddisfatta del risultato ottenuto, dato che le e-fatture risultano essere più che raddoppiate nei primi 18 giorni di febbraio. «Al 31 gennaio», riporta la nota «erano circa 100 milioni le fatture inviate da parte di 1 milione e mezzo di operatori». Mentre nei primi 18 giorni di febbraio ne sono state inviate, stando ai calcoli dell'Agenzia delle entrate, 128 milioni.
Entrando nel dettaglio dei dati, è possibile osservare diversi trend sulla e-fattura, se si prendono in considerazione variabili diverse. Per quanto riguarda i settori produttivi, al primo posto si posiziona il commercio all'ingrosso e al dettaglio-riparazione di autoveicoli e motocicli, con un invio di 55.750.194 fatture elettroniche. Seguito a distanza dal manifatturiero con 20 milioni di fatture trasmesse (20.236.052) e terzo a pari merito, per le attività a noleggio, le agenzie di viaggio e i servizi di supporto alle imprese che hanno superano la soglia dei 10 milioni di file (10.490.684). Fanalino di coda il settore dei trasporti con 7,7 milioni di e-fatture inviate, nel periodo esaminato.
Per quanto riguarda invece la platea degli operatori coinvolti, tra i più attivi, dopo concessionarie e autofficine, troviamo liberi professionisti (338.691), seguiti da costruttori (269.972), manifatture (269.600), agenti immobiliari (142.627), alberghi e ristoranti (121.171).
Se si osservano infine i dati a livello regionale, si nota come viene riproposto il dualismo nord-sud. La prima della classifica, per numero di fatture emesse, risulta infatti essere la Lombardia con oltre 80 milioni di invii (81.180.119), seguita dal Lazio (51.235.686 invii), e dall'Emilia-Romagna (13.524.740). Risultati positivi anche per il Veneto con 12.153.873 invii e il Piemonte con 12.009.929. L'Italia centrale vede la Toscana superare la soglia di 8 milioni di fatture inviate (8.048.074), seguita dalle Marche (3.103.146) e dall'Umbria (1.792.741). Al Sud la Campania fa registrare quasi 7 milioni di invii (6.947.742), seguita da Sicilia e Puglia che hanno inviato rispettivamente: 4.696.895 e 4.344.587 fatture elettroniche. Le associazioni dei commercialisti danno segni d'impazienza e preannunciano proteste: «Alla luce di una condizione divenuta insostenibile le associazioni Adc e Anc, riunite in confederazione, intendono dare seguito alla proclamazione di una astensione colletiva della categoria, avviando le procedure formali previste dallo specifico codice di autoregolamentazione, per il periodo 29 aprile-3maggio 2019».
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Riduci
Molti software per lo scambio di documenti fra le parti presentano vulnerabilità: i pirati informatici riescono a inserirsi nelle transazioni e dirottare le somme sui propri conti correnti. Meglio ricontrollare.Oltre il 4% delle pratiche sono ancora compilate male. Errori su partite Iva e doppi invii: pronto uno sciopero dei commercialisti.Lo speciale comprende due articoli.Fatture elettroniche a rischio hacker. Diversi istituti di credito stanno infatti segnalando casi di frode legati al fatto che ignoti riescono ad accedere alle e-fatture emesse da società e professionisti, modificandone le coordinate bancarie. Proprio per questo le banche hanno iniziato a mandare, ai loro clienti, un'informativa dove si consiglia di verificare direttamente con il beneficiario la correttezza dell'iban, prima di dare l'autorizzazione al pagamento. Gli hacker riescono dunque ad intercettare la fattura elettronica mentre è in transito, dal cliente al fornitore, e a cambiare coordinate bancarie in modo da dirottare la somma su un altro conto corrente. Inoltre, è anche possibile modificare altri dati. Marco Cuchel, presidente dell'Associazione nazionale dei commercialisti, spiega come sia possibile avere accesso a tutte le transazioni che una determinata azienda ha fatto con i suoi fornitori, agli importi e a tutto il resto dei documenti comunicati - o allegati - all'interno di una fattura elettronica, conoscendo il codice fiscale dell'emittente. Se infatti si sa che azienda e fornitore usano lo stesso software per gestire la fatturazione elettronica - e la piattaforma risulta essere non protetta - «si può avere accesso all'elenco delle e-fatture conoscendo il codice fiscale» del soggetto che emette le suddette. In questo modo si ha accesso allo storico delle fatture e a tutti gli altri dati. Si può inoltre decidere di cambiare non solo l'iban, ma anche altre informazioni, che potrebbero danneggiare ulteriormente l'azienda o il fornitore di turno. Questi gap informatici, sottolinea Cuchel, riguardano sicuramente i software a pagamento. Non si ha, al momento, ancora la certezza che il software messo in campo dall'Agenzia delle entrate sia immune agli stessi problemi tecnici o che gli hacker non riescano ad accedere alle fatture elettroniche direttamente dal sistema di interscambio dell'Agenzia delle entrate, anche perché il tutto ruota attorno al problema della privacy. Gli hacker riescono infatti ad entrare all'interno dei vari sistemi informatici grazie alla presenza di software non protetti dagli attacchi esterni e che non si sono preoccupati di tutelare la privacy dei dati dei clienti. Proprio per questo a fine 2018 il Garante della privacy aveva chiesto all'Agenzia delle entrate delle spiegazioni su diverse criticità che circondavano la fattura elettronica. Erano infatti state evidenziate diverse vulnerabilità in materia di trattamento dei dati personali. «Trasmissione e memorizzazione di una ingente mole di dati non direttamente rilevanti ai fini fiscali, con conseguenze per la tutela della riservatezza, in particolare in merito alle strategie aziendali» riportava la nota. Le criticità della privacy non si può dire siano state risolte. L'Agenzia delle entrate ha infatti cercato di mettere una toppa al problema della privacy decidendo di memorizzare solo i dati fiscali, senza però arrivare a soluzioni conclusive. Inoltre, più volte, nel 2018 diversi professionisti avevano sottolineato che sarebbe stato meglio prorogare l'entrata in vigore della fattura elettronica, voluta dal governo Gentiloni, perché il sistema paese non risultava essere ancora pronto ad accogliere l'innovazione. L'Associazione nazionale dei commercialisti aveva anche proposto, se proprio si voleva mantenere come data di inizio il 1 gennaio 2019, di procedere per gradi. Iniziare dunque prima dalle società più grandi e consolidate per poi arrivare fino alle piccole e medie imprese. Il governo grilloleghista ha però deciso di continuare sulla strada tracciata da quello precedente e di procedere con l'introduzione della fattura elettronica a inizio 2019. Uno dei motivi che ha spinto l'esecutivo Lega-M5s a non posticipare l'introduzione è stata la speranza di incassare 2 miliardi di euro dalla lotta all'evasione Iva. Somma messa appunto a bilancio dal governo. Da quando la fattura elettronica è però entrata in vigore non sono mancati i problemi e i disservizi. I rallentamenti risultano infatti essere all'ordine del giorno, così come i vari blocchi dei sistemi e i ritardi nella consegna delle e-fatture. Molti esercizi commerciali hanno continuato ad emettere fatture di cortesia, al posto della fattura elettronica, perché non ancora pronti alla novità. E altri hanno inserito un sovrapprezzo per ogni e-fattura che veniva richiesta (benzinai). Alcune case di software hanno inoltre segnato come gli siano arrivate solo nei giorni scorse, fatture emesse a gennaio, a causa di problemi legati al Sistema di interscambio dell'Agenzia delle entrate. E infine, come se non fosse abbastanza, lo stesso sistema di fatturazione elettronica ha reso la vita difficili a imprenditori e professionisti, dato che anche per un semplice errore di battitura (sbagliare un numero o una lettere) si deve rinviare una fattura elettronica allo stesso fornitore. Il risultato? Doppie/triple fatture per uno stesso ordine. L'hackeraggio dell'iban risulta dunque essere l'ultima di una serie di problematiche che più volte professionisti e il mondo produttivo avevano cercato di segnalare al governo, senza che venissero recepite. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/ce-chi-sa-usare-la-fattura-elettronica-sono-gli-hacker-e-ci-rubano-i-soldi-2629743413.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="oltre-il-4-delle-pratiche-sono-ancora-compilate-male" data-post-id="2629743413" data-published-at="1765470239" data-use-pagination="False"> Oltre il 4% delle pratiche sono ancora compilate male Sono 228 milioni le e-fatture inviate da 2,3 milioni di soggetti, da quando la fattura elettronica è diventata obbligatoria: il 1 gennaio 2019. Secondo gli ultimi dati pubblicati dall'Agenzia delle entrate il 4,43% degli invii non è andato a buon fine per errori nella compilazione: indicazione di partita Iva errata, codice destinatario errato, fattura duplicata, errore nell'estensione del file, due o più fatture con lo stesso nome. Gli interessati hanno dovuto procedere a una nuova emissione della fattura elettronica, dopo aver inserito i dati corretti. Sono inoltre state rilasciate circa 7 milioni di deleghe per i servizi del sistema fatture e corrispettivi, di cui 2 milioni tramite gli uffici dell'Agenzia delle entrate e 5 milioni attraverso le altre modalità (area riservata del sito Internet, pec). Nonostante i vari disservizi e i problemi con la privacy, che hanno contrassegnato tutto il periodo preso in considerazione per l'elaborazione dei dati, l'Autorità fiscale si è dichiarata soddisfatta del risultato ottenuto, dato che le e-fatture risultano essere più che raddoppiate nei primi 18 giorni di febbraio. «Al 31 gennaio», riporta la nota «erano circa 100 milioni le fatture inviate da parte di 1 milione e mezzo di operatori». Mentre nei primi 18 giorni di febbraio ne sono state inviate, stando ai calcoli dell'Agenzia delle entrate, 128 milioni. Entrando nel dettaglio dei dati, è possibile osservare diversi trend sulla e-fattura, se si prendono in considerazione variabili diverse. Per quanto riguarda i settori produttivi, al primo posto si posiziona il commercio all'ingrosso e al dettaglio-riparazione di autoveicoli e motocicli, con un invio di 55.750.194 fatture elettroniche. Seguito a distanza dal manifatturiero con 20 milioni di fatture trasmesse (20.236.052) e terzo a pari merito, per le attività a noleggio, le agenzie di viaggio e i servizi di supporto alle imprese che hanno superano la soglia dei 10 milioni di file (10.490.684). Fanalino di coda il settore dei trasporti con 7,7 milioni di e-fatture inviate, nel periodo esaminato. Per quanto riguarda invece la platea degli operatori coinvolti, tra i più attivi, dopo concessionarie e autofficine, troviamo liberi professionisti (338.691), seguiti da costruttori (269.972), manifatture (269.600), agenti immobiliari (142.627), alberghi e ristoranti (121.171). Se si osservano infine i dati a livello regionale, si nota come viene riproposto il dualismo nord-sud. La prima della classifica, per numero di fatture emesse, risulta infatti essere la Lombardia con oltre 80 milioni di invii (81.180.119), seguita dal Lazio (51.235.686 invii), e dall'Emilia-Romagna (13.524.740). Risultati positivi anche per il Veneto con 12.153.873 invii e il Piemonte con 12.009.929. L'Italia centrale vede la Toscana superare la soglia di 8 milioni di fatture inviate (8.048.074), seguita dalle Marche (3.103.146) e dall'Umbria (1.792.741). Al Sud la Campania fa registrare quasi 7 milioni di invii (6.947.742), seguita da Sicilia e Puglia che hanno inviato rispettivamente: 4.696.895 e 4.344.587 fatture elettroniche. Le associazioni dei commercialisti danno segni d'impazienza e preannunciano proteste: «Alla luce di una condizione divenuta insostenibile le associazioni Adc e Anc, riunite in confederazione, intendono dare seguito alla proclamazione di una astensione colletiva della categoria, avviando le procedure formali previste dallo specifico codice di autoregolamentazione, per il periodo 29 aprile-3maggio 2019».
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La reazione di tanti è però ambigua, come è nella natura degli italiani, scaltri e navigati, e di chi ha uso di mondo. Bello in via di principio ma in pratica come si fa? Tecnicamente si può davvero lasciare loro lo smartphone ma col «parental control» che inibisce alcuni social, o ci saranno sotterfugi, scappatoie, nasceranno simil-social selvatici e dunque ancora più pericolosi, e saremo punto e daccapo? Giusto il provvedimento, bravi gli australiani ma come li tieni poi i ragazzi e le loro reazioni? E se poi scappa il suicidio, l’atto disperato, o il parricidio, il matricidio, del ragazzo imbestialito e privato del suo super-Io in display; se i ragazzi che sono fragili vengono traumatizzati dal divieto, i governi, le autorità non cominceranno a fare retromarcia, a inventarsi improbabili soluzioni graduali, a cominciare coi primi distinguo che poi vanificano il provvedimento? E poi, botta finale: è facile concepire queste norme restrittive quando non si hanno ragazzini in casa, o pretendere di educare gli educatori quando si è ben lontani da quelle gabbie feroci che sono le aule scolastiche! Provate a mettervi nei nostri panni prima di fare i Catoni da remoto!
Avete ragione su tutto, ma alla fine se volete tentare di guidare un po’ il futuro, se volete aiutare davvero i ragazzi, se volete dare e non solo subire la direzione del mondo, dovete provare a non assecondarli, a non rifugiarvi dietro il comodo fatalismo dei processi irreversibili, e dunque il fatalismo dei sì, perché sono assai più facili dei no. Ma qualcosa bisogna fare per impedire l’istupidimento in tenera età e in via di formazione degli uomini di domani. Abbiamo una responsabilità civile e sociale, morale e culturale, abbiamo dei doveri, non possiamo rassegnarci al feticcio del fatto compiuto. Abbiamo criticato per anni il pigro conformismo delle società arcaiche che ripetevano i luoghi comuni e le pratiche di vita semplicemente perché «si è fatto sempre così». E ora dovremmo adottare il conformismo altrettanto pigro, e spesso nocivo, delle società moderne e postmoderne con la scusa che «lo fanno tutti oggi, e non si può tornare indietro». Di questa decisione australiana io condivido lo spirito e la legge; ho solo un’inevitabile allergia per i divieti, ma in questi casi va superata, e un’altrettanto comprensibile diffidenza sull’efficacia e la durata del provvedimento, perché anche in Australia, perfino in Australia, si troveranno alla fine i modi per aggirare il divieto o per sostituire gli accessi con altri. Figuratevi da noi, a Furbilandia. Ma sono due perplessità ineliminabili che non rendono vano il provvedimento che resta invece necessario; semmai andrebbe solo perfezionato.
Il problema è la dipendenza dai social, e la trasformazione degli accessi in eccessi: troppe ore sui social, e questo vale anche per gli adulti e per i vecchi, un po’ come già succedeva con la televisione sempre accesa ma con un grado virale di attenzione e di interattività che rende lo smartphone più nocivo del già noto istupidimento da overdose televisiva.
Si perde la realtà, la vita vera, le relazioni e le amicizie, le esperienze della vita, l’esercizio dell’intelligenza applicata ai fatti e ai rapporti umani, si sterilizzano i sentimenti, si favorisce l’allergia alle letture e alle altre forme socio-culturali. È un mondo piccolo, assai più piccolo di quello descritto così vivacemente da Giovannino Guareschi, che era però pieno di umanità, di natura, di forti passioni e di un rapporto duro e verace con la vita, senza mediazioni e fughe; ma anche con il Padreterno e con i misteri della fede. Quel mondo iscatolato in una teca di vetro di nove per sedici centimetri è davvero piccolo anche se ha l’apparenza di portarti in giro per il mondo, e in tutti i tempi. Sono ipnotizzati dallo Strumento, che diventa il tabernacolo e la fonte di ogni luce e di ogni sapere, di ogni relazione e di ogni rivelazione; bisogna spezzare l’incantesimo, bisogna riprendere a vivere e bisogna saper farne a meno, per alcune ore del giorno.
La stupida Europa che bandisce culti, culture e coltivazioni per imporre norme, algoritmi ed espianti, dovrebbe per una volta esercitarsi in una direttiva veramente educativa: impegnarsi a far passare la legge australiana anche da noi, magari più circostanziata e contestualizzata. L’Europa può farlo, perché non risponde a nessun demos sovrano, a nessuna elezione; i governi nazionali temono troppo l’impopolarità, le opposizioni e la ritorsione dei ragazzi e dei loro famigliari in loro soccorso o perché li preferiscono ipnotizzati sul video così non richiedono attenzioni e premure e non fanno danni. Invece bisogna pur giocare la partita con la tecnologia, favorendo ciò che giova e scoraggiando ciò che nuoce, con occhio limpido e mente lucida, senza terrore e senza euforia.
Mi auguro anzi che qualcuno in grado di mutare i destini dei popoli, possa concepire una visione strategica complessiva in cui saper dosare in via preliminare libertà e limiti, benefici e sacrifici, piaceri e doveri, che poi ciascuno strada facendo gestirà per conto suo. E se qualcuno dirà che questo è un compito da Stato etico, risponderemo che l’assenza di limiti e di interesse per il bene comune, rende gli Stati inutili o dannosi, perché al servizio dei guastatori e dei peggiori o vigliaccamente neutri rispetto a ciò che fa bene e ciò che fa male. È difficile trovare un punto di equilibrio tra diritti e doveri, tra libertà e responsabilità, ma se gli Stati si arrendono a priori, si rivelano solo inutili e ingombranti carcasse. Per evitare lo Stato etico fondano lo Stato ebete, facile preda dei peggiori.
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Riduci
Ecco #DimmiLaVerità dell'11 dicembre 2025. Con il nostro Fabio Amendolara commentiamo gli ultimi sviluppi del caso Garlasco.
L'amministratore delegato di SIMEST Regina Corradini D’Arienzo (Imagoeconomica)
SIMEST e la Indian Chamber of Commerce hanno firmato un Memorandum of Understanding per favorire progetti congiunti, scambio di informazioni e nuovi investimenti tra imprese italiane e indiane. L'ad di Simest Regina Corradini D’Arienzo: «Mercato chiave per il Made in Italy, rafforziamo il supporto alle aziende».
Nel quadro del Business Forum Italia-India, in corso a Mumbai, SIMEST e Indian Chamber of Commerce (ICC) hanno firmato un Memorandum of Understanding per consolidare la cooperazione economica tra i due Paesi e facilitare nuove opportunità di investimento bilaterale. La firma è avvenuta alla presenza del ministro degli Esteri Antonio Tajani e del ministro indiano del Commercio e dell’Industria Piyush Goyal.
A sottoscrivere l’accordo sono stati l’amministratore delegato di SIMEST, Regina Corradini D’Arienzo, e il direttore generale della ICC, Rajeev Singh. L’intesa punta a mettere in rete le imprese italiane e indiane, sviluppare iniziative comuni e favorire l’accesso ai rispettivi mercati. Tra gli obiettivi: promuovere progetti congiunti, sostenere gli investimenti delle aziende di entrambi i Paesi anche grazie agli strumenti finanziari messi a disposizione da SIMEST, facilitare lo scambio di informazioni e creare un network stabile tra le comunità imprenditoriali.
«L’accordo conferma la volontà di SIMEST di supportare gli investimenti delle imprese italiane in un mercato chiave come quello indiano, sostenendole con strumenti finanziari e know-how dedicato», ha dichiarato Corradini D’Arienzo. L’ad ha ricordato che l’India è tra i Paesi prioritari del Piano d’Azione per l’export della Farnesina e che nel 2025 SIMEST ha aperto un ufficio a Delhi e attivato una misura dedicata per favorire gli investimenti italiani nel Paese. Un tassello, ha aggiunto, che rientra nell’azione coordinata del «Sistema Italia» guidato dalla Farnesina insieme a CDP, ICE e SACE.
SIMEST, società del Gruppo CDP, sostiene la crescita internazionale delle imprese italiane – in particolare le PMI – lungo tutto il ciclo di espansione all’estero, attraverso export credit, finanziamenti agevolati, partecipazioni al capitale e investimenti in equity.
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