2022-09-19
Dopo gli scontri tra Armenia e Azerbaigian ora si contano i morti
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Blindati azeri a Lachin (Getty Images)
Le stime parlano di oltre 200 soldati deceduti. E Vladimir Putin e Recep Tayyip Erdogan non possono intervenire ma solo offrire supporto politico e diplomatico.A una settimana dai sanguinosi scontri al confine tra Armenia e Azerbaigian si contano i morti. L'Armenia ha dichiarato che il numero dei suoi soldati deceduti negli scontri è salito ad almeno 135. Lo ha detto il primo ministro armeno Nikol Pashinyan durante una riunione di gabinetto: «Purtroppo non è la cifra definitiva. Ci sono anche molti feriti», molti dei quali in gravissime condizioni. I due paesi si accusano reciprocamente di aver scatenato l’offensiva (la peggiore dalla tregua del 2020 imposta dai russi) ma se analizziamo i fatti è quasi certo che a muovere per primi siano stati gli azeri, visto che l’attacco su vasta scala è avvenuto in territorio armeno, ed in particolare nelle città di Goris, Sotk e Djermouk, con bombardamenti sia sulle infrastrutture militari che civili, utilizzando anche i micidiali droni di fabbricazione turca e artiglieria. La risposta armena non si è fatta attendere e sono stati colpiti i distretti azeri di Dashkesan, Kelbajar e Lachin. Non appena sono iniziati gli scontri la comunità internazionale si è attivata affinché venisse proclamata una tregua, che seppur violata con reciproche provocazioni, sembra reggere pur restando fragilissima. A tal proposito il segretario di Stato americano Antony Blinken ha dichiarato: «Accogliamo con favore la cessazione delle ostilità tra Azerbaigian e Armenia. Gli Stati Uniti restano impegnati a promuovere un futuro pacifico e prospero per la regione del Caucaso meridionale». Il Presidente russo Vladimir Putin, garante della pace del 2020, ha parlato più volte in questi giorni con Nikol Pashinyan, il premier armeno che lo ha costantemente aggiornato sulla situazione, e con il ministro della difesa armeno Suren Papikyan, che è rimasto in contatto con l’omologo russo Sergei Shoigu per poter prendere le misure necessarie per stabilizzare la situazione nel Caucaso meridionale. Aldilà della parole la Russia non può fare molto, perché l’andamento della guerra in Ucraina non gli consente certo di aprire nuovi fronti. Anzi. In ogni caso il rappresentante della missione permanente dell’Armenia presso l’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva (Csto) ha richiesto una sessione speciale del Consiglio permanente della Csto per informare i paesi membri (Federazione Russa, Kazakhstan, Kyrgyzstan, Tajikistan, Bielorussia) su quanto sta accadendo al confine armeno-azero sottolineando il fatto che l’aggressione dell’Azerbaigian minacci la sovranità territoriale dell’Armenia. A proposito della Csto c’è una notizia che circola da giorni: il Kazakistan avrebbe deciso di uscire dall’Organizzazione. Perché una decisone di questo tipo? Secondo il ricercatore dell’Itss Verona, Francesco Cirillo, «se la notizia venisse confermata, dopo le prime indiscrezioni che sono giunte e che sono state smentite dal governo kazako, significherebbe che Pechino sta già costruendo il post conflitto, puntando a sostituire il ruolo di Mosca come garante della sicurezza politico-militare in Asia centrale. Si pensava che dopo l’intervento della Csto a gennaio 2022 per sopprimere le rivolte nel paese centro-asiatico Mosca avesse consolidato la presa politica sul Kazakistan; ma il conflitto ucraino ha cambiato le carte. Come il Kazakistan molti paesi dell'Asia Centrale stanno osservando le sconfitte di Mosca. La guerra ha mostrato che in futuro Mosca, che uscirebbe di fatto indebolita, potrebbe non ricoprire un forte ruolo di protettore militare della regione e per questo gli stati della regione potrebbero valutare di rivolgersi a Pechino. Per Putin, visto che considera una questione di sopravvivenza la guerra contro Kiev, ciò sarebbe un piccolo prezzo da pagare, ma al lungo termine l'asse russo-cinese rischia di spostarsi in favore della Repubblica popolare cinese e sulla Sco, indebolendo la Csto e l'influenza russa sulla regione centro-asiatica».La Russia che non c’è e il tempismo degli azeriNonostante Mosca sia storicamente sempre stata vicino all’Armenia, Vladimir Putin non può andare oltre al supporto politico-dipomatico quale unico strumento di risoluzione della crisi. Se i russi si schierassero con Yerevan la situazione potrebbe sfuggire di mano e trasformare l’attuale crisi in una seconda guerra dopo quella con l’Ucraina. La Russia quindi non può agire perché impantanata da ormai sette mesi in un conflitto che la vede perdere di continuo posizioni. Ma l’Azerbaigian ha agito d’impulso oppure ha pianificato l’attacco? Per l’analista di Opinio Juris Valentina Chabert: «Secondo numerosi analisti, potrebbe non aver lasciato al caso la scelta temporale entro cui sferrare l’attacco ai vicini armeni: in questa prospettiva, il presidente Aliyev avrebbe cercato di cogliere l’opportunità di una Russia distratta dal conflitto in Ucraina e, al contempo, la forza dell’onda avversiva globale contro Mosca, con cui Yerevan è formalmente alleata. Ma non solo: la guerra sul fronte dell’Est sembra favorire l’Azerbaigian anche sul piano strategico, in quanto Paese chiave per le rotte di transito della Russia ed i collegamenti con Iran e Asia, che consentono a Mosca di sfuggire dall’ormai consolidato isolamento occidentale».Il ruolo di Ankara Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha dichiarato mercoledì scorso alla Reuters che l'atteggiamento dell'Armenia nei confronti dell'Azerbaigian è inaccettabile e avrà delle conseguenze: «Troviamo che la situazione che si è verificata a causa della violazione dell'accordo da parte dell'Armenia raggiunto dopo la guerra (2020) che ha portato alla vittoria dell'Azerbaigian sia inaccettabile». Più esplicito il suo consigliere e portavoce, Ibrahim Kalin, che ha ammonito l'Armenia: «Dovete abbandonare l'approccio aggressivo e provocatorio mentre i negoziati sono in corso. Pace e stabilità possono essere raggiunte solo attraverso l'integrità territoriale dell'Azerbaigian», che secondo Ankara è il riconoscimento del Nagorno Karabakh come parte integrante dell'Azerbaigian. Muscolari invece le dichiarazioni del ministro della Difesa turco Hulusi Akar: «La Turchia continuerà a sostenere l'Azerbaigian nelle proprie giuste rivendicazioni», mentre il ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu ha accusato l'Armenia di aver devastato e minato i territori abbandonati: «La Turchia è e sarà al fianco di Baku ed è chiaro al mondo e all'Armenia che il processo di normalizzazione non può andare avanti a prescindere dal Nagorno Karabakh». Fin qui le dichiarazioni di principio, tuttavia Erdogan, che con l’attivismo internazionale prova a nascondere la peggiore crisi economica in Turchia degli ultimi 20 anni, ha le mani legate e necessita di non creare nuove fratture con gli Stati Uniti e con l’Unione Europea. Quell’accordo tra l’Europa e l’AzerbaigianIl 18 luglio la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen si è recata nella capitale azera Baku dove ha siglato un importante accordo tra l’Ue e lo stato caucasico per un aumento a dir poco importante, entro il 2027, delle forniture di gas naturale dall'Azerbaigian. In un tweet la presidente dell’Ue aveva scritto: «L’Ue si sta rivolgendo a fornitori di energia più affidabili. Oggi sono in Azerbaigian per firmare un nuovo accordo. Il nostro obiettivo è raddoppiare la fornitura di gas dall'Azerbaigian all'Ue in pochi anni. L'Azerbaigian sarà un partner fondamentale per la nostra sicurezza di approvvigionamento e per il nostro cammino verso la neutralità climatica». Durante la conferenza stampa Ursula von der Leyen ha anche dichiarato: «Con questo protocollo d'intesa ci impegniamo a espandere il Corridoio meridionale del gas: si tratta già di una via di approvvigionamento molto importante per l'Ue, che fornisce attualmente 8,1 miliardi di metri cubi di gas all'anno. Espanderemo la sua capacità a 20 miliardi di metri cubi all'anno in pochi anni. A partire dal 2023 dovremmo già raggiungere i 12 miliardi di metri cubi. L'intesa aiuterà a compensare i tagli alle forniture di gas russo. E contribuirà in modo significativo alla sicurezza degli approvvigionamenti in Europa». Con lei in un clima di festa c’era il leader dell’Azerbaigian Ilham Aliyev, al potere dal 2003 dopo 10 anni di governo di suo padre Heydər. I dati ufficiali delle elezioni del 15 ottobre 2003 avevano assegnato la vittoria a Ilham Aliyev con il 76,84 dei suffragi ma il voto venne contestato dalle opposizioni che si rifiutatarono di accettare il risultato elettorale accusando il clan Aliyev di brogli elettorali. Il voto era stato criticato anche dall’Ocse che aveva rivelato evidenti irregolarità nel conteggio e nella registrazione dello scrutinio dei voti mentre durante la campagna elettorale c’erano stati numerosi episodi di intimidazioni e di pressioni sui votanti e la violazione delle leggi elettorali. Inoltre Human Rights Watch aveva denunciato il fatto che la campagna elettorale di Ilham Aliyev era stata pagata attingendo dalle casse del governo, oltre al fatto che l’intera Commissione elettorale centrale e le commissioni elettorali locali erano tutte in mano ai suoi sostenitori, mentre alle organizzazioni non governative non era stata data nessuna possibilità di verificare la regolarità delle operazioni di voto. İlham Aliyev era stato poi rieletto nel 2008 con l'87% dei voti e nel 2013 con l'85% dei consensi sempre nel medesimo clima e dubbi.Sono stati molti i giornalisti perseguitati dal regime per le loro critiche, uno su tutti Eynulla Emin oglu Fatullayev, caporedattore del settimanale indipendente in lingua russa Realny Azerbaijan e del quotidiano in lingua azera Gündəlik Azərbaycan, arrestato nel 2007 e condannato a quattro anni di carcere. L’intesa sul gas tra Baku e Bruxelles è stata criticata da numerose organizzazioni umanitare internazionali che hanno più volte segnalato nel corso degli anni le continue violazioni dei diritti sociali, politici e umanitari nel Paese. Secondo il Democracy index dell'Economist quello di Baku «è un regime autoritario che lo piazza al 141° posto su 167 paesi analizzati per lo stato delle democrazia». Evidente quindi che con la firma dell’accordo sul gas con l’Ue, e la Turchia al suo fianco, l’Azerbaigian abbia deciso di rompere gli indugi per chiudere l’eterna partita del conflitto azero-armeno e i segnali si erano visti nell’agosto scorso quando a nemmeno un mese dalla firma degli accordi sul gas l'esercito di Baku, che utilizza i micidiali droni turchi T2, aveva ripreso il controllo della città di Lachin e dei villaggi vicini di Zabukh e Sus. Quella di tagliare il corridoio che collega l'Armenia con il Nagorno Karabakh era apparsa subito una manifesta violazione degli accordi del 2020 che sono arrivati dopo il conflitto che ha provocato oltre 6.500 vittime. Ora la tregua sembra tenere ma nessuno è in grado di dire fino a quando durerà.