2023-10-14
Il casoncello è il raviolo più antico d’Europa
Stando alle ultime ricerche, fu inventato prima dell’anno Mille in terra orobica. Preparato per celebrare una nascita o per consumare un delitto, originariamente era ripieno soltanto di formaggi e avanzi. Il benessere in seguito ha permesso di farcirlo pure con la carne.L’insospettabile medagliere gastronomico di Bergamo è un percorso di continua scoperta. Dopo aver viaggiato per le valli orobiche che la portano a essere considerata capitale italiana dei formaggi e preso atto che la stessa Unesco l’ha premiata come «Città creativa per la gastronomia» assieme a Parma e Alba, era lecito illudersi che con i casoncelli, la variante locale della pasta ripiena, la bandiera a scacchi del percorso culinario bergamasco fosse dietro l’angolo. E invece no. Altro giro di pista per altre storie golose che aspettano solo chi le vada a raccontare, spesso ben radicate, ma anche circoscritte alle comunità locali.Partiamo da una premessa. La pasta è l’indubbio orgoglio del made in Italy nel mondo, con le sue varianti. Come ben ricorda Irene Foresti, mentre al Sud prevale la coltivazione del grano duro con conseguente preparazione di spaghetti e maccheroni, al Nord la granaglia è più tenera e, lavorata a dovere, sforna pasta fresca (bigoli o tagliatelle) o ripiena.Tra Bergamo e Brescia esiste una storica rivalità in merito alla paternità dei casoncelli. Le fonti storiche intrecciano con tradizioni e leggende in un gomitolo gastroarchivistico difficile da sbrigliare. Ci soccorre ancora la Foresti: «Il casoncello è un raviolo declinato in innumerevoli fogge intessutosi a livello microlocale in modo talmente radicato che cercare di definirlo in modo univoco è tanto arduo, quanto azzardato e difficile». Certamente Bergamo, grazie alla maggiore varietà del territorio con le sue valli, è naturale serbatoio di un ventaglio di «cuginerie casoncelle» molto curiose e golose.Come in ogni bella storia si parte dalle origini, dalle radici di un albero genealogico ricco di molti pastosi frutti... ripieni. Tradizione vuole che la prima citazione storica sia targata 13 maggio 1386, quando i bergamaschi vollero festeggiare la caduta di Bernabò Visconti e salutare l’arrivo del liberatore Gian Galeazzo Visconti. Vennero servite «cento torte e trecento taglieri con gnocchi di pane e casoncelli». Sulla base di questa tradizione, da anni a Bergamo il 13 maggio si svolge «De casoncello», una jam session eclettica tra musica, cultura e degustazioni assortite dedicata ecumenicamente alle paste ripiene bergamasche.Ma c’è chi ha sparigliato quelle che sembravano certezze inossidabili. Nel 2020 la storica Silvia Tropea Montagnosi, dopo una attenta ricerca nei meandri dell’archivio storico diocesano, scoprì un documento, risalente al 1187, dove erano riportati gli atti del De matricitate, ovvero della maternità, chiesa madre ecclesiastica, relativa ai diritti e privilegi delle due maggiori pievi di allora, San Vincenzo e Sant’Alessandro. Non si trattava solo di gestione di anime, ma anche di cose più materiali. Papa Urbano III nominò responsabile delle indagini il cardinale veronese Adelardo. Dalle diverse testimonianze raccolte ne emerse una, di tale Avostano. In sostanza, in occasione della Pasqua, ogni anno il vescovo locale era tenuto a offrire un pranzo alla comunità di Sant’Alessandro in onore di un benefattore, il conte Attone di Lecco che già nel 975 aveva lasciato alla pieve di Sant’Alessandro i proventi della sua tenuta di Almenno. Da lì la tradizione di preparare ogni anno «farina e uova per fare ravioli». Ravioli giunti a noi, dalla forma quadrata, le carni di agnello o capretto, un tempo soprattutto montone; i sentori di spezie, ovvero pepe e noce moscata.Ecco allora che il raviolo più antico d’Europa si può legittimamente attribuire alla terra bergamasca. L’evoluzione in casoncello conseguente. Casoncelli non solo frutto di generosità o legati a tradizioni via via sempre più radicate, ma anche tresca degna di pericolose vendette amorose. In un racconto di Castello Castelli si narra come, a fine del XIV secolo, una coppia rurale avvelenò un contadino con dei casoncelli resi letali da un mix di tossine nel ripieno, agendo su commissione di un compaesano che temeva una tresca tra il contadino playboy e la di lui consorte. Jacopo Melga, nel 1471, per rendere l’idea dello strame che andava compiendo l’epidemia di peste, scrisse: «I morti li buttavano sui sagrati, messi uno sopra l’altro come si fa con li casoncelli». Usciamo dall’orrido ed entriamo nell’età romantica, quella delle madeleine senza tempo, in questo caso a trazione casoncella. Lo fa il brembano Pietro Ruggeri da Stabello, tra i massimi poeti a dimensione locale: «Nei giorni della mia nascita c’erano tanti di quei casoncelli, anche in cantina, grandi che sembravano delle caprette di pasta, quasi come se avessero dovuto metterli nella carriole» prima di servirli al tavolo. Casoncelli anche nella prosa di Antonio Fogazzaro, pubblicati in Daniele Cortis, uscito nel 1885. Si narra del senatore bergamasco Clenezzi il quale, trattenuto a Roma dal ruolo istituzionale, quando «gli ribolliva il sangue» di nostalgia orobica andava a placare il tutto alla tavola di un oste amico e compatriota che lo consolava con fumanti casoncelli.Non fu vita facile quella dei casoncelli. Ignorati da Pellegrino Artusi, il primo a descrivere la varietà gastronomica del neonato Stato unitario con il suo La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene. Così come Carlo Steiner, autore de Il ghiottone lombardo, che li descrive senza nominarli: «Stranezze per stranezze, a Bergamo costruiscono delle curiose caramelle che hanno sapore strano ed esigono una notevole capacità di adattamento palatale». Chissà mai se lo aveva letto Gino Veronelli, meneghino che scelse Bergamo quale sede elettiva, il quale festeggiava le vittorie della sua Atalanta con golosi piatti di casoncelli. Il riscatto del raviolo orobico arriva nel 1931, con l’uscita della prima Guida d’Italia edita dal Touring Club: «È il piatto popolare dei pranzi nuziali e delle grandi occasioni». Una sorta di miseria e nobiltà in chiave nordista, quella del casoncello, come ben descritto da Antonio Carminati, direttore del Centro studi Valle Imagna. «È l’espressione vivace e creativa della tavola contadina, quella degli avanzi divenuti poi leccornia».Fino al XIX secolo il ripieno era prevalentemente a base di formaggi e altri avanzi della dispensa, grazie all’arte popolare del riciclaggio. I casoncelli a trazione carnivora sono arrivati dopo, grazie al benessere via via più diffuso. Un gioco di assemblaggio culinario, in bilico tra sfamare la quotidianità e soddisfare i sensi, ben descritto da Corrado Barberis, tra i più autorevoli studiosi e testimoni della sociologia rurale. «Fu la molle tenerezza del ripieno a cercare la protezione della sfoglia, o l’imperialismo di costei ad annettersi una preda così ghiotta?». Serve la prova su strada, anzi del piatto, non prima di aver citato la notevole funzione di aggregazione che nasce dalla lavorazione dei casoncelli tanto che, da sempre, più che l’ingrediente culinario, quello più importante era la manualità di chi provvedeva alla sua preparazione.Molti sono ancora, adesso, i gruppi di «casoncello solidale» che si riuniscono nelle case per preparare queste coccole golose da regalare poi a parenti o amici. Per le sfogline la lavorazione del casoncello passa per tre fasi. Quella del «sole», ovvero il tondo della pasta che racchiude l’impasto, cui segue quella della «luna», ovvero la forma che assume la pasta una volta ripiegata. Si vola alto, verso la pentola in calore, con le «ali d’uccello», ovvero la forma leggermente schiacciata con le punte all’insù «per lasciarsi avvolgere dal condimento di burro e salvia e sprigionare tutto il gusto che lo rende unico»
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.