La Commissione stima 275 miliardi di investimenti all’anno per riqualificare gli immobili. I numeri non tornano: solo da noi previste spese per 60 miliardi, ma con il debito del Superbonus (122 miliardi) abbiamo ristrutturato appena il 4% degli edifici.
La Commissione stima 275 miliardi di investimenti all’anno per riqualificare gli immobili. I numeri non tornano: solo da noi previste spese per 60 miliardi, ma con il debito del Superbonus (122 miliardi) abbiamo ristrutturato appena il 4% degli edifici.«E adesso chi paga?». Più passano le ore e più la domanda retorica posta dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti venerdì in Lussemburgo diventa attuale. Anche perché smaltita la sbornia da festeggiamento politico, pure a sinistra (basta vedere «la contraddizione» di alcuni titoli di Repubblica) iniziano ad accorgersi che i conti non tornano. I conti non tornano in Europa, visto che si parla di 275 miliardi di spese all’anno, e non tornano, se vogliamo ancora di più in Italia, dove stiamo appena iniziando a leccarci le ferite del Superbonus e le stime prevedono un esborso case-green superiore ai 60 miliardi ogni 12 mesi. Prima di arrivare ai numeri però bisogna fare una premessa.Dire con estrema precisione a oggi quanto verrà speso per rendere le nostre case più «verdi» non è possibile. Per due motivi. Il primo è che l’Europa dà due anni di tempo a ogni Paese per definire un piano dettagliato e il secondo è prettamente politico ma altrettanto importante: a giugno si vota per il nuovo Parlamento Ue. Avremo una nuova Commissione, una differente traiettoria politica che sicuramente sarà meno ambientalista di quella attuale, anche perché di più è praticamente impossibile. Bisognerà vedere solo fino a che punto ci sarà un’inversione di tendenza.Fatta la premessa, veniamo ai numeri, appunto. Che si basano su quello che sappiamo in questo momento: la direttiva prevede (come punto di partenza si prende il 2020) un taglio del 16% dei consumi medi dell’immobiliare al 2030. Che diventa 20-22% al 2035. Il problema è che se l’Italia ha speso circa 122 miliardi con il Superbonus per efficientare il 4% dei suoi immobili (poco meno di 500.000) e l’Europa calcola (la Commissione Ue) che ci vogliano 275 miliardi all’anno per raggiungere l’obbiettivo zero emissioni nel 2050, qualcosa non torna. «Vero che il Superbonus ha subito un forte effetto speculativo», evidenzia alla Verità il presidente di Assoambiente Chicco Testa, ma è altrettanto evidente che anche i conti dell’Europa sono strampalati. Diverse fonti parlano di costi per 275 miliardi all’anno, ma visto che l’Italia da sola ne dovrebbe sopportare più di 60 ogni 12 mesi (il Cresme stima una spesa di 320 miliardi dal 2026 al 2030, ndr) vuol dire che rappresentiamo tra il 20 e il 25% della spesa complessiva dell’Unione». Non solo. «Mi sembra poi», continua, che qui si stia sottovalutando l’effetto speculativo sui prezzi. È normale che di fronte a un picco di domanda sugli stessi prodotti che arriva da tutti gli Stati dell’Europa, anche perché ci sono delle tempistiche da rispettare, i listini avranno dei forti rialzi. Infine mi pongo alcune domande di buon senso. Tutti parlano delle pompe di calore, ma le hanno viste le dimensioni delle pompe di calore? Dove le mettiamo? Sui terrazzini delle case di città? Mi sembra evidente che manchino gli spazi. Oppure, l’imperativo di avere i pavimenti riscaldati, vorrebbe dire tirar su il parquet o le ceramiche della stragrande maggioranza delle nostre case». E quindi? «Ho l’impressione», conclude, «che ancora una volta Bruxelles sia caduta nel bisogno di fissare degli obiettivi e delle date inderogabili. L’Italia ha fatto bene a votare contro, anche perché questa direttiva alla fine si trasformerà in un nuovo salasso e noi non abbiamo lo spazio fiscale per affrontarlo».Chi non ha mai avuto dubbi sulla necessità di bloccare la direttiva è il presidente di Confedilizia Giorgio Spaziani Testa. Anzi. Se le norme sono state già modificate rispetto ai piani molto più stringenti di Bruxelles, una parte del merito è anche del «pressing» dell’associazione dei proprietari di casa. «Il lavoro è appena iniziato», spiega, «stiamo chiedendo al governo di insistere con il nuovo Parlamento europeo per cancellare la norma o fare apportare delle modifiche significative e mi sembra di vedere che le prime prese di posizione del ministro Matteo Salvini o del capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera Tommaso Foti vadano in quella direzione».Anche perché il rischio è che già nei prossimi mesi si inizino a sentire le conseguenze della direttiva - si parla in media di lavori per 35.000 euro a famiglia - sulle spalle dei cittadini.E qui torniamo a Giorgetti. Chi paga? Ecco, intervenire per tempo sarebbe importante anche per scongiurare che le idee, tipo quella del leader dei Verdi Angelo Bonelli - l’imposizione di una tassa una tantum per favorire la transizione ecologica e l’efficientamento energetico per chi detiene grandi patrimoni - prendano piede. «Curioso il fatto che il leader dei Verdi pensi di ricavare risorse proprio dagli immobili», sottolinea Spaziani Testa, «che notoriamente sono gli unici beni che le imposte patrimoniali riescono a colpire. La realtà è che questa direttiva è il frutto avvelenato di una legislatura europea obnubilata dall’ideologia green». E di numeri che si basano su ragionamenti e analisi superficiali e quasi sempre sballate.
I governi ricordino che il benessere è collegato all’aumento dell’energia utilizzata.
Quattro dritte ai politici per una sana politica energetica.
1 Più energia usiamo, maggiore è il nostro benessere.
Questo è cruciale comprenderlo. Qualunque cosa noi facciamo, senza eccezioni, usiamo energia. Coltivare vegetali, allevare animali, trasportare, conservare e preparare il cibo, curare la nostra salute, costruire le dimore dove abitiamo, riscaldarle d’inverno e rinfrescarle d’estate, spostarci da un posto all’altro, studiare fisica o violino, tutto richiede l’uso di energia. Se il nostro benessere consiste nella disponibilità di nutrirci, stare in salute, vivere in ambienti climatizzati, poterci spostare, realizzare le nostre inclinazioni, allora il nostro benessere dipende dalla disponibilità di energia abbondante e a buon mercato.
Stéphane Séjourné (Getty)
La Commissione vuole vincolare i fondi di Pechino all’uso di fornitori e lavoratori europei: «È la stessa agenda di Donald Trump». Obiettivo: evitare che il Dragone investa nascondendo il suo know how, come accade in Spagna.
Mai più un caso Saragozza. Sembra che quanto successo nella città spagnola, capoluogo dell’Aragona, rappresenti una sorta di spartiacque nella strategia masochistica europea verso la Cina. Il suicidio chiamato Green deal che sta sottomettendo Bruxelles a Pechino sia nella filiera di prodotto sia nella catena delle conoscenze tecnologiche si è concretizzato a pieno con il progetto per la realizzazione della nuova fabbrica di batterie per auto elettriche, che Stellantis in collaborazione con la cinese Catl costruirà in Spagna.
La Cop30 di Belém, Brasile (Ansa)
Il vertice ospitato da Luiz Inácio Lula da Silva nel caldo soffocante di Belém si chiude con impegni generici. Respinti i tentativi del commissario Wopke Hoekstra di forzare la mano per imporre più vincoli.
Dopo due settimane di acquazzoni, impianti di aria condizionata assenti e infuocati dibattiti sull’uso della cravatta, ha chiuso i battenti sabato scorso il caravanserraglio della Cop30. Il presidente del Brasile Luiz Inácio da Silva detto Lula ha voluto che l’adunata di 50.000 convenuti si tenesse nella poco ridente località di Belém, alle porte della foresta amazzonica, a un passo dall’Equatore. Si tratta di una città con 18.000 posti letto alberghieri mal contati, dove le piogge torrenziali sono la norma e dove il caldo umido è soffocante. Doveva essere un messaggio ai delegati: il mondo si scalda, provate l’esperienza. Insomma, le premesse non erano buone. E infatti la montagnola ha partorito uno squittìo, più che un topolino.





