
Caro Gianrico Carofiglio, le scrivo questa cartolina perché ho letto che si dice disposto a rientrare in politica «a certe condizioni». E volevo testimoniarle tutto l’entusiasmo per la notizia.
Noi, suoi fan della prima ora, infatti non ci accontentiamo di saperla attivissimo come scrittore, conduttore, opinionista e moralizzatore, non ci basta ritrovarla nel salotto di Lilli Gruber a sparare sentenze come fosse ancora magistrato, né ci basta saperla ben sicuro nel fortino di Rai3 alla faccia di ogni Telemeloni. No, noi vogliamo rivederla lì, in prima fila, come in quel fulgido periodo fra il 2007 e il 2013 in cui già sedette in Parlamento per dimostrare davvero quel che lei sa fare come politico.
E cioè nulla. Cinque anni da senatore, una sola legge come primo firmatario (modifiche al testo unico sul rilascio delle carte d’identità, non granché), nessun risultato concreto. Al punto che lei stesso alla fine del mandato commentò: «Non sono deluso solo perché sapevo che sarei andato per non contare nulla». Soddisfazioni, si capisce. Del Parlamento disse: «È molto autoreferenziale, pensa soprattutto all’autoconservazione e preferisce l’appartenenza alla competenza». Per questo aggiunse: «Lo trovo interessante». In effetti, è quello che pensiamo anche noi, suoi fedelissimi fan: un posto autoreferenziale, che pensa all’autoconservazione e preferisce l’appartenenza alla competenza è perfetto per lei. Quasi la sua fotografia.
Nato a Bari, figlio di una scrittrice e di un professore di Scienza delle costruzioni, lei ha raccontato di aver scelto giurisprudenza solo «per guadagnare tempo» e di aver fatto il magistrato perché un giorno ha incontrato Michele Emiliano che andava a fare il concorso. Casualità, insomma. Pensi se quel giorno il suo amico Michele fosse andato al mare, come sarebbe cambiata la sua vita. E la nostra. Anche lei, come Emiliano, ha poi fatto il salto in politica, tenendo stretto il posto in magistratura: l’ha lasciato solo alla fine dell’esperienza parlamentare, dopo aver incassato cinque anni di contributi, quando s’è accorto che era meglio dedicarsi alla scrittura. Da quel momento ha preso a menar fendenti a tutti senza pietà. Salvini? Demagogo. 5 stelle? Agenzia del rancore. Meloni? Manipolatrice. I russi? Culturalmente arretrati. Appassionato di karatè, ha raccontato di essere diventato famoso per le sue risse in giro per la città, una con un operaio, una con un automobilista, guadagnandosi il soprannome di Bruce Lee. Eppure in tv colpisce peggio che in strada.
Ora però noi fan siamo stanchi di sentirla solo criticare e vorremmo vederla di nuovo all’opera in politica. Non vediamo l’ora di pagarle lauti stipendi per permetterle di prenderci ancora a schiaffi fra autoreferenzialità e autoconservazione. Ma che cosa farà? «Non sono un amministratore», ha sempre detto rifiutando sdegnato le candidature a sindaco di Bari o a governatore di Puglia. Evidentemente entrambe troppo poco per lei. «Il centrosinistra le ha proposto incarichi di primo piano?», la ha chiesto il collega del Corriere del Mezzogiorno. E lei ha sorriso, dicendo solo che ci devono essere «certe condizioni». Per questo le scrivo questa cartolina, per darle un suggerimento: chieda al Paese, in cambio del suo agognato sì al ritorno in politica, la sostituzione del premierato con il carofigliato. Tutto il potere al Bruce Lee della Puglia. Come condizione, mi pare il minimo.



















