2021-03-24
Cartabia vende all’Ue la giustizia italiana. Dal Csm disco verde ai nove pm delegati
La superprocura rischia di «divorare» gli uffici inquirenti locali. Ma i consiglieri Nino Di Matteo e Stefano Cavanna e il pg Giovanni Salvi si astengonodi accordo con il procuratore capo europeo, la romena Laura Kovesi. Oggetto: la determinazione di numero e distribuzione funzionale e territoriale dei procuratori Ue delegati. Via libera allo schema suggerito dal Guardasigilli: nove sedi di servizio, disegnate aggregando due o più distretti di Corte d'appello. La nuova inquilina di via Arenula ha fatto scorrere fiumi di retorica: «La vera sfida» sulla Procura europea (Eppo) «si giocherà proprio sulla capacità di sviluppare una virtuosa sinergia, una capacità di leale cooperazione e di reciprocità tra tutte le autorità coinvolte», per poter «sciogliere tutti i possibili intrecci e le sovrapposizioni di competenze», che persino la Cartabia teme. Oltre alle «oggettive difficoltà organizzative, relative all'esigenza di maggiori risorse umane e materiali», che, ha promesso lei, «il ministero non mancherà di offrire […], con reclutamenti di personale e con il sostegno prioritario alle sedi distrettuali in cui si incardineranno i procuratori europei delegati». In estasi euromistica, il vicepresidente del Csm, David Ermini, ha rispolverato addirittura Pio VII: «Non possiamo, non vogliamo e non dobbiamo rallentare un processo che costituisce, a livello europeo, un momento fondamentale nella cooperazione giudiziaria». Mattarella, invece, ha giubilato per «la creazione di uno spazio comune per la garanzie dei diritti di tutti». Ma è stata proprio la Cartabia a gettare la maschera sui motivi dell'accelerazione del processo, iniziato ufficialmente il 21 gennaio 2020, con il recepimento d'una direttiva Ue. Come ha riconosciuto il ministro, l'ok alla superprocura rientra tra «gli adempimenti nell'ambito del Recovery plan». Le famose «riforme». Altro che velocizzare la Giustizia e ripulire il Csm.Ma siamo sicuri che c'entrino «i diritti di tutti»? La Procura europea, organismo indipendente, dovrà perseguire, dinanzi ai tribunali degli Stati membri dell'Ue (ad oggi hanno aderito in 22), i reati che danneggiano gli interessi finanziari dell'Ue: frode, riciclaggio, corruzione, frodi Iva transfrontaliere sopra i 10 milioni. Già lo scorso anno, sulla Verità, muovemmo alcuni rilievi critici all'ennesimo progetto costruttivista degli eurocrati. Che ne sarà dell'indipendenza degli organismi giudiziari nazionali? A chi spetta l'esercizio dell'azione penale? E cosa ci vieta di pensare che una Procura, nata per contrastare illeciti transfrontalieri economici, poi non s'allarghi? Pensando, ad esempio, di agire per imporre lo «Stato di diritto», ovvero l'ideologia Lgbt, la neolingua politicamente corretta, le quote di genere e le quote razziali, che Ursula von der Leyen sognava di includere nelle condizionalità del Next generation Eu? Uno sente Mattarella che celebra i «diritti di tutti», e gli tremano le gambe.Ma quale «leale cooperazione» dovrebbe svilupparsi, se esiste una Procura e non un codice penale né un codice di procedura penale dell'Ue? Si crea un pm unico, ma le leggi restano diverse? Che si fa, per dire, con il reato di associazione di stampo mafioso, previsto in Italia e non altrove? Si puniscono solo gli illeciti «collaterali», come il riciclaggio? Solo quelli ledono «gli interessi finanziari dell'Unione»? Non sarà un caso se, a fine gennaio, il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione, firmata dal M5s, per impegnare gli Stati a introdurre, nei loro ordinamenti, leggi antimafia. Quasi una fotocopia di un analogo documento risalente al 2016. In cinque anni, i passi avanti sono stati pochi.E infatti, dentro al Csm, non tutti paiono credere al mito della «virtuosa sinergia». Così, tre consiglieri hanno optato per l'astensione. Nino Di Matteo nutre perplessità proprio sulle «attività di contrasto» alla mafia: la toga ha denunciato il rischio di «situazioni di conflitto, di sovrapposizione o, al contrario, di stallo investigativo», paventando un «depotenziamento dell'altissimo livello di contrasto alle mafie finora assicurato dall'attribuzione, in via esclusiva, alle competenze delle Direzioni distrettuali antimafia e della Procura nazionale antimafia». Quanto al tema della sovranità, il consigliere laico Stefano Cavanna ha insistito sulla «preoccupazione circa la possibile sottrazione di inchieste cruciali alle Procure italiane». Infine, il procuratore generale della Cassazione, Giovanni Salvi, ha sollevato alcune «questioni attuative», tra cui la «necessità che anche il Procuratore europeo partecipi dello sforzo per l'uniforme approccio degli uffici del pubblico ministero». Perché il pericolo di interpretazioni difformi del diritto sussiste eccome. Ci aggiungiamo il problema della selezione dei delegati. L'Eppo, poche settimane fa, ha rigettato ben sette dei dieci candidati proposti dalla Bulgaria, in quanto privi delle «necessarie qualifiche». Dunque, la signora Kovesi ha facoltà di decidere se è idoneo o no un magistrato che ha superato un concorso pubblico, bandito dalla propria nazione? Il destino della superprocura europea, in sostanza, potrebbe oscillare tra due estremi. Da un lato, lo svuotamento delle prerogative dei nostri giudici. Specie se l'ente avesse il potere di perseguire reati non previsti dai singoli Paesi. Dall'altro, la prospettiva di trasformarsi in un inutile doppione burocratico. Gli addetti ai lavori, effettivamente, ci assicurano che la Procura agirà in conformità agli ordinamenti interni. L'unica differenza sarebbe che il procedimento finirà in mano al procuratore europeo, anziché al pm italiano. E che progresso sarebbe? Dovremmo moltiplicare uffici, toghe, collaboratori, per consolidare un fantomatico spazio comune europeo? Ministro Cartabia, presidente Mattarella: non è che qui va a finire come con i vaccini?